In risposta alla peggiore siccità registrata nel paese, la Società di distribuzione idrica nazionale tunisina ha dichiarato che interromperà la fornitura di acqua ai cittadini per sette ore a notte durante il Ramadan, con la possibilità di proroga anche dopo il mese Santo.
Essendo situata in una delle regioni più scarse d’acqua al mondo, la Tunisia, il paese che un tempo era chiamato Tounes Al Khadhra o Tunisia la Verde, si trova di fronte a un futuro arido.
Venerdì 31 marzo, la Compagnia Nazionale di Utilizzo e Distribuzione d’Acqua (SONEDE) ha dichiarato che interromperà la fornitura di acqua ai cittadini per sette ore a notte dalle 21 alle 4. Durante la stessa settimana, il ministero dell’Agricoltura ha anche vietato l’uso di acqua potabile per lavare le auto, abbeverare le aree verdi e pulire strade e luoghi pubblici, con multe per i trasgressori ed il rischio di reclusione per un periodo compreso tra sei giorni e sei mesi. Ancor prima, il ministero ha introdotto un sistema di quote per l’acqua potabile che ne vieta l’uso nell’irrigazione agricola fino alla fine di settembre di quest’anno.
A prescindere dai tempi e dall’urgenza di queste misure introdotte, la loro applicazione e la loro efficacia rimangono dubbie.
Rawe Kefi, una giovane attivista ambientale e ricercatrice in politica dell’acqua, ha sottolineato che anche se queste misure espongono la scarsità di acqua che c’è adesso e “potrebbe essere una buona soluzione la consapevolezza dei cittadini sul fatto che l’acqua non sarà più disponibile come una volta”, possono anche avere l’effetto opposto poiché queste pressioni incitano la gente ad accumulare l’acqua nel panico che non possa essere più utilizzata successivamente e “il consumo reale di acqua è aumentato poiché ora le gente fa delle riserve acqua.”
Perché adesso?
La Tunisia si è trovata in uno stato d’insicurezza idrica cronica dopo aver registrato una delle stagioni di pioggia più basse della storia moderna. Quest’anno, il paese ha registrato un calo nei suoi serbatoi di circa il 30% del massimo. Per contestualizzare, in condizioni normali le dighe dovrebbero ricevere abbastanza pioggia da raggiungere una capacità del 60% in questo periodo dell’anno. Per un paese che si basa sull’agricoltura come uno dei settori trainanti della sua economia contribuendo a circa il 10% del suo PIL, questo è considerato uno stato di emergenza e un anno catastrofico per il raccolto, come affermato da Anis Kharbeche, portavoce di UTAP, l’Unione Tunisina dell’Agricoltura e della Pesca.
I timori di colture in declino e l’insicurezza alimentare stanno aumentando ulteriormente. I sindacati degli agricoltori hanno avvertito che, mentre il paese importava circa i due terzi del suo fabbisogno cerealicolo, ora i circa 800.000 ettari di colture cerealicole non riescono a germogliare completamente a causa della mancanza di pioggia; infatti, si stima che le rese diminuiranno della metà. Di conseguenza il governo dovrà importare fino all’80% dei suoi cereali per soddisfare la domanda interna. Ciò, in parte, aggraverà ulteriormente la tensione finanziaria della Tunisia di fronte all’impennata dei prezzi internazionali del grano causata dalla guerra in Ucraina.
Amplificando l’ingiustizia sociale
Sebbene questo punto critico costituisca una preoccupazione a livello nazionale, le ramificazioni non sono percepite uniformemente in diverse regioni e classi sociali.
Sulla base di una “mappa della sete” prodotta da Watch Water, un’associazione indipendente di esperti che monitora le politiche sull’acqua nel paese, gli avvisi sono sparsi in tutto il paese. Tuttavia, su un totale di 132 denunce ricevute dall’osservatorio nel mese di febbraio, la maggior parte di 110 segnalazioni sono state correlate a tagli all’acqua non annunciati, con il governatorato di Ben Arous (città a sud di Tunisi) in testa con 24 avvisi in un solo mese.
Quando si tratta di tagli all’acqua notturni, queste operazioni non sono applicate in ugual modo in tutto il paese. In diverse città come Bardo (ovest di Tunisi), sede del ramo legislativo, non vi è stato alcun cambiamento per l’approvvigionamento idrico. Tuttavia, in altre aree più piccole e meno influenti, il potere finanziario e la stratificazione sociale iniziano ad essere cospicue.
Mentre era in vacanza a Sakiet Sidi Youssef, una città situata nella parte occidentale del paese vicino ai confini algerini, Sameh di 27 anni, ha osservato che le persone si lamentano perché i tagli dell’acqua non colpiscono tutti allo stesso modo. La residenza del sindaco riceve ancora acqua nonostante i regolamenti imposti e alcune case hanno ancora acqua corrente poiché hanno pagato una somma di denaro al lavoratore della distribuzione, mentre l’acqua è stata tagliata ai loro vicini che non hanno dato tangenti. Una richiesta è stata presentata, ma al momento di scrivere questo articolo, nessuna azione è stata ancora presa.
Sameh Toumine, residente a Gammarth, una città nota per i suoi hotel costosi e lussuosi situati a pochi chilometri a nord della capitale, ha spiegato che la sua città è divisa in 3 parti: Gammarth Forêt, Gammarth Supérieur e Gammarth Village dove vive. Sameh nota che “l’acqua non viene tagliata a Gammarth Supérieur dove vivono molti uomini d’affari e persone influenti. L’area in cui vivo è influenzata dai tagli, ma poiché la mia casa si trova molto vicino agli hotel e alle case dei ricchi, condividiamo gli stessi canali d’acqua ed è per questo che l’acqua non viene tagliata a casa mia.”
Una preoccupazione di lunga data, ma trascurata
Come il resto della regione del Maghreb, la vulnerabilità della Tunisia al cambiamento climatico si è sempre manifestata attraverso l’aumento delle temperature, la diminuzione delle precipitazioni e le ondate di calore più lunghe, causando incendi più potenti e la privazione dell’acqua. Il 2022-23 è stato un periodo marcato da tutti questi aspetti. Tuttavia, la Tunisia è ora al quarto anno consecutivo di siccità e il cambiamento climatico non è un fenomeno ritrovato.
Sulla base d’indicatori internazionali per misurare i livelli di stress idrico, meno di 1000 metri cubi per abitante all’anno è la soglia sotto la quale una regione è considerata essere di fronte a stress idrico cronico e la prospettiva di sviluppo si ritira. La Tunisia, tuttavia, ha registrato meno di 500m3 dal 1990 e ancora non sono state messe in atto strategie globali per affrontare la questione.
Rawe ha anche detto che queste misure stanno prendendo troppo tempo per materializzarsi ed “è troppo tardi… Abbiamo iniziato a informare il governo tunisino dieci anni fa sulla vulnerabilità del paese per quanto riguarda l’acqua, ma senza risposta, e questo è principalmente una questione di scelte politiche ed economiche.”
La Tunisia, nell’ambito delle riforme di adeguamento strutturale che ha intrapreso negli anni ’70 e ’80 per liberalizzare la sua economia, ha fatto affidamento da allora su un’agricoltura ad alta intensità idrica guidata dall’esportazione di frutta e verdura fortemente irrigate come i pomodori, la lattuga, le fragole, ecc. destinate all’esportazione nell’UE. Questa acqua virtuale, o acqua utilizzata in agricoltura e non consumata direttamente dai cittadini, è una parte enorme del problema qui, poiché il settore agricolo utilizza fino all’80% di tutta l’acqua potabile in un paese che è profondamente afflitto dalla povertà idrica. Come sottolineato da Rawe, “In realtà stiamo esportando la nostra acqua mentre siamo in una situazione di idro-stress.”
La strada da percorrere
Rawe afferma che l’ambiente è un fattore trasversale che colpisce tutti gli aspetti dell’economia e della società, motivo per cui il governo è tenuto a sviluppare una strategia a tutto tondo per riconfigurare le questioni ambientali e idriche al centro delle sue politiche.
Per quanto riguarda l’utilizzo degli impianti di desalinizzazione, Rawe spiega che, sebbene siano misure di adattamento inevitabili che dovremo sicuramente implementare a lungo termine, attualmente la Tunisia è ancora impreparata finanziariamente e in termini di infrastrutture. Per ora, questi impianti sono ancora dipendenti dall’energia, troppo costosi da mantenere e faranno inevitabilmente aumentare il prezzo dell’acqua imposto ai cittadini già alle prese con un elevato costo della vita.
Sarebbe più funzionale, chiarisce l’autrice, iniziare a ripensare le politiche economiche tenendo conto dell’acqua virtuale quando la si esporta. La Tunisia deve abbandonare le attuali pratiche agricole miopi e orientate al profitto, le quali danno priorità ai maggiori esportatori agricoli, e iniziare a incoraggiare l’uso di colture autoctone e meno esigenti dal punto di vista idrico, tenendo conto delle esigenze e delle vulnerabilità dei piccoli agricoltori, che sono quelli che forniscono effettivamente i nostri mercati interni, ma che sono i più colpiti dalla crisi idrica.
Riconosce anche che il governo dovrebbe risolvere le sue decennali e usurate infrastrutture che contribuiscono a quasi un terzo dell’acqua sprecata e far rispettare le preleggi stabilite per controllare e monitorare i pozzi illeciti che si sono moltiplicati a più di 21 mila, i quali ulteriormente esauriscono le risorse idriche sotterranee del paese.
Traduzione dall’inglese da Angelica Mengozzi. Revisione di Filomena Santoro