La storia che sto per raccontarvi ha inizio nell’ormai lontano 2010. Sullo sfondo uno sperduto paesino della campagna piemontese con le sue case diroccate e le strade sterrate che frammentano il paesaggio in tanti piccoli pezzi. È una mattina d’inverno e su una di quelle strade polverose, a bordo della sua autovettura, c’è un uomo, un uomo voglioso di dare il proprio contributo a qualcosa di importante e utile per l’umanità. Ma lasciate che sia lui stesso a raccontarvi il resto della storia.
Il mio nome è Marco Ghivarello, ma questo importa relativamente. Il primo fatto rilevante è che una mattina di tredici anni fa stavo guidando la mia auto alla volta, più o meno consapevole, della casa di un ricercatore che sapevo essere legato a un progetto interessante. L’uomo che mi accolse nella sua casa mezza diroccata quella lontana mattina del 2010 fece scattare in me una molla e per la prima volta misi insieme tre pensieri, sino ad allora slegati: sono un tecnico, ho esperienza in vari ambiti, ho una passione smisurata per il volo, in particolare quello puro, senza motore, sia esso aliante o parapendio.
La tecnologia di cui mi parlò il ricercatore piemontese era la cosiddetta tecnologia eolica d’alta quota, altresì detta Airborne Wind Energy. Vi spiego brevemente di cosa stiamo parlando. Immaginiamo di “smaterializzare” una torre eolica, mantenendo solo il 30% esterno della pala (l’unica parte che produce energia), e magicamente trasformarlo in un’ala connessa al suolo, la quale vola in cielo collegata a uno o più cavi. La differenza fondamentale con la classica pala eolica è che quest’ala vola a quote più elevate, intercettando quindi venti più intensi e costanti.
Il tutto si traduce in questi dati (fortemente esemplificativi):
- Un risparmio di peso fino al 90%
- Una produzione energetica che, se si intercetta una brezza di doppia intensità, sarà 8 volte maggiore.
In realtà l’idea di utilizzare aquiloni per catturare l’energia dei venti di alta quota e trasformarla in energia meccanica o elettrica non è nuova. Una delle prime trattazioni teoriche, alla base di molti lavori di ricerca più recenti, si deve a Miles L.Loyd, ingegnere impiegato al Lawrence Livermore National Laboratory, che per primo pubblicò nel 1980 sul Journal of Energy i risultati delle sue analisi sulle potenzialità energetiche del sistema e registrò un proprio brevetto per lo sfruttamento industriale del concetto. La tecnologia non era però sufficientemente matura in quegli anni per consentire la realizzazione di un prototipo funzionante.
Ma tornando a noi, dopo l’incontro con il ricercatore, ebbi la opportunità di lavorare come consulente al suo progetto, che in quegli anni era uno dei più promettenti al mondo. Conobbi nei mesi successivi una serie di personaggi che contribuirono, chi più e chi meno, a oliare gli ingranaggi di questa grande macchina. Fu durante questi primi anni che incontrai il grande vecchio, Leonardo Libero, credo il primo giornalista scientifico dell’Italia del dopoguerra. E fu pochi anni dopo che iniziai ad elaborare le mie prime idee sul progetto KGM1 .
Leonardo credette da subito e con ogni sua forza al progetto. Il grande vecchio, come amavo chiamarlo, al termine della sua esperienza lavorativa come dirigente RAI, incominciò attivamente a interessarsi alle energie rinnovabili e, in particolare, a quelle derivanti dal Sole. Fece quindi diversi viaggi per seguire eventi e gare in ambito veicoli ed imbarcazioni a propulsione solare con i pannelli fotovoltaici. Classe 1927, Leonardo era dunque un forte sostenitore di tutto ciò che è realmente green, appassionato di tecnologia, era rimasto profondamente impressionato da quel progetto AWE su cui entrambi abbiamo collaborato ed è proprio grazie a un suo suggerimento che quella iniziativa (nel 2012 mi pare), decollò nuovamente in maniera rocambolesca con un’elevata iniezione di denaro da parte di finanziatori esteri.
Ma, di fatto, di cosa stiamo parlando? Entriamo un poco nel tecnico: immaginiamo un robot industriale in grado di gestire in autonomia il volo di un’ala – non un’ala qualsiasi, ma un’ala customizzata allo scopo. Un’ala che con la sua trazione e il suo volo – su traiettorie speciali e ben definite – sia in grado di estrarre dalla massa d’aria la maggiore quantità possibile di energia cinetica, ossia compiere un lavoro aereo, e poi trasformarla in energia elettrica. Chiaramente il progetto va compreso in tutta la sua inestimabile potenzialità e vanno considerati tutti i fattori: la potenza massima estraibile, che va al cubo della velocità del vento, il peso (fino a 1/10 solamente del peso di una turbina eolica tradizionale) e – non ultima – la complessità. Tale tecnologia è di fatto un impasto di meccatronica, aerodinamica e software che devono lavorare in perfetta sincronia.
Già da fonte Wikipedia “nel settore sono stati investiti negli ultimi anni circa 200 milioni di dollari e almeno 4 aziende prevedono di commercializzare le loro macchine di generazione eolica entro il 2021“, fatto che più o meno corrisponde al vero. Ad oggi si inizia ad entrare in produzione, in EU con almeno un paio di aziende, in altre parti la ricerca prosegue.
L’Italia ha perso per ora il vantaggio iniziale, con tre progetti sulla carta: uno “fermo con le 4 frecce”, l’altro che ormai è uno dei tanti, ma sembra essere ancora vivo grazie a fondi CEE e patrimoni privati, il terzo (il mio) in totale solitudine: per essere finanziati su iniziative potenzialmente breakthrough non basta più un prototipo, patents, un piano industriale, una tesi di Laurea Magistrale e una pubblicazione al TU Delft oltre a un team (seppur non formalizzato), serve un prodotto funzionante e dati alla mano, oltre a un team che ci lavori a tempo pieno pur senza fatturare, ergo bisogna essere molto ricchi e prendersi in pancia il 100% del rischio imprenditoriale. E questo nel settore energia, con le Utilities che stanno a guardare risparmiando costi.
Per fortuna, pur lentamente, l’iniziativa continua a crescere. Nel 2016 io e Leonardo Libero, riprendemmo i contatti, mentre il progetto KGM1 stava ripartendo, grazie ad un amico di infanzia del mio piccolo paese di campagna che mi aveva fortemente incoraggiato e aiutato. Da lì in poi è stato un crescendo di contatti e suggerimenti instancabili, quasi tutti i contatti su giornalisti e scienziati conosciuti arrivano da lui. A Leo devo la maggior parte degli articoli usciti sui vari web magazines e anche, indirettamente, l’aver trovato il piccolo coraggioso finanziatore che ha dato una mano nella prima fase, leggendo della iniziativa sulle pagine di “QualEnergia”. E che spero poter ricompensare, come altri che hanno contribuito.
Devo a Leonardo (e anche allo scienziato, va riconosciuto) un modo olistico di vedere la società, la sua grande capacità di avere uno sguardo d’insieme, capacità che cercava di instillare nelle masse, talvolta incapaci di leggere la realtà nella sua complessità. Leo era uno dei pochissimi ad avere il coraggio delle proprie azioni, unito ad un’eleganza quieta nell’esporre i propri argomenti e ragioni, non so quante volte ha ammortizzato le mie affermazioni per poi spingere nella direzione che concordavamo, ma con intelligenza e determinazione.
La sua speranza era quella di un mondo meno schiavo del consumismo e dello spreco energetico contro cui si batteva, vedendo nel cambiamento climatico uno dei grandi pericoli del nostro presente per la sopravvivenza dell’umanità e delle future generazioni.
Ricordo Leo nelle nostre ultime chiamate, cercavo di immaginarmi a parti invertite, con la grande fatica a selezionare le parole per mettere insieme un discorso. Eppure fino alla fine ha mantenuto la sua elegante perseveranza e caparbietà. Anche nell’ultimo giorno di vita ha cercato di rimanere in contatto con il mondo delle energie rinnovabili che amava profondamente; leggendo con molta fatica gli ultimi messaggi email ricevuti. La sua missione in questo senso si è, fino a quando è stato possibile, compiuta.
Ad ora il progetto – anzi la nostra “araba fenice” – è viva, siamo in una fase in cui mancano le premesse per partire ma il lavoro per crearle aumenta esponenzialmente e si deve almeno provare a tenere il passo ancora per un po’, poi vada come deve andare, in ogni caso il “messaggio nel mare del web” è imbucato. Mi auguro che Leo ci guardi da lassù e spero di riuscire ad avviare quello che per 7 anni è stato un sogno comune!