E’ allarme dispersione scolastica nel Napoletano: nei giorni scorsi i carabinieri hanno denunciato 105 genitori (ed esercenti la patria potestà) per non avere rispettato l’obbligo di istruzione dei figli minorenni: 65 ragazzi di età compresa tra gli 8 e i 14 anni che quest’anno non hanno frequentato la scuola dell’obbligo, perdendo di fatto l’anno.
I militari della compagnia di Pozzuoli hanno segnalato i nuclei familiari alla Procura ordinaria e a quella dei minorenni di Napoli per “inosservanza dell’obbligo scolastico”. Sono stati informati anche i servizi sociali competenti per territorio.
La notizia ha destato un forte allarme sociale. Il Napoletano infatti non è l’unico territorio italiano segnato dalla piaga della dispersione scolastica che, come si evince dai dati, riguarda non solo degli adolescenti, ma anche dei bambini delle prime classi delle elementari.
Per comprendere meglio il fenomeno e dare una risposta concreta all’emergenza, Interris.it ha intervistato la dottoressa Carla Garlatti, titolare dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (AGIA).
L’intervista a Carla Garlatti
Qual è la posizione dell’Autorità Garante sulla spinosa questione della dispersione scolastica?
“La dispersione scolastica è uno dei punti di emergenza che io, in quanto Autorità Garante, ho segnalato nella nota inviata alla premier Giorgia Meloni lo scorso Novembre. Si tratta infatti di una problematica grave in merito alla quale questo ufficio ha pubblicato uno studio apposito: ‘La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale’“.
Ci sono Regioni dove il fenomeno è più severo?
“Sì, ad esempio la Campania, la Sicilia, la Calabria. La dispersione non riguarda solo il Meridione, ma anche le altre Regioni italiane e le periferie delle grandi città di tutta Italia. E’ necessaria una rete che deve essere presente tra le scuole, i tribunali per i minorenni, i comuni. Perché l’abbandono scolastico deve essere immediatamente segnalato. Il minore e la famiglia devono essere presi in carico immediatamente”.
Dove sono impiegati i bambini e i ragazzi under 14 che non vanno a scuola nonostante l’obbligo scolastico?
“Non è escluso che vengano impiegati nel lavoro: nel negozio o nel campo di famiglia. Fino ad impieghi peggiori, come l’accattonaggio o l’avvio alla criminalità. Sono tante le strade che possono percorrere questi minori lontani dalla scuola.
Per contrastare la dispersione, bisogna coinvolgere in primis i genitori, che a loro volta devono essere sensibilizzati sull’importanza dell’apprendimento e dell’istruzione per la vita dei loro figli.
La scuola è l’unico strumento per spezzare la spirale della povertà e per offrire ai bambini, a tutti, le stesse opportunità. Un rapporto Istat del 2020 ha segnalato che, se la persona di riferimento ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore, l’incidenza di povertà è del 4,4%; se ha solo la terza media, l’incidenza è del 10,9%, quindi più del doppio.
Il che dimostra che la scuola può fare davvero molto per il futuro dei ragazzi”.
Quali proposte avanza l’Autorità per limitare la dispersione scolastica?
“Innanzitutto: la prevenzione. E’ necessario individuare le aree più a rischio e poi intervenire in modo massiccio e mirato. Un’altra proposta fattiva è quella dell’apertura prolungata delle scuole e che queste diventino attrattive con attività extra scolastiche, anche sportive, che permettano ai minori di stare meno tempo possibile in mezzo a una strada. Una scuola fatiscente inoltre dà l’idea di uno Stato fatiscente: deve invece essere anche bella esteticamente, avere la palestra, la connessione a internet, i laboratori etc. La scuola deve diventare più attrattiva della devianza. Infine, l’abbandono scolastico va subito segnalato, senza aspettare che passino i mesi. Per due ragioni: il bambino perde l’anno e chissà cosa ha fatto in tutto quel tempo lontano da scuola”.
In che misura la conoscenza delle diversità culturali aiuta bambini e ragazzi nel dialogo con l’altro?
“L’inclusione è un approccio culturale che deve iniziare da piccoli: fin dalla tenera età bisogna imparare a rispettare la diversità ed essere inclusivi. Imparare ciò è il primo passo verso un benessere collettivo che non può che incidere positivamente sulla collettività”.