Domenica 14 maggio si terranno le prossime elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia, in un contesto politico estremamente repressivo e polarizzato, durante una crisi economica molto pesante e aggravata dalle conseguenze devastanti del recente terremoto che ha colpito la parte sud orientale del Paese. L’esito delle elezioni presidenziali non determinerà semplicemente chi governerà la Turchia per i prossimi cinque anni, ma potrebbe cancellare la sua vita democratica e condizionare negativamente il suo futuro politico. Possiamo affermare che saranno fra le elezioni più importanti nella storia democratica della Turchia. Si vota il 14 maggio, nell’anno del centenario della fondazione della Repubblica Turca. La tornata è definita cruciale, la scelta è tra il Presidente Erdogan del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP), da vent’anni al potere, e la coalizione dei partiti di opposizione, Alleanza per la Nazione, guidata da Kemal Kiliçdaroglu, che riunisce tra gli altri i secolaristi del Chp e i nazionalisti di Meral Aksener. I voti fino ad ora raccolti dal Partito filocurdo Hdp potrebbero essere l’ago della bilancia: HDP è il terzo partito in Parlamento, e i voti da esso indirizzati potrebbero valere più del 10%.
Il partito di governo, l’AKP, sta conducendo una campagna elettorale che criminalizza gli altri competitori. Almeno 110 membri dell’opposizione, fra cui avvocati, giornalisti, attori, militanti politici sono stati arrestati con l’accusa di fiancheggiamento al terrorismo. Fra di essi ci sarebbero anche diversi membri del comitato centrale del Partito Democratico dei Popoli (HDP), terza forza – come già detto – del Parlamento turco. Possiamo considerare le elezioni del 14 maggio come una sorta di referendum sull’attività del governo Erdogan. Il consenso popolare per il presidente è sceso sotto il 50% negli ultimi due anni.
La politica di fascistizzazione del Paese ha avuto una svolta significativa nel 2018, quando Erdogan è riuscito nel suo progetto di trasformare la Turchia da repubblica parlamentare a repubblica super-presidenziale. Dopo il cosiddetto “fallito golpe” del 15 luglio 2016, ondate di arresti hanno stravolto la politica e il tessuto sociale. Il fallito colpo di Stato è stato utilizzato come pretesto e opportunità per reprimere tutti i settori della società critici nei confronti delle politiche governative. Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) al governo, insieme ai suoi alleati ultranazionalisti, sta annientando le già deboli istituzioni democratiche del Paese per instaurare un regime autoritario. In Turchia non esiste una separazione dei poteri e una magistratura indipendente. Il presidente Erdoğan si è ormai assicurato il controllo virtuale dei media. Inoltre, l’alleanza AKP-MHP domina completamente la Commissione elettorale suprema e ha modificato la legge elettorale, legalizzando diverse irregolarità e frodi nelle elezioni. In più, dal 2022 la Turchia vive una crisi economica profonda, il tasso medio di inflazione è del 72,3% contro il 19,6% del 2021, il terremoto che all’inizio di quest’anno ha devastato dieci province dell’Anatolia meridionale, al confine con la Siria, ha provocato la più grande crisi umanitaria che si ricordi in Turchia e rimesso al centro il tema degli abusi edilizi.
Per quanto riguarda le elezioni presidenziali, il sistema elettorale in Turchia prevede che se nessun candidato al primo turno dovesse superare il 50% dei voti, allora si dovrebbe procedere a un ballottaggio tra i due più votati.
Alle elezioni presidenziali 2023 sono quattro i candidati in corsa: Recep Tayyip Erdoğan (centrodestra), Kemal Kılıçdaroğlu (centrosinistra), Muharrem İnce (centro), Sinan Oğan (destra).
Stando a un sondaggio del 24 aprile realizzato da Artibir, sarebbe in testa Kılıçdaroğlu risultando anche vicino al superamento della soglia della maggioranza assoluta.
- Kılıçdaroğlu (CHP-S&D): 49%
- Erdoğan (AKP NI): 44%
- İnce (MP): 5%
- Oğan (ATA): 2%
In caso di ballottaggio, sempre per lo stesso sondaggio, Kılıçdaroğlu uscirebbe netto vincitore con il 53,6% rispetto a Erdogan che non andrebbe oltre il 46,4%.
Situazione di grande equilibrio per quanto riguarda invece le elezioni parlamentari, con il sondaggio che andrebbe a indicare la lista di AKP- il partito di Erdogan – di poco in vantaggio rispetto al Partito Popolare Repubblicano.
Le elezioni parlamentari sono caratterizzate da un sistema elettorale proporzionale, con la soglia di sbarramento che per le liste è del 10%; una lista esclusa, però, può accedere alla ripartizione dei seggi se in coalizione con almeno un’altra che abbia superato il 10%.
A peggiorare il clima politico va aggiunto che nel giugno 2021 è stato avviato un procedimento presso la Corte costituzionale turca per mettere al bando e chiudere il Partito Democratico dei Popoli (HDP), imporre il divieto di attività politica a 451 attivisti dell’HDP e confiscare i beni del partito. Il governo sta esercitando una forte pressione sulla Corte costituzionale e l’HDP potrebbe essere chiuso prima delle elezioni. Per questo motivo, per non disperdere il bacino di voti dell’HPD, sarà presente alle elezioni del 14 maggio il Partito della Sinistra Verde (Yeşil Sol Parti – YSP) per correre in un’alleanza elettorale con il Partito dei Lavoratori della Turchia (TIP) e il Partito dei Lavoratori (EMEP).
Questi i dati degli ultimi sondaggi
AKP~NI: 32% (+1); CHP-S&D: 31% (+3); YSP-G/EFA: 12% (new); İYİ~RE: 10% (-2); MHP~NI: 6%; MP-*: 3%; YRP-*: 2% (+1); TİP-*: 1%; BTP-*: 1%.
La situazione in Turchia è tesissima.
Nelle scorse elezioni sono state riscontrate, dall’OCSE e da altre organizzazioni internazionali, palesi violazioni nella conta dei voti. Aperta infrazione della legge elettorale, pressioni estreme sull’opposizione, monopolio del governo sui media e diffuse irregolarità e frodi di ogni tipo. Con gli emendamenti alla legge elettorale, l’AKP ha anche legalizzato alcune delle sue pratiche contestate, come il conteggio dei voti in buste non sigillate giudicati comunque validi.
Per questa ragione saranno presenti in Turchia diversi osservatori internazionali, membri dei parlamenti internazionali, nazionali e regionali, organizzazioni per i diritti umani e singole persone che hanno a cuore il futuro democratico della Turchia per osservare le elezioni presidenziali e parlamentari sul campo, con particolare attenzione alle province curde, dove le irregolarità e i brogli elettorali sono sistematici e dilaganti, e alle dieci province colpite dal terremoto che sono sotto regime di emergenza. Una folta delegazione di osservatori internazionali partirà anche dall’Italia.