“Stiamo vivendo choc globali sempre più frequenti, la pandemia prima e la guerra poi, che generano disuguaglianze purtroppo crescenti e transizioni sempre più veloci. C’è l’urgenza di trovare un modo per contrastare le prime e non solo dal punto di vista economico, ma anche facendo attenzione ad altri indicatori, come quelli sanitari. Per fare un esempio, in un anno la differenza di aspettativa di vita tra Campania e Trentino è salita da due a tre anni”. Il professore ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata Leonardo Becchetti, raggiunto da Interris.it, inquadra il la fotografia dell’Italia scattata dalla decima edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat. Il fatto che 27 indicatori su 131 dell’indagine, analizzabili a livello regionale, presentino, nell’ultimo anno disponibile, una disuguaglianza relativa elevata tra Regioni, sembra dargli ragione. “La grande sfida di oggi sono quindi i livelli essenziali di assistenza”, riprende l’accademico, prima di introdurre altri due temi su cui occorre agire nel presente per garantire un futuro. “Il nostro Paese continua a investire meno degli altri in Europa in istruzione e in innovazione e ricerca, quando le sfide di oggi sono le transizioni ecologica e digitale che ci devono vedere protagonisti”. “L’innovazione è decisiva anche per far crescere l’economia circolare”.
Il rapporto
L’analisi dell’Istat è suddivisa nei diversi domini in cui è articolato il benessere, che sono Salute; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Benessere economico; Relazioni sociali; Politica e istituzioni; Sicurezza; Benessere soggettivo; Paesaggio e patrimonio culturale; Ambiente; Innovazione, ricerca e creatività; Qualità dei servizi), e mette a confronto gli andamenti più recenti dei 152 indicatori con i 109 risalenti al periodo precedente al Covid. Dal rapporto che per oltre la metà di questi ultimi, 58, si registra un miglioramento nell’ultimo anno disponibile rispetto al livello del 2019, prevalentemente alle voci “sicurezza”, “qualità dei servizi”, “lavoro” e “conciliazione dei tempi di vita”, mentre un terzo peggiora rispetto al 2019. Tra le voci più critiche negli ultimi tre anni, emerge dal report, figurano “benessere soggettivo” e “benessere economico”, probabilmente che hanno maggiormente risentito dell’impatto della pandemia. Il 35,1% delle famiglie italiane ha visto peggiorare la propria situazione economica lo scorso anno, mentre supera il 9% – dall’8,2% del 2019 – la quota di persone che dichiarano di arrivare con grande difficoltà alla fine del mese. Si registra ancora la distanza tra Nord Italia e Italia meridionale. Sei indicatori su dieci toccano i livelli di benessere medio-alto e alto nel Nord Est, mentre nel Mezzogiorno e nelle isole la maggior parte ricade nei livelli basso o medio-basso, rispettivamente 62% e 58,1%. Persiste la disparità di genere: su 86 indicatori, 34 segnano una condizione di svantaggio femminile, rispetto ai 26 per la parte maschile.
Rischio povertà
L’indice di disuguaglianza del reddito netto nel 2020, rispetto all’anno precedente, sale dal 5,7 al 5,8 e, si osserva nello studio Istat, senza le misure di sostegno introdotte nel 2021 sarebbe arrivato a 6,9. Nonostante questo, il rischio di povertà, stabile al 20,1%, non è variato rispetto al 2019. “Ogni choc è asimmetrico perché colpisce in modo ineguale le diverse categorie”, argomenta Becchetti, “il Covid ha colpito in particolare i lavoratori più fragili, i giovani e le donne, soprattutto nei settori come la ristorazione, i trasporti, lo spettacolo dal vivo”. “Abbiamo dei meccanismi per sostegno alla povertà utili per intervenire ex post, ma occorre farlo anche ex ante. Grazie al digitale possiamo formare le persone in modo tale che siano in grado di padroneggiare le nuove competenze richieste dalla realtà di oggi”. “Dobbiamo quindi ‘curare le ferite’ e prevenire il rischio di povertà con strumenti come questi”, afferma.
Istruzione e occupazione
Giovani e donne. Per quanto riguarda i primi, il nostro Paese detiene purtroppo il triste primato di Neet nell’Unione europea, il 19,% – pur in calo su 2020 (23,7%) e 2021 (23,1%) – rispetto all’11,7% della media dei 27. “Occorre investire contro l’abbandono scolastico e pensare a un nuovo modo di fare scuola”, spiega lo studioso, “non centrato solo sulla lezione frontale, ma che favorisca nei ragazzi la nascita di una passione che li stimoli a impegnarsi, attraverso esperienze attive e l’incontro tra scuola e lavoro”. In merito alle seconde, già il tasso di occupazione italiano nel 2022 è di circa 10 punti percentuali al di sotto quello medio europeo (74,7%). E quello dell’occupazione femminile risulta ancora più basso – 55% in Italia rispetto al 69,4% per la media Ue. “Nel nostro Paese è ancora difficile avere figli e continuare a lavorare, il 20% delle donne che fa figli non torna al lavoro”, osserva Becchetti. “Serve quindi guardare alle migliori politiche di sostegno delle nascite che ci sono all’estero, come il congedo parentale condiviso tra uomini e donne”.
Modalità di lavoro
Uno dei principali cambiamenti dovuti alla pandemia è stato il passaggio, per molti, dal lavoro in presenza allo smartworking. Una novità colta come positiva dalla maggior parte delle persone intervistate nel rapporto: il 34,6% si ritiene molto soddisfatto di questa modalità lavorativa e il 45% abbastanza soddisfatto. L’economista la spiega così: “Lo smartworking, consentendo di lavorare dove si preferisce, migliora la capacità di conciliare il lavoro e le relazioni, inoltre aiuta a ridurre molto i costi”. “Il valore aggiunto è la libertà di scelta tra le varie modalità” – prosegue – “tanto che dietro il fenomeno cosiddetto del ‘great resignation’ c’è anche il fatto che molti datori di lavoro non hanno concesso questa opzione”.
Relazioni sociali e benessere
Gli indicatori del benessere tracciano anche l’andamento di quei momenti della nostra vita che ci permettono di dare un senso all’esistenza diverso da quello delle altre funzioni sociali. Torna a crescere la quota di popolazione impegnata nel volontariato (8,3%, +1 punto percentuale nel 2022), anche se si rimane al di sotto dei livelli pre-pandemici (9,8% nel 2019). Per converso, si riscontra un cala la partecipazione civica e politica, pur restando più elevata rispetto al 2019. Il docente universitario commenta così: “Le nuove generazioni vedono nel volontariato un ritorno più immediato delle loro azioni, rispetto ad altre forme di partecipazione che magari chiedono più costanza nella membership e mostrano i frutti a maggior distanza di tempo”. Dal documento emerge anche che quasi nove intervistati su dieci sono soddisfatti della propria vita. Nel 2022 si raggiunge la percentuale più elevata finora registrata di persone che si dichiarano molto soddisfatte (46,2%).”Siamo figli della rivoluzione generale della rete e della tecnologia sempre più user friendly. Abbiamo oggi una vita molto più piena di input e di stimoli”, osserva Becchetti.
(da Agenzia Interris)