Circola in rete e lo puoi anche scaricare da qui Resistere al Confine – Ventimiglia 2015/2023 Quaderni n. 2 realizzato dall’Osservatorio Repressione con il collettivo «Parole sul confine».
Continua il viaggio dell’Osservatorio Repressione tra quell’umanità che il 14 giugno le autorità greche hanno lasciato consapevolmente morire nel mare Egeo, così come hanno fatto le autorità italiane per la strage di Cutro, così come accadde a Lampedusa nell’ottobre del 2013 distante nel tempo ma vivo nella memoria. Non sapremo mai il numero degli annegati: sappiamo che una nuova strage si è compiuta. E non sapremo mai quante, quanti, non riescono a correre il rischio di sopravvivere al mare. I nuovi desaparesidos. Con Resistere al confine, grazie al collettivo «Parole sul confine» raccontiamo le lotte di resistenza e di speranza, e gli avvenimenti che dal 2015 si sono succeduti sugli scogli di Ventimiglia e lungo i sentieri della frontiera tra Italia e Francia
Il progetto del blog nasce nel 2017 da un gruppo di persone che, solidali alle lotte contro i confini, ha seguito gli eventi accaduti a Ventimiglia a partire dall’estate del 2015. Tracciato politico che causa profonde conseguenze reali, il confine rappresenta allo stesso tempo un limite e un punto di passaggio e d’incontro. È perciò nelle zone di frontiera che si sviluppano dure resistenze e lotte, nelle quali migliaia di persone si giocano le proprie speranze e, sempre più spesso, la vita.
A Giugno del 2015 la Francia ha chiuso le frontiere sospendendo gli accordi di Schengen. Da allora non ha più smobilitato l’ingente apparato di controlli, continuando ad effettuare selezioni e rastrellamenti basati su criteri di discriminazione razziale: una caccia alle persone non bianche che si spinge fino a oltre venti chilometri dal confine. Nel 2015 vi fu un ampio eco mediatico quando le persone migranti occuparono gli scogli dei Balzi Rossi per protestare contro la chiusura del confine, rivendicando per sé stesse la libertà di movimento. L’inceppamento del sistema di Schengen e i primi nodi al pettine nel sistema Dublino furono solo un iniziale momento di imbarazzo e difficoltà per le istituzioni italiane ed europee. Esse si sono rapidamente organizzate, mettendo in campo una serie di dispositivi volti a sigillare le porte d’Europa e bonificare i paesi interessati dal flusso migratorio: attraverso un proliferare di norme, decreti e ordinanze si è costruito quello che si può definire un “regime di confine”.
Anche a Ventimiglia, come sugli altri punti di ingresso della cosiddetta Fortezza Europa, la riattivazione e moltiplicazione dei confini ha trasformato il territorio in uno spazio altamente militarizzato, un laboratorio sempre più agguerrito e raffinato di controlli razziali e repressione del dissenso. L’emergenza migranti dei primi anni nella città di confine si è presto evoluta in una strategia indirizzata a impedire l’autodeterminazione delle persone in viaggio e, contemporaneamente, ad ottenere una loro dissoluzione dallo spazio del territorio pubblico. A disegnare su una mappa della città i punti di riferimento che, nel tempo, sono stati approntati per chi arriva a Ventimiglia per passare la frontiera, si noterebbe chiaramente una progressiva onda di rifiuto ontologico nei confronti delle persone migranti, spinte a furia di sgomberi e ruspe ad allontanarsi dal cuore della città per cercare ripari di fortuna sempre più precari verso zone sempre più periferiche e nascoste. Il campo di accoglienza nella piazza della stazione, poi nella più distante chiesa delle Gianchette, poi il campo della Croce Rossa tra i cavalcavia dell’autostrada a diversi chilometri dal centro. Poi nemmeno più quello, smantellato definitivamente nell’estate del 2020 .
Attrezzare un luogo dedicato all’accoglienza dei migranti causa un concentramento visivo di queste persone nello spazio urbano, generando reazioni e angosce nella popolazione ventimigliese: meglio ancora se i migranti si invisibilizzano negli anfratti più nascosti della geografia urbana di Ventimiglia. I binari tronchi della ferrovia, i sottopassaggi, la selva di arbusti nel greto del fiume, i capannoni abbandonati nelle periferie. L’importante è che queste persone non si facciano vedere in giro e soprattutto che sembri che l’amministrazione di turno stia facendo per loro il meno possibile in termini di accoglienza e il massimo in termini di repressione. Una gestione criminale che alimenta un consenso politico sempre più orientato alla forca e alla purga, aggiungendo al rischio di morire nel passaggio della frontiera il rischio di morire perché è troppo duro sopravvivere in strada a Ventimiglia.
Il potere di rendere invisibili le persone
Non è solo questione che non paga, in termini di voti, assumersi la responsabilità di approntare un piano territoriale che tenga in considerazione la presenza e i bisogni delle persone migranti. C’è un desiderio molto più profondo e inquietante nel gioco a palla avvelenata portato avanti dalle istituzioni tanto a livello nazionale quanto locale: il tentativo costante e trasversale alle forze politiche di far fisicamente sparire le persone migranti dalla città. Non perché qualcuno pensi ancora sul serio che i flussi migratori possano essere fermati o contenuti, ma perché semplicemente non devono vedersi.
Lontano dai proclami propagandistici dell’amministrazione cittadina prima a guida pd e poi centrodestra, Ventimiglia si è mostrata fuori della retorica della “buona accoglienza”: retate, identificazioni forzate, violenze e deportazioni verso gli hotspot del sud Italia in passato, adesso sempre più spesso direttamente verso i cpr, come è successo a Moussa Balde dopo essere stato aggredito a Ventimiglia. Mentre per gli uomini e le donne impegnate nelle pratiche di solidarietà attiva e dal basso sono stati riservati denunce, multe, processi, diffamazione, perquisizioni e fogli di via. Nel vuoto lasciato dalla distruzione degli spazi autogestiti dalle persone migranti con il supporto di quelle attiviste, ha potuto inserirsi una serie di realtà che, dalla chiesa alle ong a varie associazioni umanitarie, ha tentato invano di rendere un po’ meno misera e pericolosa la vita di chi arriva a Ventimiglia con un progetto migratorio. Partendo dal presidio occupato dai migranti ai Balzi Rossi, dove la gente si auto organizzava per attraversare la frontiera, fino ad arrivare agli attuali giacigli tra binari tronchi e schiere di trafficanti di esseri umani, si è imboccata una lunga parabola discendente che conferma quotidianamente il detto “al peggio non v’è mai fine”.
Gli antichi e ormai in disuso uffici della dogana italiana sono stati riaperti e rimodernizzati. I monti e i sentieri che portano in Francia sono disseminati da checkpoint della legione straniera francese. Le violenze, gli abusi e le umiliazioni inflitte ai migranti sono andate incrementando da ambo le parti del confine. L’inasprimento delle misure di controllo e l’esasperarsi complessivo della situazione ha causato, dal 2016 ad oggi, un numero allarmante di persone ferite e decedute nel tentativo di attraversare il confine.
E se da un lato imperversa un sistema di ghettizzazione e segregazione delle persone in viaggio, dall’altro incalza una narrativa mediatica e istituzionale volta a criminalizzare e de-umanizzare le persone migranti. Per questo abbiamo pensato che fosse urgente raccontare il confine e le sue conseguenze reali nella vita di chi attraversa lo spazio di frontiera. Dal blog Parole sul confine abbiamo cercato di diffondere le storie e le parole di coloro che ogni giorno arrivano, partono, tornano e vivono a Ventimiglia: testimoniare vuol dire raccogliere messaggi che altrimenti andrebbero persi. Vuol dire aprire e difendere spazi informativi liberi e indipendenti, per provare a infrangere anche un altro confine: il recinto mediatico che tiene fuori le voci di coloro che si vogliono zittire.
Molte delle testimonianze e avvenimenti citati in queste pagine sono raccolte negli articoli del blog, sia come lavoro redazionale sia grazie ai contributi esterni che ci sono stati inviati e che, anche in questa occasione, invitiamo caldamente a scrivere e condividere.