La lettera che Julian Assange ha scritto il 5 maggio 2023 al re Carlo III per la sua incoronazione solleva molteplici domande.
Formalmente, la lettera, oltre ad essere un invito al re a visitare la prigione di Belmarsh, costituisce una richiesta di grazia. Bisogna precisare che Julian non può adoperare la parola “grazia” (in inglese, “pardon”) in quanto è un termine giuridico usato per indicare l’annullamento di una condanna passata in giudicato, mentre non pende su Julian nessuna sentenza di condanna. Quindi per aggirare l’impasse, Julian ricorre alla parola comune “mercy”, che possiamo tradurre con “clemenza”. Purtroppo nelle traduzioni italiane della lettera di Julian diffuse su tutti i mass media e prodotte dagli inaffidabili traduttori automatici come Google Translate, DeepL o ChatGPT, appare la parola “misericordia”, termine religioso che dà un fuorviante tono pietistico a un discorso che, in inglese, è tutt’altro che pietistico.
In sostanza, dunque, Julian sta semplicemente chiedendo, com’è nel suo diritto, un atto di clemenza reale in concomitanza con l’ascesa di Carlo al trono: “Vi supplico…, mentre salite sul trono, di ricordare le parole riportate da Matteo (5:7): «Beati i clementi, perché troveranno clemenza». E possa la clemenza essere la stella polare del Vostro Regno, sia all’interno che all’esterno delle mura di Belmarsh.”
“Clemenza” significa, in concreto, che Julian sta chiedendo al re di liberarlo dal carcere e, contestualmente, di revocare l’ordine di estradizione negli Stati Uniti già firmato il 17 giugno 2022 dall’allora Ministra degli Interni Pritti Patel.
A pensarci bene, poi, re Carlo avrebbe anche due buoni motivi per concedere la grazia a Julian. Anzitutto, toglierebbe in tal modo le proverbiali castagne dal fuoco ai giudici dell’Alta Corte britannica. Infatti, se l’ordine di estradare Julian non è stato ancora eseguito, è perché i suoi avvocati l’hanno impugnato per ben 16 vizi formali e sostanziali – per esempio, la natura politica della richiesta statunitense di sottoporre Julian a processo, in barba al relativo trattato UK/USA che invece proibisce le estradizioni politiche. La grazia concessa dal re, dunque, dispenserebbe l’Alta Corte dal dover riaprire il processo di primo grado ed affrontare le imbarazzanti e spinose questioni giuridiche sulle quali, a suo tempo, la giudice di primo grado, Vanessa Baraitser, aveva sorvolato.
In secondo luogo, il re avrebbe anche un interesse personale a fare un “gesto regale” di clemenza in quanto, per via dei suoi molteplici scandali in passato, Carlo ha molto da fare per crescere in statura presso la popolazione sulla quale vuole regnare. Ed è proprio per ribadire la necessità di riabilitarsi che Julian cita alcuni versi del dramma shakespeariano Il Mercante di Venezia, laddove la protagonista Porzia cerca di convincere l’usuraio Shylock – come Julian cerca di convincere re Carlo – che, “con un atto di clemenza, ti farai grande; quindi non stare a calcolare i presunti torti subiti in passato o i risarcimenti dovuti; non si è clementi per calcolo o costrizione; fa’ un atto generoso e sarai compensato anche tu perché il popolo considererà nobile quel gesto e te un uomo (sovrano) da rispettare”.
Ecco i versi:
“Non s’è clementi per calcolo o costrizione:
la clemenza è una dolce pioggia spontanea
che si sparge su ogni terreno, e, dandosi,
valorizza sia quel terreno che se stessa.”
NOTA: Julian cita soltanto due versi del testo shakespeariano, ma un buon traduttore umano sa che, per un italiano anche colto, occorrerebbe citarli tutti e quattro. Infatti, un lettore inglese sente in testa il terzo e il quarto verso non appena legge i primi due. Ma non un lettore italiano – il quale, tuttavia, non appena legge “Nel mezzo del cammin di nostra vita…”, sente subito in testa “mi ritrovai per una selva oscura”. Tutto questo, gli inaffidabili traduttori automatici non possono saperlo e quindi si limitano a riprodurre i primi due versi e basta. Versi che essi traducono, poi, atrocemente: “La qualità della misericordia non è tesa; cade come una dolce pioggia dal cielo sul luogo sottostante” (Google Translate, DeepL, ChatGPT). Che vuol dire? Non granché).
Perciò, nel chiedere al re la clemenza, Julian non doveva far altro che scrivere una richiesta di poche righe, fare le sue belle citazioni bibliche e shakespeariane e, tutt’al più, ricordare al re che, oltre ai quattro anni passati a Belmarsh in una alienante cella di isolamento, egli era già stato privato della sua libertà dalle autorità britanniche nei sette anni precedenti, confinato com’era in una stanza dell’ambasciata ecuadoriana a Londra con un cordone di poliziotti intorno 24/7 pronti ad arrestarlo qualora mettesse piede fuori. Pertanto anche se, a giudizio del re, Assange dovrebbe comunque scontare una pena detentiva per aver rivelato documenti segretati, egli l’ha già scontata – da ben undici anni! “Enough is enough!”, come ama ripetere il primo ministro australiano Anthony Albanese, ovvero “Ora basta!”, il momento è venuto per un atto di clemenza. Atto che Julian aveva ogni interesse a chiedere nei termini appena indicati.
Ma non è questa la lettera che Julian ha scritto al re.
Inspiegabilmente Julian ha colto l’occasione per scrivere, non una semplice richiesta di clemenza, ma una lunga tirata che racconta peste e corna del sistema carcerario di Sua Maestà. In faccia a Sua Maestà stessa! Nelle 44 frasi che compongono la lettera di Julian, ritroviamo ben 35 (sic) battute sarcastiche contro la prigione di Belmarsh, con qualche frecciata ironica indirizzata persino contro la persona di Carlo – cioè contro la persona alla quale Julian stava chiedendo un favore!
Che senso ha un comportamento del genere?
Ma ancora più incredibile è il permesso concesso dalle autorità carcerarie per la diffusione di quella lettera, per loro chiaramente infamante. È noto, infatti, che Belmarsh esercita un rigoroso controllo su ogni comunicazione che entra e che esce; pertanto, aver lasciato trapelare la lettera di Julian al re non poteva essere un “errore”. Del resto, sin dall’inizio, la scelta di gettare Julian in una cella di isolamento di un carcere di massima sicurezza – ovvero, di sottoporlo ad un regime equivalente al 41bis italiano – aveva e ha presumibilmente lo scopo principale di impedire ogni comunicazione tra Julian e il mondo esterno. Solo i suoi avvocati (poche volte in quattro anni) e la moglie e i bambini (in teoria una volta alla settimana, in pratica una o due volte al mese) possono avvicinarsi a Julian. Non solo, ma per potersi incontrare con lui, tutti i visitatori devono subire umilianti ispezioni anche nelle parti intime, ispezioni inflitte persino ai due figli di Julian, di 4 e di 6 anni. Ma da Belmarsh, sembrano dire le autorità, non deve uscire nessuna comunicazione da parte di un detenuto. E nemmeno per il tramite di un’intervista giornalistica. Lo scorso 4 aprile, ai capi dell’ONG Reporters senza Frontiere è stato impedito di entrare nella prigione per avere un colloquio con Julian proprio in quanto… giornalisti! Perché tanta severità?
Possiamo ipotizzare che le autorità abbiano paura che Julian possa far uscire dalla prigione certi codici da lui memorizzati che diano accesso ad (ipotetiche) cartelle ancora nascoste sul sito WikiLeaks e così far emergere altre rivelazioni imbarazzanti per il Potere. Inoltre, le autorità presumibilmente non vogliono che Julian possa “aizzare” i suoi sostenitori attraverso messaggi d’incoraggiamento, scritti o registrati – come quelli da lui pronunciati regolarmente dal balcone dell’ambasciata ecuadoriana. Signornò, niente deve trapelare da dietro i grigi muri della prigione di Belmarsh! E allora perché le autorità hanno permesso a Stella Moris Assange di portare via e di pubblicare sul sito declassifieduk.org una copia della lettera di Julian al re? In un tweet dell’8 maggio, la partner di Julian ha addirittura chiesto esplicitamente a tutti gli attivisti pro-Assange nel mondo di fornirle traduzioni della lettera di Julian nelle loro lingue madre, ed è stata inondata di risposte, tutte visibili in rete.
Cosa sta succedendo?
Per quanto restii alle teorie complottiste e, in genere, alla dietrologia, riteniamo che una possibile spiegazione di tutte queste anomalie sia la seguente: la lettera di Julian a Carlo sarebbe in realtà un messaggio in codice per iniziare una trattativa per la sua liberazione. Una trattativa in cui le richieste e le concessioni fatte da entrambe le parti in questa trattativa vanno messe per iscritto, seppure in codice, e rese pubbliche per essere moralmente vincolanti in quanto di pubblico dominio.
Le parole chiave, secondo questa ipotesi, nella lettera di Julian a Carlo del 5 maggio 2023, potrebbero essere “my liege” (“mio Sire, Signore, Sovrano”, appellativo usato da un vassallo), nonché termini come “your noble government” (“il Vostro nobile governo”), non importa se l’attuale compagine governativa non è affatto composta dai soli nobili o Lord.
In pratica, dire “my liege” significherebbe riconoscere la supremazia della Monarchia e dichiararvi la propria sottomissione. Durante l’incoronazione di Carlo a Westminster, persino suo figlio William gli ha dovuto giurare fedeltà promettendo di essere “Your liege man of life and limb”, il “Vostro fedele suddito, pronto a morire per Voi”. Con la sua lettera, dunque, Julian starebbe promettendo sottomissione totale alla Corona e alle future decisioni del re – e anche del suo governo, in quanto come lui “nobile”.
Come mai questo fustigatore dei Potenti avrebbe voluto abbassarsi così davanti alla Monarchia?
Da una parte, essendo australiano (e quindi facendo parte della Commonwealth, che ha a capo il monarca inglese) Julian è stato abituato sin dalla scuola a ripetere frasi come our liege; quindi, in un certo senso, dirlo è per lui una cosa normale. Anche se – bisogna riconoscerlo – frasi come my liege vengono usate sempre meno oggi come oggi, persino da molti alti funzionari della Corona. Lo dice l’autorevole Economist (9 maggio 2023), commentando il comportamento di molti alti funzionari britannici durante l’incoronazione avvenuta il 6 giugno: “Imbarazzati, hanno discretamente (e giustamente) eliminato le parti dei loro discorsi pubblici in cui avrebbero dovuto esprimere fedeltà al re” [corsivo nostro].
Perché Julian ha dichiarato esplicitamente quella fedeltà, allora? Ritengo del tutto possibile che:
- le autorità carcerarie abbiano permesso a Julian di scrivere la sua lettera e di trasmetterla al re, proprio a condizione che essa contenesse frasi che, in occasione della incoronazione di Carlo III, esprimessero sottomissione al volere del sovrano.
- fare ciò costituisca l’apertura formale di un negoziato per chiudere il caso. Anzi, il negoziato è probabilmente già iniziato.
Sappiamo, infatti, che lo scorso 4 aprile, l’Alto Rappresentante del governo australiano ha fatto visita a Julian – la prima visita a Belmarsh di un funzionario di alto rango da quando Julian è stato incarcerato quattro anni fa. Inoltre, sappiamo, dalle indiscrezioni dell’Alto Rappresentante prima del suo lungo colloquio con Julian, che egli auspica una serie di visite. Ora, parlare di “serie” fa pensare, appunto, a una trattativa, per esempio sulle condizioni di rilascio. E al centro di questa trattativa non potrebbe non esserci la spinosa questione di base, apparentemente irrisolvibile, ovverosia: una volta liberato, Julian ricomincerà a far funzionare il sito WikiLeaks e a rilasciare documenti scottanti ottenuti attraverso quel canale ingegnoso? O accetterà invece di fare il padre di famiglia e basta? O vorrà invece cercare una via di mezzo: fare il giornalista, sì, ma scrivendo articoli che si basano solo su documenti già rivelati, senza sollecitare o pubblicare nuove rivelazioni?
Ora, trattare le condizioni per il rilascio di Julian significa stabilire delle regole. Significa anche riconoscere un’autorità, accettata da entrambi le parti, abilitata a far osservare quelle regole. Perciò la parte britannica potrebbe aver suggerito all’Alto Rappresentante australiano di far scrivere a Julian una lettera di sottomissione alla Corona come riconoscimento dei propri limiti e pertanto come apertura delle trattative.
Dal canto suo, Julian potrebbe essere riuscito a far accettare dalle autorità britanniche la stesura di una lettera – da diffondere pubblicamente – che contenga critiche impietose sulle condizioni di vita a Belmarsh. In tal modo, la parte britannica, anche se detiene l’ultima parola, riconosce anch’essa i propri limiti. Così, Julian avrebbe pareggiato i conti e le trattative potranno proseguire su un piano di parità.
Ma attenzione: le critiche impietose che Julian fa riguardano soltanto le sue scandalose condizioni di vita in carcere. Non riguardano il fatto, ancora più scandaloso, che egli sia ancora in carcere dal momento che la sua detenzione è stata giudicata arbitraria dall’ONU, l’approvazione della richiesta di estradarlo risulta stra-viziata e l’extraterritorialità pretesa dalla giustizia statunitense è un chiaro abuso di potere. Le critiche impietose che Julian fa nella sua lettera non riguardano nemmeno i suoi ben noti cavalli di battaglia: i crimini di guerra USA/UK ancora impuniti o l’illecito spionaggio di massa della CIA/NSA o le devastazioni ambientali da parte delle multinazionali petrolifere, per esempio. Evidentemente questi cavalli sono stati messi al pascolo mentre Julian componeva la sua lettera al re. In fondo, se si vuole davvero negoziare, bisogna accettare di interrompere le ostilità: l’Ucraina insegna. E questa sembra essere stata la scelta del co-fondatore di WikiLeaks – una scelta saggia che non si può non approvare:
“Per tutto c’è il suo tempo…
un tempo per strappare e un tempo per cucire,
un tempo per parlare e un tempo per tacere…” (Ecclesiaste 3, 7)
Che dire, infine, dello strano paragrafo in cui Julian cita i versi di Proverbi 22:6 – in verità, poco attinenti al suo discorso – e accenna al “big day out” (letteralmente, “grande giorno fuori” ma il riferimento potrebbe essere ai concerti rock “Big Day Out” che si tenevano in molte città australiane). Chissà cosa potrebbero veicolare le cifre 22:6 e quei riferimenti al mondo di fuori downunder? Ma, a questo punto, siamo a due passi dalla divinazione. Perciò, dal momento che divini non siamo, tronchiamo le speculazioni e attendiamo altri indizi.
Rimane ferma, però, la possibilità che la lettera al re Carlo rappresenti il primo passo concreto e documentale verso la liberazione di Julian Assange. Per ora, un’ipotesi soltanto. Dita incrociate.
Patrick Boylan è docente di teoria e pratica della traduzione all’Università Roma Tre, autore del libro Free Assange e co-fondatore del gruppo “Free Assange Italia”]
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A questo articolo farà seguito un secondo articolo con una traduzione umana comunicativa della lettera di Julian, in cui si cercherà di dire le stesse “cose” che ci sono nell’originale ma di far sentire davvero la voce di Julian e di trasmettere in italiano ciò che egli stesso ci avrebbe trasmesso qualora sapesse l’italiano. Perché questa è l’essenza della traduzione comunicativa.
Il secondo articolo conterrà anche una spiegazione delle differenze tra le traduzioni comunicative e quelle semantiche. Infine, faremo alcune considerazioni sui limiti dei traduttori automatici (Google Translate, DeepL, ChatGPT) rispetto a quelli umani e su come porvi rimedio.