Durante la gestione pandemica del Covid-19, molti Paesi europei hanno introdotto sistemi biopolitici e securitari volti a difendersi dal contagio virale, spesso limitando e violando i diritti fondamentali, i diritti civili e le libertà costituzionali, sacrificandole sull’altare della “sicurezza” o in questo caso della “biosicurezza” – per citare Agamben – legittimate con lo stato d’emergenza. Con questa forma di governo ed uno Stato di diritto fluttuante, i governi hanno colto l’occasione per aprile le porte alla transizione digitale portando all’implementazione di app e tecnologie volte al controllo e al monitoraggio della popolazione.
Per esempio, l’App Immuni: in Italia è stata spacciata come innovazione evolutiva, ma si è dimostrata uno strumento ingestibile e fallimentare su molti aspetti. In Italia, come in altri Paesi europei, è stato introdotto il Green Pass, uno strumento bio-tecno-politico volto non solo a schedare chi è vaccinato, ma a concedere libertà civili e costituzionali – che normalmente sarebbero libertà estese a tutti – a chi si è vaccinato, limitando la circolazione, la libertà e i diritti a chi non si è vaccinato. É il grande dilemma politologico delle “libertà concesse e autorizzate” che i filosofi Giorgio Agamben, Geminello Preterossi, Massimo Cacciari e il giurista Ugo Mattei hanno giustamente problematizzato dureante la gestione sanitaria, in quanto fattore della progressiva decostituzionalizzazione neoliberista.
Il Green Pass è stata una questione ben più ampia di quella delle vaccinazioni, del vaccino bene comune libero da brevetti o da qualunque altra battaglia per il diritto alla salute (come per esempio la lotta per la medicina di base, per la prevenzione primaria, per le terapie domiciliari e per il riconoscimento nel SSN delle medicine alternative come la naturopatia e l’omeopatia). La questione ha a che fare con lo stravolgimento dello stato di diritto sotto i colpi della trasformazione tecnologica che travolge la privacy, tanto cara a Stefano Rodotà, e della “condizionalità” anche nota come ricatto. Come ha descritto Ugo Mattei: “Questa logica, strutturale al Green Pass, è l’essenza dell’ anti-diritto (…). Tale logica ricattatoria neoliberista, nata proprio con la condizionalità della Banca Mondiale rispetto ai paesi poveri, estesa dalla Troika alla Grecia e ormai pervasiva del nostro pseudo diritto del lavoro, trova nel passaporto interno (Green Pass, estensibile ben oltre la questione del contagio) la sua epifania più pervasiva. In mancanza del know how per offrire garanzie pubbliche di rispetto dei diritti e dei dati sensibili, questa ideologia autoritaria che Draghi cerca di imporre dividendo irresponsabilmente la pubblica opinione tramite la menzogna, porta il costituzionalismo liberale al suo capolinea”.
Con la pandemia da Covid-19, i dati sensibili sanitari di intere popolazioni sono stati riscoperti come una grande merce molto proficua per i “capitalisti della sorveglianza”, come li ha chiamati Shoshana Zuboff. Le persone sono così un grande bacino di materia prima da cui estrarre gratuitamente, attraverso cessione “volontaria” (i famosi “consenti” nei siti e nelle app), i dati sensibili per fare palate di soldi senza alcun costo reale.
Durante la Covid-19 i nostri dati sensibili sanitari sono stati ceduti a un qualche colosso transnazionale, come Google, a cui Draghi ha permesso l’accesso regalando i dati sensibili della nostra popolazione.
Questa situazione di «emergenza giuridica nazionale» impone una riflessione in quanto «nessuna tutela effettiva è concessa ai diritti nel regime giuridico attualmente sussistente nel Paese» – come sostiene l’organizzazione Generazioni Future.
European Health Data Space, la transizione digitale nella sanità come esproprio della privacy
Il 3 maggio 2022 è stato proposto il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sullo spazio europeo dei dati sanitari (di seguito “European Health Data Space” o EHDS”). Da quanto emerso, potrebbe giungere alla fine del suo lungo iter legislativo non prima della primavera 2024; istituisce lo spazio europeo dei dati sanitari prevedendo disposizioni, norme e prassi comuni, infrastrutture e un quadro di governance per l’uso primario e secondario dei dati sanitari elettronici. L’European Health Data Space, secondo i propri sostenitori ha un notevole potenziale economico, avendo l’obiettivo di rendere la gestione sanitaria europea più efficiente. É proprio così? No, ovviamente.
Se la nuova legge europea sui dati sanitari venisse approvata senza modifiche, metterebbe a rischio la fiducia alla base dei nostri sistemi sanitari e consentirebbe ai dottori di rivelare le nostre cartelle cliniche.
Il problema principale legato allo Spazio europeo dei dati sanitari è che ogni singola informazione sulla nostra salute potrebbe essere resa disponibile a chiunque sostenga di fare ricerca e usata per scopi commerciali senza richiedere il nostro consenso. Le nostre cartelle cliniche includono informazioni su tutti gli aspetti della nostra vita, dal momento della nascita, passando per l’infanzia, l’adolescenza, i congedi per malattia, le problematiche mentali e altre patologie avute nel corso degli anni. Dare le nostre informazioni personali intime a chiunque, dai ricercatori alle multinazionali farmaceutiche, fino alle Big Tech, rende complici dottori e altri professionisti della sanità di un’enorme violazione della fiducia dei pazienti.
Le nostre informazioni più personali e sensibili in assoluto finirebbero nelle mani delle grandi case farmaceutiche, dei giganti della tecnologia e delle compagnie assicurative, pronte ad utilizzarli per ottenere maggiori profitti.
Per questi motivi, recentemente è nata una petizione rivolta ai leader europei del Consiglio dell’UE e al Parlamento Europeo per chiedere il diritto alla privacy sui nostri dati medici, rivendicando il controllo sulle informazioni relative alla salute, a chi può averne accesso e per quali scopi.
Si chiede di modificare l’European Health Data Space introducendo:
– L’obbligo di chiedere un consenso esplicito ai pazienti, prima della divulgazione per usi secondari dei dati sanitari, vale a dire per usi non strettamente legati alle cure
– Limitare le categorie dei “dati sanitari”
– Ridurre gli scopi per cui tali dati possono essere utilizzati, e le persone che hanno accesso ai dati.
Non lasciamo che queste multinazionali sfruttino i nostri dati sanitari senza il nostro permesso.