A Milano c’è un luogo dove pace, educazione, dialogo e rispetto sono di casa. È il Centro di Nonviolenza Attiva, un polo per tutte quelle persone e quelle realtà che credono in un modello educativo e formativo nonviolento. Nato grazie all’iniziativa di due associazioni, oggi coinvolge molte altre sigle, enti locali, gruppi informali, scuole e singole persone in un percorso condiviso verso un mondo di pace.
A parlare è Annabella Coiro, formatrice, attivista e co-fondatrice del Centro di Nonviolenza Attiva di Milano. «Ci sono alcuni principi generali di base che ispirano il Centro, in particolare le azioni, i progetti, le relazioni volti a superare il dolore e la sofferenza in sé e negli altri e ad amare la realtà che si costruisce. La stella polare è la regola d’oro “Tratta gli altri come vuoi essere trattatə”».
Annabella Coiro
In quali idee, istanze e iniziative si sostanzia l’attività del Centro di Nonviolenza Attiva di Milano?
Nel Centro si svolgono laboratori organizzati, non necessariamente delle associazioni promotrici. C’è un gruppo di pratica di comunicazione nonviolenta, si avviano discussioni e riunioni intorno agli studi della nonviolenza attiva con gruppi di azione e di crescita personale. Si è formata anche una comunità di genitori che si interroga sulle relazioni educative nonviolente e proprio quest’anno è nato un gruppo di persone che sta lavorando per allestire una biblioteca per la nonviolenza dedicata in special modo a ragazzə e bambinə.
Ci sono altri soggetti con cui vi rapportate?
Il Centro è stato la culla di due grandi progetti che hanno coinvolto attori di varia provenienza. Uno è il Tavolo per la Nonviolenza, un Tavolo Municipale del Comune di Milano, che riunisce circa 40 associazioni del territorio e vede coinvolte sia la commissione educazione del Municipio 3 sia quella del welfare, proprio per unire questi due aspetti che sono cruciali per il benessere della persona e per ogni cittadinə.
Questo tavolo lavora per una HumanZone, vale a dire per costruire un quartiere e un Municipio possibilmente più umani e questo significa passare dalla solidarietà – quella più semplice – alla lotta alla discriminazione, significa promuovere con costanza momenti sulla nonviolenza e riflessioni, tra cui una settimana di eventi distribuiti nei quartieri intorno al 2 ottobre, che è la giornata internazionale della nonviolenza.
Hai parlato di due progetti. Infatti il Centro ha dato vita a un altro percorso che ora vede le scuole in primo piano. Puoi raccontarci come nasce e di cosa si tratta?
Il progetto si chiama ED.UMA.NA – Educazione Umanista alla Nonviolenza Attiva e lavora sull’educazione umana come possibilità per la trasformazione del paradigma vendicativo e patriarcale che incombe nella nostra cultura. Nasce all’interno del Centro perché per molti anni noi volontari/e abbiamo portato nelle scuole laboratori per ragazzi e ragazze e per genitori, ma ci siamo accorti che questi spazi nonviolenti temporanei avevano poca consistenza e non si radicavano. Quasi come un “progettificio” di laboratori contro un tipo di discriminazione piuttosto che un’altra, tutto molto parcellizzato. E ci siamo accorti che spesso uscivamo con un senso di frustrazione.
Con questa spinta nel 2016 abbiamo cominciato a lavorare immaginandoci un percorso sistemico che coinvolgesse tutti gli attori della scuola, abbiamo riunito un’equipe multidisciplinare grazie anche all’assessorato educazione del Comune di Milano. Abbiamo costituito un tavolo cittadino che lavorava sull’educazione alla nonviolenza e abbiamo riunito dirigenti, docenti, formatorə, pedagogistə, associazioni per costruire un progetto unitario socio-educativo in grado di prevenire le varie forme di violenza implicite ed esplicite.
Per un anno abbiamo lavorato insieme e abbiamo scritto le basi per una pratica di educazione alla nonviolenza nelle scuole che abbiamo sperimentato per tre anni nelle scuole primarie e secondarie, con la valutazione della facoltà di Scienze della Formazione dell’università di Milano-Bicocca. Oggi c’è una rete formale la cui capofila è una scuola e la pratica EDUMANA è attiva nelle scuole che ne fanno parte. Da quest’anno la rete si è aperta anche a livello nazionale a seguito di un corso di formazione che ha visto tanta partecipazione e interesse. La scuola ha bisogno di una trasformazione relazionale tra tutte le componenti che ne fanno parte, per far vivere l’esperienza di una comunità nonviolenta e non limitarsi a parlarne.
Come funziona il Centro di Nonviolenza Attiva e qual è il tuo ruolo in questa grande macchina organizzativa per la pace e i diritti umani che tocca molteplici punti e temi attuali per tutto il mondo pacifista?
Non abbiamo ruoli codificati. L’organizzazione è molto fluida, molto morbida. Siamo tuttə volontari/e e ci sosteniamo a vicenda. Alcune volte qualcunə ha più spazio e più tempo e quindi prende un pochino più in mano la situazione e poi passa a qualcun altrə. Le funzioni che ciascunə di noi ricopre in modo stabile sono proprio semplicissime, per esempio la cura dello spazio, l’amministrazione, la comunicazione, poche cose, quello che ci impegna veramente è che ciascunə di noi cerca di lavorare sul progetto che lə spinge. Il “daimon” che lə guida. In questo modo avanziamo leggerə senza sentirci obbligatə o costrettə al sacrificio.
Io mi occupo in particolare dei progetti educativi e della formazione e seguo la rete EDUMANA quotidianamente. La mia passione è studiare sulle tematiche relazionali nonviolente a vari livelli personale, interpersonale, sociale e rendere fruibile ciò che ho imparato. In un’ottica di life long learning ne avrò per tutta la vita! Tutti però sanno che ciò che adoro è tenere il Centro in ordine e bello! Lo spazio adeguato è uno strumento eccellente di convivenza. Come diceva Umberto Eco, “lo spazio parla e parla anche quando non vogliamo ascoltarlo”.