Istat e UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) hanno presentato nei giorni scoresi i principali risultati della rilevazione condotta nel 2022 sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ (non in unione civile o già in unione) con l’obiettivo è fornire un quadro informativo su diffusione e percezione delle diverse forme di discriminazione, minacce e aggressioni che, in Italia, le persone LGBT+ possono aver subito, in ambito lavorativo e in altri contesti di vita.

L’indagine, realizzata per autocompilazione di un questionario elettronico raggiungibile on line, è stata rivolta a persone maggiorenni che si definiscono omosessuali e bisessuali, e che al momento della rilevazione vivevano abitualmente in Italia, non erano in unione civile e non lo erano state in passato. Si tratta di un campione di convenienza che non offre, cioè, a tutte le unità della popolazione target la stessa possibilità di entrare a far parte del campione. Tali risultati pertanto sono riferibili solamente alle persone che hanno partecipato all’indagine. I rispondenti sono circa mille e duecento: il 79,6% dichiara un orientamento omosessuale, il 20,4% bisessuale. Si tratta in prevalenza di uomini (61,5%), giovani (il 55,4% ha tra 18 e 34 anni) e persone con un livello di istruzione molto elevato (il 64,2% ha conseguito infatti almeno la laurea). La stragrande maggioranza è occupata (84,7%) o lo è stata in passato (9,8%).

Il coming out (l’atto del rivelare agli altri il proprio orientamento sessuale) in ambito lavorativo è diffuso: l’orientamento sessuale dei rispondenti occupati è noto (o era noto per gli ex-occupati) ai colleghi di pari grado nel 78,3% dei casi, seguiti dal datore di lavoro o superiori (64,8%) e dai dipendenti o persone di grado inferiore (55,3%). Tuttavia, sempre nel contesto lavorativo, il 31,2% riporta episodi di svelamento della propria omosessualità da parte di altre persone (outing). ll 41,4% delle persone intervistate, occupate o ex-occupate, dichiara che essere omosessuale o bisessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati (carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione). Il 61,2% delle persone occupate o ex-occupate riferisce, in relazione all’attuale/ultimo lavoro svolto, di aver evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale; per la stessa ragione circa una persona su tre ha evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero.

Circa 8 persone omosessuali o bisessuali intervistate su 10 hanno sperimentato almeno una forma di micro-aggressione in ambito lavorativo legata all’orientamento sessuale. Per micro-aggressione si intendono brevi interscambi ripetuti che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, insulti sottili diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio. Il 71,9% delle persone omosessuali o bisessuali intervistate dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione a scuola/università non necessariamente legato all’orientamento sessuale (es. origini straniere, aspetto esteriore, problemi di salute, convinzioni religiose o idee politiche, genere, etc.). Circa 1 persona su 3 dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione nella ricerca di lavoro. Il 33,3% delle persone intervistate, occupate o ex-occupate in Italia, afferma di aver sperimentato un clima ostile o un’aggressione nel proprio ambiente di lavoro, non necessariamente legati all’orientamento sessuale. Il 74,5% delle persone omosessuali o bisessuali intervistate ha evitato di tenersi per mano in pubblico con il partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato.

Le offese legate all’orientamento sessuale ricevute via web riguardano il 31,3% dei rispondenti. Escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, l’11,7% afferma di aver subito, negli ultimi tre anni, minacce e l’8,8% aggressioni violente per motivi legati all’orientamento sessuale.

Quali azioni intraprendere in ambito lavorativo per favorire l’inclusione?

Con riferimento specifico alle azioni auspicabili in ambito lavorativosi legge nel Rapporto la stragrande maggioranza delle persone intervistate omosessuali e bisessuali, non in unione civile o già in unione che vivono in Italia, ritiene che per favorire l’inclusione delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro siano urgenti attività di formazione,sensibilizzazione o campagne sulle diversità LGBT+ da parte delle istituzioni pubbliche (84,3%). Nella graduatoria delle azioni auspicabili seguono interventi legislativi (60,4%) e, con un notevole distacco, azioni di indirizzo da parte dell’Unione europea o altri organismi sovranazionali (38,8%), impegno sindacale (35,6%) e iniziative e interventi degli organismi di parità e tutela preposti (23,6%)”.

Durante la rilevazione è stato anche chiesto agli intervistati di indicare quanto fossero favorevoli all’adozione di alcune misure e iniziative in Italia per favorire l’inclusione delle persone LGBT+.

Nel 94,7% dei casi, si evidenzia nel Rapporto, sono molto favorevoli al riconoscimento legale di entrambi i genitori per i figli di coppie omogenitoriali, nel 92,2% a iniziative di informazione e sensibilizzazione alle tematiche LGBT+ nelle scuole (rivolte agli studenti), nel 92,1% all’emanazione di una legge nazionale contro l’omolesbobitransfobia e nel 90,8% a prevedere l’adozione di minori da parte delle coppie omosessuali in unione civile, una quota analoga a introdurre l’istituto del matrimonio anche tra persone dello stesso sesso (matrimonio egualitario). L’88,5% è molto favorevole a introdurre la stepchild adoption (adozione del figlio del partner), l’86,7% a servizi/misure di supporto per persone LGBT+ in condizione di fragilità (es. case riposo, case-famiglia, sportelli di ascolto) e il 79% a introdurre maggiori tutele sul lavoro per le persone LGBT+. Il 62,3% dichiara di essere molto favorevole a consentire la gestazione per altri o la procreazione medicalmente assistita. Il campo aperto relativo ad altre eventuali misure o iniziative è stato utilizzato da molti intervistati per ribadire e dettagliare alcuni degli item già proposti tra cui, ad esempio, la realizzazione di iniziative di sensibilizzazione e formazione attraverso i media, l’organizzazione di eventi culturali e la declinazione del tema della protezione delle persone a maggior rischio di disagio sociale, in riferimento alle persone LGBT+ migranti, ai giovani rifiutati dalle proprie famiglie e agli anziani in condizione di solitudine. Emerge inoltre la richiesta di semplificare il percorso di affermazione di genere, ma anche l’introduzione da un punto di vista legale di un terzo genere per facilitare tra le altre la situazione delle persone con identità non binaria, e la necessità di un’evoluzione della legge 164/82 che introduce e regola la possibilità di modificare il sesso anagrafico. Sempre dal punto di vista legislativo, viene indicata la possibilità di adozione di minori da parte di persone single”.

Qui l’indagine ISTAT-UNAR: https://www.istat.it/it/files//2023/05/report-discriminazioni-15maggio.pdf