Il Tribunale amministrativo del Lazio ha deciso su due ricorsi proposti contro l’assegnazione di porti di sbarco “vessatori”, a notevole distanza dall’area nella quale venivano operati i soccorsi da parte di una organizzazione non governativa, legittimando le scelte del ministro dell’interno ed affastellando una serie di motivazioni che vanno oltre la portata del caso esaminato e gettano ombre inquietanti sul futuro dei soccorsi in mare nel Mediterraneo centrale. Il sottosegretario al ministero dell’interno Nicola Molteni ha subito parlato di una “sentenza storica”, dimenticando che la sentenza non è ancora definitiva e che fa riferimento a due casi specifici, ma non è automaticamente applicabile a tutti i soccorsi operati in acque internazionali dalle navi umanitarie delle ONG. Non è del resto la prima volta che la giustizia amministrativa adotta una linea conforme agli indirizzi del Ministero dell’interno, salvo poi ad essere smentita da una successiva decisione di un organo giurisdizionale superiore o da un Tribunale internazionale, come è successo nel caso della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’1 agosto dello scorso anno, in materia di fermi amministrativi delle navi umanitarie, dopo i controlli operati in porto allo sbarco dei naufraghi. In quell’occasione i giudici di Lussemburgo avevano affermato che non potevano essere considerati come “passeggeri” i naufraghi soccorsi in mare, e che le navi delle ONG non potevano essere costrette a dotarsi di ulteriori certificazioni dello Stato che è obbligato a garantire il porto di sbarco (POS), certificazioni che in passato le autorità italiane hanno invece richiesto a loro discrezione. Con l’avallo di parte della giustizia amministrativa.

A gennaio di quest’anno le autorità italiane avevano assegnato i porti di Ancona e La Spezia alla ‘Geo Barents’, la nave di Medici senza frontiere impegnata nel soccorso dei migranti nella cd. “zona SAR libica”, che aveva effettuato due operazioni di salvataggio in acque internazionali. Secondo il Tribunale amministrativo, sarebbe “evidente ed innegabile” che spetti al Viminale assegnare il porto di sbarco in quanto “le operazioni di soccorso vanno inquadrate nel più ampio e complesso contesto del fenomeno migratorio via mare” che oltre al soccorso prevede anche l’accoglienza, l’ordine pubblico e la gestione generale del fenomeno migratorio”. Per questo Tribunale, “manca una definizione chiara ed internazionalmente condivisa di ‘porto sicuro’ indissolubilmente legata al concetto di porto più vicino”. Il Ministero dell’interno, dunque, avrebbe correttamente operato, facendo “corretta applicazione del principio del porto sicuro”, tenendo in considerazione una serie di fattori: la “sollecita definizione delle operazioni preordinate” all’assegnazione del porto per garantire la breve durata delle operazioni di soccorso; le dimensioni della Geo Barents, una nave idonea “ad affrontare in sicurezza un più lungo tragitto”; la “mancata segnalazione” da parte della Ong di “situazioni di urgenza a bordo”.

Malgrado il TAR del Lazio richiami la fondamentale decisione della Corte di Cassazione n.6626/2020 sul caso Rackete, che fissava l’ordine gerarchico delle fonti, sulla base del dettato dell’art.117 della Costituzione, e dunque affermando la prevalenza degli obblighi di soccorso e sbarco, imposti dalle Convenzioni internazionali, sui poteri discrezionali del ministro dell’interno, la conclusione a cui si perviene stabilisce una competenza ed un potere esclusivo del Ministero dell’interno nella indicazione di un place of safety per lo sbarco dei naufraghi. A tale riguardo sia le Convenzioni internazionali ed i relativi Allegati, che le disposizioni del Piano SAR nazionale 2020, che ne costituisce attuazione, vengono richiamate solo per la parte che può sostenere la tesi argomentativa, già proposta anche in altre sedi dall’Avvocatura dello Stato, e dunque dal Ministero dell’interno, senza citare altre disposizioni che, senza indicare come porto di sbarco il porto più vicino, impongono agli Stati di assegnare un place of safety (POS) “nel tempo più breve ragionevolmente possibile”, stabilendo le competenze delle centrali nazionali di coordinamento delle Guardie costiere (MRCC). Il TAR Lazio omette di considerare proprio il passaggio centrale della sentenza n.6626/2020 della Corte di Cassazione, che pure richiama in modo evidentemente strumentale, al fine di motivare la propria decisione.

Secondo questa sentenza della Cassazione, infatti, “….«Né si potrebbe ritenere che l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”)». Sul punto la Corte di Cassazione richiama il punto 3.1.9 della menzionata Convenzione SAR, dove si stabilisce l’obbligo delle Parti contraenti di cooperare tra loro affinché sia individuato un luogo sicuro dove condurre i naufraghi.

A proposito della nozione di luogo sicuro, la stessa Convenzione riprende quanto indicato dalle direttive elaborate dal Maritime Safety Committee dell’Organizzazione Marittima Internazionale (MSC 167-78 del 2004). In motivazione la Corte di Cassazione ne riporta i passaggi più rilevanti: “un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non e più minacciatale necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale” (par. 6.12); inoltre sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative.”(par. 6.13). Per i giudici della Corte di Cassazione in definitiva, «Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse». Di questi principi ordinanti derivati da Convenzioni internazionali nella sentenza del TAR Lazio non si trova traccia.

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