Il pensiero e l’azione politica del Mahatma Gandhi si inseriscono in quel movimento di rinascita dell’induismo che si è prodotto in India dagli ultimi anni dell’Ottocento fino alla prima metà del Novecento, in seguito al forte impatto che la cultura occidentale aveva provocato sulla civiltà indiana durante due secoli di diffusa colonizzazione inglese.
Gandhi rappresenta l’espressione più alta del movimento culturale indiano che mirava alla piena riaffermazione dei valori essenziali della tradizione induista contro l’imitazione servile di idee occidentali che si era andata sviluppando insieme all’immagine trionfante del colonialismo britannico, alla società industriale, all’opulenza e al nascente consumismo. La tradizione indù, a cui Gandhi si rifaceva, poggia su un bagaglio di altissime conoscenze «udite» dagli antichi r.s.i o saggi e trascritte nei Veda, nelle Upanishad, nei Purana, dandoci lezioni ante-litteram di decrescita, nonviolenza e stile di vita ecologico profondo in connessione con il Tutto.
Di questo parliamo con Gloria Germani, ecofilosofa impegnata da sempre nel dialogo tra Occidente e Oriente, allieva del filosofo Serge Latouche, dell’ecologista svedese Helena Norberg Hodge e del giornalista Tiziano Terzani, del cui pensiero è tra le massime esperte. Attiva nei movimenti deep ecology, nella Rete per l’Ecologia Profonda, in Navdanya International e nell’Associazione per la Decrescita, è praticante dell’Avdaita Vedanta (Via della Non-dualità), la più conosciuta fra tutte le scuole Vedānta dell’induismo. Nel 2002 scrive il libro Madre Teresa e Gandhi con la prefazione di Terzani che, essendosi fortemente interessato a Gandhi negli ultimi anni della sua vita1, disse: “Il libro della Germani ci offre una delle migliori interpretazioni di Gandhi che mi sia capitato di leggere”.
A molti occidentali piace vedere in Gandhi un “indiano sui generis” più vicino alla cultura occidentale e cristiana rispetto a quella orientale. Vi è anche la leggenda secondo la quale Gandhi non si sarebbe convertito al cristianesimo solo per il fatto che le due Guerre Mondiali avevano avuto origine da potenze tradizionalmente cristiane. Cosa pensi a riguardo? Gandhi è un filosofo “sui generis” o parte integrante della cultura indù?
Ho studiato e meditato a lungo Gandhi e sostengo che il suo pensiero si situa all’interno della cultura indiana, la cultura dei suoi padri e della sua gente, e non può essere capito senza tenere presente questa visione. Ovviamente, nella sua vita Gandhi si trovò continuamente in contatto con la cultura occidentale: a Londra dove studiò giurisprudenza, in Sudafrica dove iniziò la sua lotta nonviolenta contro il regime inglese e ovviamente in India. Per questo si prodigò in una attenta analisi della cultura antagonista attraverso lo studio di molti scrittori occidentali. Gli autori che lo colpirono in maniera molto positiva furono Tolstoj, Ruskin, Mazzini, Thoreau e si dedicò sempre a meditare le scritture delle grandi religioni: i Vangeli, ma anche il Corano e l’Avesta, mosso da uno spirito di apertura e di sincera ricerca per le verità contenute in esse. Eppure Gandhi non smise mai di considerarsi un indù sanatani, cioè un indù ortodosso e precisò che la sua dottrina dell’ahimsa (nonviolenza) e del satyagraha (la forza della verità, l’aderire, agraha, alla verità, satya) altro non erano se non la riaffermazione di concetti induisti. «Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne»2; «Benché io sia un ammiratore di taluni aspetti della dottrina cristiana- scriveva – non posso identificarmi con il cristianesimo. L’induismo, quale io lo conosco, soddisfa interamente la mia anima, occupa tutto il mio essere»3.
Albert Eistein scrisse del Mahatma: “Le generazioni future stenteranno a credere che un uomo come lui abbia davvero camminato su questa terra”. Di fronte a tale grandezza, la gran parte degli occidentali ha invece cercato di includerlo nella supposta superiorità cristiana e occidentale. Molti pacifisti ed intellettuali nostrani compiono infatti un grande sbaglio: quello di studiare Gandhi senza sapere praticamente nulla della cultura indù e della visione del mondo radicalmente diversa dalla nostra che essa sottende. Credo infatti che dietro alla leggenda a cui ti riferisci ci siano due grandi miti dell’Occidente: che il cristianesimo è l’apice di tutte le religioni (a cui le altre fungono da preparazione); e che l’Occidente è la civiltà superiore tra tutte. Si tratta appunto di miti senza vero fondamento, ma con conseguenze pericolose.
Ci puoi parlare della filosofia nonviolenza e del Satyagraha come strumento di lotta politica e di liberazione?
Per capire Gandhi, come dicevo, dobbiamo aver presente il pensiero indiano. Al centro della filosofia indù c’è la certezza che tutta la vita è Una; non solo quella degli esseri umani, ma di tutti gli organismi viventi: animali, vegetali, minerali. Ciò significa anche che non esiste una separazione netta tra ciò che è mente e ciò che è materia (o in termini più occidentali tra spirito e corpo). La filosofia dell’India è infatti la filosofia Advaita, della non-dualità che percorre il pensiero indiano dalle sue origini nelle Upanishad (almeno VIII secolo a.c.) in una catena ininterrotta fino ai giorni d’oggi. La filosofia della non-dualità si riflette nella certezza nell’unità e nella sacralità di tutto ciò che vive, senza eccezioni. Da questa certezza che il mondo e l’umanità sono un tutto interconnesso e indivisibile deriva la grande verità della nonviolenza. Anche la concezione dell’uomo è essenzialmente diversa dalla nostra; ciascun uomo è essenzialmente buono e potenzialmente divino (un avatar, una manifestazione del divino sulla Terra); se ha momenti di deviazione può essere riscattato attraverso il contatto e la relazione con gli altri.
Questo è il nucleo del millenario pensiero che Gandhi riprende e sintetizza nel neologismo Satyagraha, “la forza della verità”. Infatti come ha ripetuto tantissime volte, nonviolenza e forza della verità sono una sola e medesima cosa. È evidente che il Mahatma non avrebbe potuto aver milioni e milioni di seguaci se questo pensiero non fosse radicato nella cultura e nella gente dell’India. Attraverso la forza della verità e la nonviolenza, l’avversario o il nemico non viene convertito mediante la violenza imposta, e quindi ferite, guerre e bombe (oggi oltretutto lanciate da distanze siderali con i droni). L’avversario al contrario viene convertito semplicemente perché è esposto alla visione dell’altrui sofferenza. Il presunto nemico comprenderà le rivendicazioni attraverso il riconoscimento della comune umanità, attraverso un movimento di nobilitazione del proprio sentire. D’altra parte, il combattente nonviolento è disposto a difendere la verità con maestoso coraggio perché – siccome tutto è interconnesso – la deviazione di alcuni verso la violenza, il sopruso, la cupidigia del potere e del possesso, viola l’essenza umana ed avrà ripercussioni drammatiche sugli altri uomini, la società e anche l’ecosfera.
C’è un’ulteriore punto molto importante. Per essere combattenti nonviolenti, non basta seguire corsi universitari o workshop di formazione, ma bisogna intraprendere un lavoro lungo e complesso. Si deve essere in grado purificare il proprio ego attraverso l’abbandono dell’interesse personale e della volontà di autoaffermazione e di appropriazione. Il lavoro su se stessi deve precedere qualsiasi lotta nonviolenta. Anche a livello politico, Gandhi era convinto che l’indipendenza, l’autonomia dell’India – lo swaraj – doveva essere il risultato del raggiungimento dello swaraj personale, del dominio su se stessi, del dominio sulle passioni, per far emergere i lati più nobili ed alti della personalità. Per questo, si rifaceva continuamente ai cinque precetti o yama comuni all’induismo, allo yoga, al buddismo e al giainismo. Gandhi stesso diceva: “Coloro che ricercano la verità, dovrebbero sottoporsi ad una disciplina preliminare e fare voto di sincerità, di purezza, di nonviolenza, di povertà e di non possesso. Finché non ti sottoponi ai cinque voti non puoi imbarcarti in nessuna ricerca. Proprio perché oggigiorno ciascuno rivendica il diritto alla coscienza senza sottoporsi a nessuna disciplina di nessun genere, tanta menzogna viene dispensata ad un mondo confuso. Tutto quello che in piena umiltà posso consegnarvi, è che la verità non può essere trovata se non da qualcuno che ha raggiunto un grande senso di umiltà. Se vuoi nuotare nel grembo dell’oceano della verità, devi ridurre te stesso ad un zero. Più di questo non so, e non posso dire”4. In un altro brano in cui commenta l’essenza del testo più importante della cultura indù, la Bhagavadgita, Gandhi afferma: «Sono giunto alla conclusione che la Gita è stata composta per insegnare quest’unica Verità: possiamo aderire alla Verità nella misura in cui ci libereremo dal nostro attaccamento all’ego»5.
Marco Ferrini, maestro Hare Krishna italiano e filosofo indovedico, ha definito Gandhi “il più politico tra gli spirituali e il più spirituale tra i politici”. Che ne pensi?
Questa definizione di Ferrini è sicuramente calzante e ci aiuta a mettere a fuoco alcuni punti nevralgici. Innanzitutto che la distinzione tra spirito e materia/realtà concreta a cui competerebbe la politica, non è una distinzione universale. Come ho detto, la filosofia orientale non ha mai concepito la separazione tra mente e materia e dobbiamo sottolineare che anche la fisica da 100 anni ci insegna che tale distinzione è falsa. Noi abbiamo fatto della separazione tra religione e laicismo (spirito-materia) uno dei capisaldi della modernità ma – data l’enorme crisi attuale, ecologica, sociologica, esistenziale – penso che dovremo rivederla. Infatti oggi si parla molto del fatto che dovremmo risacralizzare il mondo. La separazione tra spirito e materia ha molto a che vedere con la religione occidentale giudaico-cristiana, i suoi dogmi e le sue gerarchie che non hanno equivalenti in altri contesti culturali. Gandhi sosteneva che coloro che affermano che la religione non ha nulla a che fare con la politica, non hanno una conoscenza della religione»6. Infatti la visione indù ci insegna che tutto è Uno, tutto è sacro, come dicevamo all’inizio, al di là delle illusorie sembianze della molteplicità e del divenire quotidiano, che sono considerate maya, appunto.
Gandhi scrive nella sua Autobiografia: “Per vedere a faccia a faccia l’universale e onnipresente spirito della verità, si deve essere in grado di amare il più infimo degli esseri creati come se stessi. E un uomo che aspira a ciò non può permettersi di estraniarsi da nessun campo di attività umane. È per questo che la mia aspirazione alla Verità mi ha condotto alla politica; e posso dire senza alcuna esitazione, anche se con assoluta umiltà, che coloro che affermano che la religione non ha nulla a che fare con la politica non sanno che cosa significa religione. L’identificazione con ogni essere vivente è impossibile senza autopurificazione; senza autopurificazione l’osservanza della legge dell’ahimsa rimane un vuoto sogno”7.
Vorrei ancora distinguere la religione a cui si riferisce il Mahatma dalla nostra. Il Dio di cui parla Gandhi non ha niente a che fare con un Dio-persona, un Dio che crea. Questa concezione dualistica di un Dio trascendente è estranea al pensiero orientale. Gandhi dice: «Non riconosco altro Dio eccetto il Dio che si trova nei cuori delle moltitudini silenziose. Loro non riconoscono la sua presenza. Io sì. Venero quel Dio che è Verità o la Verità che è Dio attraverso il servizio di queste moltitudini»8 E in un altro passaggio: «Per potersi uniformare a una simile concezione religiosa bisogna dedicare tutto il proprio essere a servire e ad agire. Non si può attingere, realizzare la verità, senza immergersi, senza identificarsi con l’infinito oceano della vita. Non posso esimermi dal servire la società né potrei trovare la felicità in altro. E bisogna servire in ogni modo, in ogni forma. Nulla è troppo elevato, né troppo umile; tutto è uno e la molteplicità è un’apparenza»9.
Gandhi è stato indubbiamente un leader anti-coloniale. In cosa consiste la sua critica al colonialismo? È qualcosa di più ampio rispetto alla critica al dominio inglese?
Assolutamente si. Gandhi lo ha ribadito molte volte. La sua lotta non era contro gli inglesi ma contro il tipo di civiltà che gli inglesi avevano abbracciato e che portavano in India. Scrive Gandhi: «Non esiste una barriera invalicabile tra Oriente e Occidente, tra uomo bianco e uomo giallo, piuttosto esiste una civiltà moderna che è completamente materialistica e per questo ha fatto perdere il senso del vero fine del vivere». Anche il suo giudizio sul cristianesimo è molto chiaro e nel 1920 scriveva: «La religione dell’Occidente, il cristianesimo, ha esaurito la sua funzione perché esso non ha il coraggio di combattere la violenza con l’amore. I valori etici del Cristianesimo sono diventati delle verità astratte che non hanno alcuna influenza sulla vita degli individui e tanto meno dei popoli»10. Il Mahatma tocca un secondo punto decisivo: «La civiltà moderna è una civiltà solo di nome, sotto la sua azione gli Stati europei si stano degradando e rovinando giorno dopo giorno». E conclude: «Per coloro che ne sono intossicati, il solo dio è il denaro e desiderano trasformare il mondo intero in un enorme mercato per le loro merci»11.- Parole davvero preveggenti se pensiamo che sono state pronunciate 100 anni fa. Quando ancora si trovava in Sudafrica e difendeva come avvocato la comunità indiana contro i soprusi del governo coloniale inglese, Gandhi scrisse nel 1909 il suo primo libro – Hind Swaraj – dove sono condensate tutte le sue posizioni: fino alla fine, diceva che non c’era una sola riga che non avrebbe di nuovo sottoscritto12. E un testo straordinario riedito in italiano dal Centro Gandhi come Vi insegno i mali della civiltà moderna. La domanda veramente focale che Gandhi pone e con cui intitola il capitolo XII è la seguente: Cos’è dunque la vera civiltà? Possiamo considerare civiltà quanto più velocemente la gente si sposta, o come si veste? E risponde: «La civiltà è quella forma di condotta che indica all’uomo il cammino del dovere e l’osservanza della moralità. Osservare la moralità significa ottenere la padronanza della nostra mente e delle nostre passioni. Se questa definizione è corretta allora l’India, come hanno dimostrato molti scrittori, non ha niente da imparare da nessuno […]. Ci accorgiamo che la nostra mente è un uccello irrequieto. Più ottiene, più vuole, più rimane comunque insoddisfatta. I nostri antenati perciò misero un limite alle nostre indulgenze. Essi videro che la felicità era in larga misura una condizione mentale. Un uomo non è necessariamente felice se ricco o infelice se è povero. Osservando tutto ciò i nostri antenati ci hanno dissuasi da lussurie e piaceri […] E qua Gandhi fa l’osservazione decisiva – Non si trattava di non sapere come inventare le macchine, ma i nostri padri sapevano che se avessimo dedicato i nostri cuori a tali cose, ne saremmo rimasti schiavi e avremmo perso la nostra fibra morale. Essi quindi dopo doverosa riflessione, decisero che avremmo fatto solo ciò che potevamo fare e con le nostre mani e piedi. Videro che la nostra vera felicità e il nostro benessere consistevano in un uso appropriato delle nostre mani e piedi»13. Cadono così i presupposti stessi della supposta civiltà superiore o del Progresso. Sono temi che oggi sarebbe molto opportuno rimeditare a fondo. Per tornare alla nonviolenza e alla forza della verità, il più grande studioso di induismo – a mio avviso – il tedesco Herich Zimmer ha sostenuto: «Il programma del satyagraha (la forza della verità) costituisce un esperimento serio, moderno e potenzialmente molto potente dell’antica scienza indù per trascendere i poteri inferiori e per entrare in quella dei poteri superiori. Gandhi fronteggiò la non sincerità (asatya) della Gran Bretagna con la sincerità (satya) dell’India, la politica britannica degli espedienti con il sacro dharma indù»14.
di Lorenzo Poli – 1 maggio 2023
1 Cfr. In particolare gli ultimi due capitoli di Lettere contro la guerra, Longanesi 2002 e i sei capitoli finali di La Fine è il mio Inizio, Longanesi 2006 sono dedicati all’approdo completo alla visione gandhiana. Cfr. Gloria Germani, Tiziano Terzani, la forza della verità, conclusione: “Dal Capitalismo a Gandhi”,Punto di Incontro, Vicenza, 2015
2 M.Gandhi, Antiche come le Montagne, Mondadori, 1987.
3 M.Gandhi, Christian Mission 28 luglio1928. cfr il mio Madre Teresa e Gandhi, L’etica in Azione, Mimesis, 2016,p. 61sgg.
4 M.K. Gandhi, Young India del 31 dicembre 1931.
5 M.K. Gandhi, Gandhi commenta la Bhagavad Gita, Edizioni Mediterranee, 2012, p. 43.
6 M. K. Gandhi, An autobiography or the history of my experiments with truth, trad. it. La mia vita per la libertà, Newton Compton, p. 453, e M. K. Gandhi, Teoria e pratica della non violenza, cit., 31.
7 Gandhi, An autobiography or the history of my experiments with truth, trad. it. La mia vita per la libertà, Newton Compton, p. 453 e M.K. Gandhi, Teoria e pratica della non violenza, cit., p. 31.
8 M.K. Gandhi, The Essence of Hinduism, p. 65 (Harijan, 11 marzo 1939).
9 G. Borsa, Gandhi. La vita di un profeta del nostro tempo, Bompiani, 1983, cit., p. 193-4.
10 M. K. Gandhi, Appeal to Lord Chelmsford, 20 marzo 1919 (da M. K. Gandhi, Speeches and Writings, An Omnibus Edition, Madras, Natesan, p. 467). Cfr. G. Borsa, Gandhi, la vita di un profeta del nostro tempo, Milano, Bompiani, 1983, p. 176.
11 Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, cit., p. 50 e p. 57 (Corsivi miei).
12 Cfr. R. Altieri, Hind Swarj compie cento anni, introduzione a M. K. Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, – Hind Swaraj, cit., p. 7.
13 M.K. Gandhi, Vi spiego i mali della società moderna, cit., pp. 75-76 (Corsivi miei).
14 H. Zimmer, Filosofie e religioni dell’India, cit., p. 155.