Dopo le seguitissime elezioni del 14 maggio in Turchia e in attesa del ballottaggio fra Erdoğan e Kılıçdaroğlu, anche sull’altra sponda dell’Egeo è tempo di recarsi alle urne. Domenica 21 maggio, infatti, gli elettori greci saranno chiamati a votare i 300 membri del Parlamento monocamerale che formerà un nuovo governo. Una tornata elettorale che, benché stia catalizzando le attenzioni in misura minore rispetto a quella turca, rappresenta allo stesso modo un passaggio importante, non solo per i destini della repubblica ellenica, ma anche per l’area del Mediterraneo Orientale, il cui futuro passa inevitabilmente da quello che accadrà sul piano elettorale in questo mese di maggio.
Le novità
Le elezioni in Grecia del 21 maggio presentano una duplice novità: per la prima volta il diritto di voto sarà concesso anche alla nutrita emigrazione greca e, a seguito dell’entrata in vigore della riforma promossa nel 2016 dal governo Tsipras II, i cittadini greci voteranno il Parlamento tramite un sistema proporzionale puro, senza premio di maggioranza. Per formare un nuovo governo occorrerà che una delle coalizioni ottenga la maggioranza dei seggi (almeno 151); nel caso nessuna forza politica riesca a raggiungere il numero dei parlamentari richiesto, delle nuove elezioni saranno indette per il 2 luglio, questa volta riadottando il sistema maggioritario precedentemente in uso, che vede un premio di maggioranza di 20 seggi a cui se ne possono sommare fino ad altri 30, uno ogni mezzo punto percentuale guadagnato fra il 25% e il 40%.
Il quadro dei partiti
L’elezione della XIX legislatura ellenica si prospetta, ancora una volta, come un testa a testa fra i liberal-conservatori di Nea Dimokratia, guidata dal premier uscente Kyriakos Mitsotakis, e SYRIZA di Alexis Tsipras. Se nel 2019 il divario fra i due partiti era stato di 8,4 punti percentuali (Nea Dimokratia si era attestata sul 39,9%, SYRIZA al 31,5%) e, nel corso dell’attuale legislatura, era cresciuto fino al 28% all’inizio della pandemia, ad oggi lo scarto sembra essersi ridotto al 6%. Un divario limitato, che tiene aperti molti scenari: appare già chiaro, però, che difficilmente uno dei due partiti riuscirà ad avere il numero di voti sufficiente ad ottenere subito la maggioranza parlamentare e formare un nuovo governo.
Molto probabilmente, dunque, bisognerà ballare il valzer delle alleanze di coalizione. Ed è in quest’ottica che il PASOK (Movimento Socialista Panellenico) può ritagliarsi una rinnovata importanza. Il vecchio Partito Socialista, una volta forza politica di primo piano, sembra finalmente essere uscito dagli anni bui nel quale era scivolato dopo le elezioni del 2009 a causa del suo sostegno alle misure di austerity. In seguito alla nomina a segretario di Nikos Androulakis nel dicembre 2021, infatti, il partito ha visto un’importante crescita di consensi, arrivando a toccare il 16%. Benché la spinta data dal rinnovato interesse sembri essersi arrestata, il PASOK (oggi al 10%) può tuttavia rappresentare il vero e proprio ago della bilancia, decidendo se rivolgersi a destra o a sinistra per formare la coalizione vincente. Ad oggi, però, Androulakis non sembra intenzionato a fare né l’una né l’altra cosa, viste le posizioni critiche sia nei confronti di Mitsotakis che di Tsipras, che ha definito rispettivamente come “populismo con cravatta e populismo senza cravatta”.
Visto il quadro delineato, anche i vari partiti minori del frammentato scenario politico ellenico potrebbero ottenere una rilevanza inaspettata, soprattutto agli occhi di SYRIZA, più orientato alla ricerca di alleanze rispetto a Nea Dimokratia, che parrebbe rivolto invece a puntare tutto sull’ottenere la maggioranza parlamentare al secondo turno, grazie al ritorno al sistema maggioritario. Fra gli schieramenti che i sondaggi indicano sopra alla soglia di sbarramento (fissata al 3%) vi sono il KKE (Partito Comunista Greco), che si attesta al 6-7%; MeRA25 (Fronte della Disobbedienza Realistica Europea), fondato dall’ex-ministro delle finanze del governo Tsipras Yannis Varoufakis, al 3-5%; Soluzione Greca (Elliniki Lysi), piccolo partito su posizioni di estrema destra, euroscettiche e filorusse, dato intorno al 4%; e Creazione Nazionale (Ethniki Dimiourgia), che promuove politiche liberal-conservatrici di riforma dello stato, anche in chiave anticomunista e anti-immigrazione, che si posiziona a cavallo del 3%.
Non ci sarà, invece, il Partito Nazionale dei Greci (Ethniko Komma – Ellines), guidato dall’ex parlamentare di Alba Dorata Ilias Karidiaris dal carcere dove sconta una pena di 13 anni per associazione a delinquere. Il Partito Nazionale, infatti, è stato escluso dalla competizione elettorale da una sentenza della Corte di Cassazione greca del 2 maggio scorso che l’ha giudicato come l’erede politico di fatto del partito neonazista Alba Dorata, sciolto il 7 ottobre 2020 per associazione a delinquere, e che ha ritenuto le idee razziste e violente del suo leader un pericolo reale per la democrazia del Paese.
Tra tensioni sociali e disillusione giovanile
Mentre il governo Mitsotakis da un lato fa leva sui confortanti segnali di ripresa economica della Grecia e strizza l’occhio all’estrema destra promettendo il prolungamento del muro anti-migranti sul confine con la Turchia, dall’altro è sotto accusa come mai prima. L’opposizione guidata da SYRIZA e larghe fette della società civile infatti rinfacciano all’esecutivo due principali capi di imputazione: la complicità con i servizi segreti nell’utilizzo dello spyware Predator per sorvegliare i telefoni di giornalisti ed esponenti politici rivali, come Nikos Androulakis (che si immagina poco disposto a cercare alleanze con chi l’ha spiato fino a pochi mesi fa); e le responsabilità dirette nel disastro ferroviario di Tempe del 28 febbraio scorso, dove hanno perso la vita 57 persone, di cui molti studenti universitari al rientro dalle vacanze. L’incidente, in particolare, ha innalzato in maniera importante la tensione sociale nel Paese, inaugurando una stagione di dure contestazioni di piazza, rivolte non solo al partito al governo (che contestualmente ha visto il suo vantaggio su SYRIZA ridursi al 3%), ma anche a tutta una classe politica considerata come colpevole della svendita nazionale e incapace di proteggere i propri cittadini.
Fra i giovani, in particolare, sembra circolare un totale senso di disillusione e di abbandono da parte di una politica percepita come totalmente scollegata dalle esigenze del paese reale, attivissima su TikTok per cooptarne i voti, ma incapace di coinvolgerli realmente nella discussione dei temi che li toccano in prima persona. Gli affitti alle stelle, la disoccupazione giovanile (al 24,2%, seconda solo alla Spagna) e la conseguente emorragia verso l’estero, la sfiducia nella giustizia, la drammatica situazione della libertà di stampa, la transizione ecologica e la risposta al cambiamento climatico: tutte questioni rimaste minoritarie – o estranee – nel dibattito elettorale. Il voto delle nuove generazioni però pesa (in circa 440’000 si recheranno alle urne per la prima volta), e le forze politiche in campo lo sanno bene.
Futuri scenari sul Mar Egeo
Che cosa cambierà sul piano internazionale? È difficile dirlo. Molto dipenderà da come il nuovo governo si relazionerà con il futuro presidente turco: Nea Dimokratia e SYRIZA sembrano concordi nel preferire Kılıçdaroğlu, più disponibile al dialogo e orientato verso l’Europa rispetto al rais Erdoğan, la cui politica per l’EastMed – nonostante la “diplomazia del disastro” post-terremoto abbia portato ad un riavvicinamento fra i due Paesi – è stata caratterizzata da toni autoritari e minacce belliche. Mitsotakis ha dichiarato che “le strategia della Turchia non cambiano in una notte”; pare però certo che il futuro del Mediterraneo Orientale, in ogni caso, resti ancora tutto da scrivere. Anche in quest’ottica, ciò le elezioni in Grecia del 21 maggio sono da seguire con grande attenzione.