Levanzo: un lembo di terra a un pugno di chilometri dalla costa trapanese, così vicina e così piccola che puoi quasi dominarla con un solo sguardo. Poco più di tre chilometri di coste frastagliate su cui si aprono alcune delle più suggestive calette del mediterraneo, uccelli che si rincorrono nel cielo, acque limpide e cristalline con sfumature d’azzurro così intense da far male agli occhi. L’isola verdeggiante dei Greci (Phorbantia) traboccante di essenze che in primavera esplodono in un turbine di colori come se gli dei stessi si fossero divertiti a giocare con la tavolozza di un pittore. L’isola del mito, il cui nome evoca la figlia di Helios, Lampatia, che qua portava il magico gregge del padre a pascolare. L’isola che diecimila anni fa isola non era e nella vasta pianura che la collegava alla costa i primi uomini che abitarono la Sicilia ammiravano correre bovidi oggi estinti. E che hanno magnificamente inciso in quella vera e propria galleria d’arte che è la grotta del Genovese.
E un sentiero che serpeggia su tutto questo e culmina con un faro diroccato da cui puoi vedere delfini che saltellano fra le onde mentre stormi di gabbiani stridono. E ancora una torre saracena ormai diroccata e le case dei Florio che ricoprirono l’isola di vigne.
Levanzo: un pugno di case dove albergano meno di duecento anime che si ostinano ancora a vivere di pesca e turismo, qualche affittacamere, un minuscolo albergo, un paio di ristoranti.
Levanzo: in una sola parola la bellezza. E non la nomini nemmeno, basta vedere gli occhi degli escursionisti che questo lembo di mediterranea terra vengono a visitare.
Ma in Sicilia siamo abituati a declinare al passato la parola “bellezza”. Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire “questo posto era bello prima che venisse distrutto, disboscato, corroso dal cemento, condannato all’incuria, sfregiato, insultato…” Sempre al passato, solo raramente al presente. Perché la bellezza implica responsabilità, implica l’impegno di preservala, implica mettere la faccia e le energie per far sì che i nostri figli possano goderne. Implica fatica, ovvero ciò da cui fuggire per rifugiarsi in una comoda ignavia per poi, un giorno, tornare a dire “questo posto era bello…”.
Ignavia in cui si sono rifugiati i funzionari del comune di Favignana quando si sono trovati davanti la richiesta di Giuseppe Maurici, noto e potente imprenditore edile trapanese. Richiesta a cui non hanno mai risposto, non presentandosi nemmeno alle Conferenze di Servizio, provocando quell’abominio che è il meccanismo del “silenzio assenso”. Richiesta che prevedeva la costruzione di un mostro di acciaio e cemento di 800 metri quadrati a Cala Dogana, praticamente accanto al porto, ed elegantemente chiamato “solarium”. Ignavia in cui si sono rifugiati, nell’ordine, Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali, Arpa, Capitaneria di porto, Genio Civile. Enti che hanno (volutamente?) ignorato la contrarietà espressa nel 2018 dal Consiglio comunale di Favignana verso l’autorizzazione di nuove concessioni demaniali autorizzando quindi lo scempio che, tappa dopo tappa, è stato realizzato qualche settimana fa.
L’ho chiamata “ignavia” ma in Sicilia, si sa, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca e forse la parola corretta da utilizzare è “connivenza”. Perché di certo è un caso che Giuseppe Maurici sia stato ex deputato di Forza Italia prima e di Grande Sud di Miccichè poi, due gruppi politici che hanno sempre dimostrato una notevole attenzione verso l’ambiente e il paesaggio, ovvero quando c’è da sfruttarlo per ricavarne introiti. La chiamano da sempre “valorizzazione” ma che tradotto vuol dire “insulto”.
E dopo che i buoi scappano si chiudono le stalle. Francesco Forgione, attuale sindaco di Favignana (nel cui ambito ricadono anche le isole di Levanzo e Marettimo) in seguito alla tempesta mediatica chiede chiarezza sull’accaduto e indagini su tutto il farraginoso iter che ha portato alla concessione. Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde e deputato di Verdi e Sinistra, ha dichiarato di voler presentare un’interrogazione parlamentare al ministero dell’Ambiente e quello della Cultura. La Capitaneria di porto di Trapani, il 12 maggio, ha posto sotto sequestro la piattaforma e messo i sigilli ai lavori in via cautelativa riservandosi di analizzare, assieme alla magistratura, tutti i documenti e le autorizzazioni concesse in questi anni.
Ma i buoi sono ormai liberi di scorrazzare e lo scheletro d’acciaio è là a sfregiare l’Isola. Un altro insulto alla bellezza, l’ennesimo monumento all’umana idiozia che andrà ad arricchire, chissà per quanto tempo, la galleria di ecomostri siculi assieme a Lido Rossello alla Scala dei Turchi, ai villaggi abusivi della Foce del Simeto, al Paradise Beach al Belice, alla Grande Muraglia di Pirajno…
Cosa possiamo fare? Incazzarci è già un punto d’inizio, urlare che non siamo d’accordo un altro passo. Per adesso possiamo firmare: è di certo un piccolo passo, speriamo che non sia l’unico.
firma la petizione su change.org