1. Con un rilievo marginale rispetto ai giorni della conferenza stampa del governo a Cutro si è appreso che la magistratura inquirente starebbe indagando su rappresentanti della Guardia di Finanza, per stabilire eventuali responsabilità, dopo che i primi investigatori e l’onda mediatica indotta nei giorni immediatamente successivi al naufragio, si erano concentrati soltanto sui presunti scafisti che venivano arrestati e sbattuti in prima pagina.
Una inchiesta internazionale ha portato nuovi elementi di conoscenza, tutti da verificare, su quello che avvenne nella notte antecedente il naufragio di Cutro. Si è anche appreso che sarebbero stati effettuati sequestri e perquisizioni, con le dovute comunicazioni di garanzia agli agenti istituzionali più direttamente esposti. Non si hanno notizie ancora oggi, invece, di una iscrizione nel registro degli indagati di rappresentanti di Frontex, che pure è stata chiamata in causa nei titoli di molti giornali, né tantomeno di esponenti del Viminale, partecipanti al Centro di controllo operativo presso il Ministero dell’interno, e della Guardia costiera, che, con la sua Centrale di coordinamento (IMRC) dovrebbe intervenire in tutte le operazioni di ricerca e salvataggio, quale che sia il livello di allerta o di distress segnalato dalle prime autorità statali entrate in contatto con una imbarcazione in navigazione in alto mare, senza le più elementari dotazioni di sicurezza e generalmente sovraccarica. Nei commenti si ripropone la questione dell’accertamento delle condizioni di distress, pericolo grave ed attuale, che probabilmente saranno al centro delle indagini. Una questione che non può consentire depistaggi. Secondo la Procura di Agrigento, e il prevalente orientamento della giurisprudenza, fino alla Corte di cassazione, “Il pericolo attuale di danno grave alla persona che determina lo stato di necessità, secondo quanto indicato nelle Raccomandazioni emanate dal Consiglio europeo nel giugno 2019, sussiste sin dal momento della partenza dalle coste nordafricane delle imbarcazioni, che devono essere considerate sin da subito in distress in considerazione del fatto che sono sovraccariche e inadeguate a percorrere la traversata. prive di strumentazione e di personale competente“. Certo le condizioni di un caicco in navigazione in alto mare possono essere diverse da quelle di un barchino aperto e sovraccarico sulla rotta libica, ma gli indici di distress sono fissati dalle Convenzioni internazionali e dal Regolamento Frontex n.656 del 2014, e possono ricorrere in entrambi i casi. Come è comprovato dalle decine di interventi di ricerca e soccorso operati nel corso degli anni nei confronti di imbarcazioni da diporto sovraccariche di migranti, come il caicco affondato davanti Steccato di Cutro, provenienti dalla Turchia. E non si potrà certo sostenere che le finalità di sorveglianza delle frontiere e di contrasto dell’immigrazione irregolare possono prevalere sull’obbligo assoluto di intervenire nel più breve tempo possibile per salvaguardare la vita umana in mare.
2. Come è naturale, i primi atti di indagine sulla strage di Cutro si sono concentrati sugli organi periferici che più direttamente sono stati coinvolti negli eventi che hanno portato al naufragio del caicco, davanti alle coste sabbiose di Steccato di Cutro. Ma dovrebbe essere a tutti chiaro, e soprattutto alla procura che sta indagando, che nel caso dei soccorsi di massa, la responsabilità del coordinamento non si limita alle autorità periferiche di Guardia di Finanza e del Corpo delle Capitanerie di Porto, ma risale fino ai livelli più elevati con sede a Roma, nelle centrali di coordinamento ubicate al Ministero delle infrastrutture (Centrale di coordinamento della Guardia costiera-IMRCC) e del Ministero dell’interno ( Coordnamento interforze presso il Viminale). Lo stabilisce il Piano nazionale SAR approvato con decreto ministeriale nel 2021 e lo confermano le fonti normative più risalenti ed una prassi che si riscontra quotidianamente ancora oggi, anche con l’assegnazione dei porti di sbarco “vessatori” da parte del Ministero dell’interno. Una pratica illegittima che dimostra le competenze (e dunque la responsabilità) del Viminale che tende a impedire il pieno impiego delle navi del soccorso civile nelle attività di soccorso in acque internazionali. Una prassi che avrebbe dovuto essere contrastata per tempo dalle ONG, che invece non hanno portato a fondo sul piano legale tutte le azioni e le denunce che sarebbero state possibili dopo che lo scorso anno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva ridimensionato con una importante sentenza la pratica dei fermi amministrativi, ribadendo il valore assoluto degli obblighi di soccorso dei comandanti rispetto al potere discrezionale delle autorità amministrative e politiche tendente a limitare il numero dei naufraghi soccorsi dalle navi umanitarie. Come poi si è tentato di ribadire con il Decreto legge n.1 del 2020, che sotto molteplici profili, anche per la sua concreta attuazione, appare in contrasto frontale con quanto previsto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare e dal Regolamento europeo n.656 del 2014, che nessuna autorità statale può continuare ad ignorare, anche per effetto del combinato disposto degli articoli 10 e 117 della Costituzione, soprattutto quando le operazioni di sorveglianza e di soccorso sono cogestite con unità navali ed aeree appartenenti all’agenzia Frontex.
3. Abbiamo già visto la durata dei procedimenti penali quando erano chiamati in causa comandanti militari e centrali operative della Marina militare o della Guardia costiera. Ed abbiamo visto come in questi casi l’accertamento delle responsabilità si sia fermato ai livelli intermedi, senza risalire ai vertici militari ed ai rappresentanti politici che dettavano i loro indirizzi operativi, anche sulla base di accordi conclusi con paesi terzi che non erano visibilmente in grado di garantire diritti umani e soccorsi efficaci. Ieri l’Albania e Malta, oggi ancora Malta, la Tunisia e quello che rimane della Libia, divisa tra milizie, corpi antimmigrazione e guardie costiere che non rispondono ad un unico comando politico o militare.
Non sappiamo quanto potranno durare le indagini pr la strage di Cutro, e se si ariverà, con un un rinvio a giudizio, ad un processo degli agenti istituzionali responsabili ed alla loro condanna. Di certo quello che andrebbe chiarito oggi, e subito, anche al fine di evitare depistaggi, o per non vedere ancora una volta “volare soltanto gli stracci”, è la reale catena di comando che nella notte della strage di Cutro sarebbe stata chiamata a gestire le prime segnalazioni e poi la situazione di emergenza. Emergenza che di certo non si è determinata soltanto dopo che il caicco ha urtato con la chiglia sulla secca antistante la spiaggia di Steccato di Cutro. Perchè una situazione di emergenza (un vero e proprio caso di distress) esisteva già al momento delle prime segnalazioni fornite alle autorità italiane dall’aereo di Frontex che aveva avvistato e ripreso con video il barcone proveniente dalla Turchia che avanzava con crescenti difficoltà verso le coste italiane, mentre le condizioni meteo andavano progressivamente peggiorando. Sono gli indici di distress contenuti nel Regolamento europeo n.656 del 2014 che impediscono di affermare che il caicco turco sia arrivato davanti alla spiaggia, dove ha poi fatto naufragio, in condizioni di “normale navigabilità”.
Nei giorni successivi alla strage il medico soccorritore Orlando Amodeo era stato molto esplicito: “Abbiamo fatto centinaia di soccorsi in mare, nel dicembre 2013 con la capitaneria di porto, mare forza 8, cioè il doppio di quello del giorno della strage. Frontex seguiva l’imbarcazione e a Crotone ci sono tre rimorchiatori; il radar di questi rimorchiatori è a trecento metri in linea d’aria dal punto in cui è avvenuta la tragedia”. Quindi “Qualcosa non è andato come doveva, oppure qualcuno, non so chi, ha sottovalutato la situazione.” Non sappiamo fino a quando confermerà queste posizioni, dopo le reazioni che lo hanno investito, comunque si tratta di una testimonianza che non potrà essere cancellata.
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