Dvarashyn Vitali, classe 1969, ha 54 anni. È un cittadino bielorusso, esule in Lituania, ora rinchiuso in una cella di un campo profughi nei pressi di Vilnius (territorio Unione Europea): ha chiesto il riconoscimento dello status di “rifugiato politico”; è un obiettore di coscienza e non vuole essere richiamato nella mobilitazione militare in atto in Bielorussia: è un oppositore del regime di Lukashenko, ma rischia l’estradizione in quanto persone “indesiderata” pur non avendo compiuto nessun reato nell’Unione Europea, ma solo attività pacifiste contro la guerra in Ucraina.

Da giovane Dvarashyn Vitali ha intrapreso la carriera militare, arruolandosi nell’esercito nel 1990. Dopo alcuni anni, maturando una coscienza critica e vedendo molte storture dentro il mondo militare, nel 1998 presenta le dimissioni, si licenzia, e torna alla vita civile. Cresce anche la sua politicizzazione e partecipa al movimento di opposizione al regime. Nel 2020 è un attivista delle proteste contro le elezioni presidenziali truccate vinte da Lukashenko. Vitali si espone pubblicamente, partecipa ad azioni nonviolente, manifesta la sua contrarietà al regime. Allo scoppio della guerra in Ucraina, rischia di essere richiamato come riservista nell’esercito, e teme per la sua libertà. Espatria in Lituania, come molti altri bielorussi dell’opposizione democratica. Ha un permesso di soggiorno, si guadaga da vivere, e prosegue il suo impegno civile nel movimento pacifista; si dichiara obiettore di coscienza. Il 26 aprile 2023 la Lituania gli ha comunicato la sospensione e la revoca del permesso di soggiorno. Diventa illegale. L’11 giugno gli fanno sapere che deve tornare in Bielorussia, come persona “indesiderata” in Lituania e nell’Unione Europea. Il 15 giugno Vitali fa ricorso e chiede lo status di “rifugiato politico”, ma il 19 giugno l’Ufficio immigrazione lo preleva e il 20 giugno lo porta in un campo profughi a 100 chilometri da Vilnius. Vitali viene rinchiuso in una cella; perde il lavoro, perde la casa in affitto. Rischia l’estradizione in Bielorussia, dove lo attenderebbe una condanna a 7 anni per le sue attività a favore degli obiettori di coscienza.

L’associazione pacifista “Our House” ne fa un caso emblematico. Il Movimento Nonviolento, con la campagna di Obiezione alla guerra, si fa carico delle spese legali per il ricorso e la sua difesa (l’ufficio immigrazione liutuano gli aveva procurato un difensore d’ufficio, che però non si è mai fatto vedere dall’imputato; grazie al Movimento Nonviolento ora può contare su un avvocato di fiducia, con la consulenza dell’avvocato Canestrini, osservatore internazionale dei Diritti umani).

Chiediamo che l’Unione Europea non sia succube della politica militarista di Lukashenko e conceda subito lo status di “rifugiato politico” a Vitali e a tutti gli obiettori di coscienza e disertori bielorussi (e anche ai Russi e agli Ucraini).