Ho intervistato Paolo Ferrero direttore di Su la testa che parteciperà alla seconda edizione di Eirenefest a Roma dal 26 al 28 Maggio prossimi.
Come hai formato la tua coscienza politica e la tua appartenenza di classe?
La mia appartenenza di classe più che formarla l’ho riconosciuta nel corso degli anni. Vivevo in un piccolo paese di montagna dove sostanzialmente tutti erano proletari e quindi la consapevolezza di appartenere ad una classe è venuta dal contatto con l’esterno. Per me era normale non andare all’università e ancora più era normale dopo le medie scegliere una scuola che permettesse di trovare un posto di lavoro, non certo il liceo. L’appartenenza agli strati popolari e la consapevolezza di una società divisa in classi è stata quindi un riconoscimento concreto di una realtà di fatto. Per quanto riguarda la coscienza politica invece c’è stato un intreccio tra la mia appartenenza alla chiesa Valdese e la socializzazione alla politica avvenuta nel corso dei primi anni delle scuole medie superiori. In quel caso le esperienze di lotta studentesca e di ribellione all’autorità si sono saldate con un percorso di presa di coscienza, di studio e di riflessione che è avvenuto soprattutto nella Federazione Giovanile Evangelica Italiana. Nella scuola ho scoperto la lotta e la ribellione, nell’organizzazione giovanile ho approfondito la riflessione e poi, in Democrazia Proletaria e ho cominciato a 17 anni la militanza politica.
Pensi che l’antifascismo possa condurre a percorsi di pacifismo e di nonviolenza?
Nel mio percorso formativo era ben presente la figura di Jacopo Lombardini, che partecipò alla resistenza nella valli valdesi, in qualità di commissario politico, senza mai impugnare un’arma e che morì dopo aver sopportato torture e privazioni nel campo di concentramento di Mauthausen. L’antifascismo della resistenza è stata una lotta armata di chi fu obbligato ad usare le armi per aprire la strada al dialogo e alla lotta di massa. L’antifascismo è costitutivamente finalizzato al superamento della necessità della violenza ed a porre fine alla guerra. L’antifascismo è il contrario della violenza come metodo di lotta politica e della guerra. Da questo punto di vista penso si possa dire che l’antifascismo è tendenzialmente non violento, definizione che io – obiettore di coscienza – sceglierei per me stesso. Non sono non violento assoluto, lo sono tendenzialmente e sono molto felice di aver raggiunto la veneranda età di 62 anni senza mai essere stato posto nella condizione di aver dovuto utilizzare la violenza.
Eirenfest è giunto alla sua seconda edizione con decine di protagonisti, scrittori, giornalisti, attivisti e una ampia vetrina di libri, saggi, romanzi. Cosa consigli e che suggerimenti puoi dare e un tuo augurio per il futuro a tutti gli organizzatori e relatori di questo importante festival del libro della pace e della nonviolenza?
Chi sono io per dare consigli? Posso solo dire che a mio parere il punto fondamentale è coniugare il pacifismo per motivi etici con il pacifismo per motivi materiali: perché è meglio della guerra. Ritengo sbagliata la divisione quando non la contrapposizione tra etica e interessi materiali. Noi – intendo noi comunisti – dobbiamo operare per connettere – al fine di raggiungere la pace, la giustizia e il superamento della violenza – le scelte etiche e la difesa degli interessi materiali di tutte e tutti coloro che dalla guerra hanno solo da perderci. La pace è possibile mantenerla o è possibile conquistarla perché la maggioranza delle persone capiscono che definisce un sistema di relazioni umane molto migliore della barbarie della guerra. Coniugare etica pacifista e non violenta con gli interessi materiali delle classi subalterne è a mio parere il più grande compito politico che un essere umano possa affrontare.
Eirenfest percorre la via più lunga e difficile, quella del pacifismo finalistico, per convertire le coscienze. Un percorso di educazione alla pace. Pensi che invece sia più urgente un pacifismo istituzionale che tenti di indirizzare le politiche degli Stati verso la fraternità tra i popoli?
Perché mettere in contrapposizione percorsi diversi se finalizzati allo stesso scopo? Ognuno dia il suo contributo a partire dai propri convincimenti per permettere agli umani di discutere e di non uccidersi. Non è necessario fare gerarchie tra coloro che operano per la pace.
Noi tutti pacifisti e nonviolenti siamo i depositari del Premio Nobel per la pace a Ican per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari e per il disarmo nucleare universale. Quale messaggio puoi donare a tutti noi attivisti e all’intera umanità coinvolta nelle brutali espressioni della violenza guerresca, militarista, bellicista?
Di non smettere di lottare. Il disarmo costituisce l’unica strada attraverso cui gli essere umani possono pensare di poter continuare ad esistere su questo globo terrestre. La vera forza che hanno i principi morali è di non essere sottoposti alla verifica del consenso e della vittoria: continuare la lotta non violenta, senza inacidirsi e senza maturare un disprezzo per gli altri umani, è la cosa migliore che possono fare nell’ora presente attivisti pacifisti e non violenti.
Davvero l’umanità intera si trova sul crinale del baratro nucleare?
Si, penso di si. L’attuale guerra tra la Russia e la NATO è soggetta ad un’escalation continua da parte occidentale, Inghilterra in prima fila. Se l’escalation continua, arriveremo alla guerra nucleare. Se riusciremo a fermare questa guerra attraverso il dialogo e la trattativa, gli USA hanno già individuato nella Cina il prossimo nemico da abbattere.
Il rischio di guerra nucleare è insito nel tentativo del governo statunitense ed in generale dei paesi aderenti alla NATO di mantenere i propri privilegi economici sul resto del mondo. Rendere chiaro che è necessario costruire la cooperazione tra i popoli, che la guerra si può solo fermare e non si può vincere è il messaggio fondamentale che oggi dobbiamo comunicare.