Le questioni tecniche, naturalistiche, economiche e paesaggistiche rendono insostenibile la realizzazione dell’opera, questa in estrema sintesi la critica messa a punto dal dossier commissionato da Lipu, Kyoto Club, WWF: “L’ approvazione del decreto legge voluto dal governo che rilancia il progetto del 2011 del ponte ad unica campata sullo Stretto di Messina non supera le criticità di fondo sollevate dagli ambientalisti sulla insostenibilità dal punto di vista ambientale, economico-finanziario e sociale dell’opera. Un’opera dal costo elevatissimo e ingiustificato (14,6 miliardi di euro, quasi un punto di PIL), di cui non è stata ancora dimostrata la costruibilità e non è finanziata, che si vuole realizzare con una procedura di Valutazione di Impatto Ambientale addomesticata e bypassando l’obbligo di gara per l’affidamento al general contractor”.
Questa premessa inquadra chiaramente il contenuto del dossier “Lo Stretto di Messina e le ombre sul rilancio del ponte” elaborato dagli specialisti chiamati a raccolta da Kyoto Club, Lipu e WWF, grazie ai contributi dei quali sono state individuate le principali questioni rimaste del tutto irrisolte.
I capitoli del dossier approfondiscono i temi centrali che dimostrano l’insostenibilità dell’opera: dubbi sulla fattibilità tecnica, analisi economico aleatoria sui costi e le entrate, approssimazione logistica (vedi il “franco navigabile”), le ricadute sull’occupazione, anti-economicità dei flussi del traffico, senza contare i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dai giuristi.
Ma quel che vogliamo mettere in evidenza in questa sede sono gli aspetti critici riguardanti la valutazione di impatto ambientale, il valore naturalistico e paesaggistico. Da questo punto di vista, fanno rilevare gli esperti:
1) la procedura di valutazione di impatto ambientale va rifatta dal principio visto che come viene stabilito nel Codice dell’ambiente, sono passati oltre cinque anni senza che il progetto sia stato realizzato e il provvedimento VIA deve essere reiterato nel rigoroso rispetto dell’art. 9 della Costituzione che tutela il paesaggio, l’ambiente e l’ecosistema;
2) sotto l’aspetto della valore naturalistico, la creazione di una barriera trasversale, qual è il ponte, alla migrazione e la distruzione di aree di sosta e alimentazione contrasterebbe nettamente con la responsabilità di conservazione degli uccelli migratori;
3) nel progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina, osservano gli ambientalisti, manca dal punto di vista paesaggistico una visione olistica che consideri la armatura eco-paesaggistica dell’intera area e non c’è alcun rispetto dei vincoli e prescrizioni esistenti dettati dalla pianificazione territoriale locale (Guida del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale della Sicilia, Piano d’Ambito 9 del messinese, Quadro territoriale Regionale Paesaggistico della Calabria) che, d’altra parte, non contempla la realizzazione del ponte. I quasi 1,5 milioni di metri quadri di paratia verticale costituiti dal sistema Piloni-Trave-Asse di attraversamento rompono l’unitarietà e la continuità scenografica del contesto dello Stretto con un impatto estetico-percettivo e ambientale dai profondi risvolti sociali, collettivi e individuali.
Infine segnaliamo quanto viene precisato nelle ultime battute della parte conclusiva della premessa del dossier, allorquando si pone l’accento su un punto assai discutibile del decreto legge n. 35/2023 posto in essere dal governo.
Più precisamente nell’articolato si circoscrivono legislativamente i criteri entro cui devono attenersi i tecnici nella Valutazione di Impatto Ambientale. Detto altrimenti, si individuano sostanzialmente le prescrizioni e i passaggi procedurali entro i quali si debba contenere la VIA.
Nella fattispecie si chiede: “da un lato, che il progetto definitivo del ponte venga accompagnato da una relazione del progettista attestante la rispondenza al progetto preliminare e alle eventuali prescrizioni dettate in sede di approvazione dello stesso; dall’altro, che la VIA debba essere limitata ai contenuti progettuali interessati dalle prescrizioni”.
Insomma, così come nel caso recente della Corte dei Conti sulle criticità del PNRR, questo governo ci riprova: prima a cambiare il giudice, poi la legge.