Pubblichiamo la recensione di Pietro Maltese a Sfruttamento e dominio nel capitalismo del XXI secolo (Firenze, 2023), volume curato dai nostri redattori e saggisti Toni Casano e Antonio Minaldi per i tipi di Multimage
Frutto di un percorso laboratoriale svolto nel contesto del Caffè filosofico Beppe Bonetti, animato da militanti e studiosi accomunati dall’esigenza di porre in essere una critica radicale del capitalismo, il volume cerca di cartografare le forme contemporanee di estrazione di plusvalore e le modalità governamentali che garantiscono la relativa stabilità delle formazioni sociali capitalistiche. Per comprendere come funzionino i processi di sfruttamento e di dominio nel XXI secolo, il testo si snoda lungo cinque assi tematici, inerenti al devastante impatto dell’attività umana sull’ambiente, alle nuove articolazioni della produzione immateriale e del bio-capitalismo cognitivo, al capitalismo della sorveglianza, secondo la fortunata formula di Zuboff, al processo di finanziarizzazione dell’economia che conduce a una «redistribuzione distorta del reddito» e favorisce «la crescita dei redditi più alti» (p. 200), alla dimensione della geopolitica, nel saggio conclusivo osservata con uno sguardo marxiano tale da illuminare una tendenza alla stagnazione secolare del capitale che potrebbe sfociare nella fine del ruolo egemonico del dollaro.
Punti di abbrivio di questo complesso reticolo di questioni sono, sin dall’Introduzione, lo sgretolamento della composizione di classe fordista, la sussunzione capitalistica delle istanze di liberazione e delle critiche all’organizzazione della fabbrica proprie dei movimenti sociali degli anni ’60 e ’70, la progressiva egemonia dell’ordine del discorso neoliberale. Quest’ultimo, in particolare, sarebbe riuscito a disarticolare il dissenso e a provocare una «spaccatura trasversale sul piano sociale generale del reticolo di solidarietà» (p. 15) dei produttori di plusvalore. In tal senso, come può leggersi in uno degli scritti del volume che interroga il tema della sorveglianza, uno degli obiettivi politici della «governamentalità neoliberale» risiederebbe nello «sbriciolare i tessuti che “collano” una società, al fine di indebolire […] le capacità immaginarie e resistenziali», di sfibrare i «legami sociali», di realizzare, insomma, una «colossale operazione di de-territorializzazione» (p. 133). Il che ha investito e investe anche il campo della riproduzione, per dirla con Alquati, della capacità umana vivente, ossia della produzione di soggettività in apparati egemonici come l’università, cui è dedicato un saggio che indaga le ondate riformiste del sistema di istruzione terziaria, palesando la politicità delle retoriche del merito, della valutazione, dell’eccellenza, che dovrebbero servire a guarire un organismo in crisi di identità, di produttività, di credibilità. Crisi che funziona, del resto, come arte del governo del capitalismo contemporaneo.
L’intelligenza collettiva che ha partorito questo prezioso volume – tra le cui pagine emergono, per inciso, posizioni non univoche o granitiche – non disegna, invero, alcuna opzione concretamente praticabile per intervenire nella e sulla crisi. Non v’è pars construens. Il che non è detto sia un demerito o una mancanza cui porre frettolosamente rimedio. Anche perché l’urgenza dell’abolizione dello stato di cose presenti ha bisogno del rigore militante dell’analisi e della critica, non di ricette per l’osteria dell’avvenire.