Secondo il nuovo Direttore generale dell’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX), nel 2023 si potrebbe registrare un forte aumento delle traversate del Mediterraneo rispetto agli anni passati, anche per la crisi economica ed ambientale che sta colpendo i paesi di emigrazione. Filtrano così notizie sugli arrivi, ma non sulle attività di ricerca e salvataggio di Frontex, e sui suoi rapporti con gli Stati terzi. Mentre ormai da anni sono interrotti i rapporti di comunicazione diretta che ancora nel 2016 si concretizzavano a Catania in un incontro tra i membri di alcune ONG e rappresentanti di Frontex. Ma piuttosto che rispondere alle questioni poste dalla società civile in quella occasione, Frontex reagiva con una attività di schedatura degli operatori umanitari e con una sventagliata di accuse contro le ONG, poi rilanciate da ben determinati settori della politica, della polizia e della magistratura in Italia. Accuse che finora hanno solo portato all’archiviazione di numerosi procedimenti penali intentati contro le Organizzazioni non governative. Mentre il processo più importante, sul caso Iuventa, a Trapani, è ancora in fase di stallo, per irregolarità procedurali, se non per la inconsistenza delle accuse e, a sei anni dai fatti, non si è neppure conclusa l’udienza preliminare, nella quale si dovrà decidere l’ennesima archiviazione o il rinvio a giudizio di quegli imputati che non sono stati ancora estromessi dal procedimento. Intanto il governo è stato costretto a scusarsi con gli imputati per avere rilanciato, nel suo maldestro tentativo di costituzione di parte civile, le stesse accuse di collusione con i trafficanti formulate nei confronti della ONG, nel 2016, proprio da Frontex.
Secondo Frontex, nel 2022 gli “attraversamenti irregolari” in tutto il Mediterraneo avrebbero riguardato 330.000 persone, mentre nel corso del 2023 il numero di persone che hanno cercato di raggiungere le coste europee dal Nord Africa attraverso rotte dirette verso l’Italia è aumentato del 292% tra gennaio e aprile rispetto agli stessi quattro mesi del 2022, superando le 42.000 unità. Si omette di richiamare, su una base temporale tanto breve, l’incidenza di fattori climatici (tanto diversi nei primi mesi degli ultimi due anni) e politici (frutto anche del conflitto in Ucraina), il messaggio che passa è il dato complessivo, l’aumento esponenziale dei numeri, buono per alimentare le teorie dell’invasione, ed oggi persino della sostituzione etnica. Neanche una parola per le persone, per i corpi violati a terra o abbandonati in mare, per le vittime, che pure venivano richiamate nell’Analisi rischi per il 2022-2023. Ma sempre come vittime dei trafficanti, mai come vittime delle politiche migratorie e dello sbarramento delle frontiere.
Dopo anni di attacchi selvaggi, quanto infondati, contro i soccorsi umanitari, ormai l’opinione pubblica italiana sembra assuefatta allo sterminio quotidiano in acque internazionali che le politiche dei governi europei, e in prima linea del governo italiano, continuano a produrre. Nell’indifferenza della comunità internazionale.
Il forte aumento degli arrivi, più spesso in autonomia, dopo la cacciata delle ONG, realizzata dal governo italiano con la indicazione di porti di sbarco sempre più distanti, e con la minaccia di sanzioni sempre più gravi, non viene spiegato con la situazione in Libia, e soprattutto in Tunisia, paese dal quale si registra il maggior numero di arrivi, seppure non di cittadini tunisini, bensì di persone provenienti dall’Africa subsahariana e dall’estremo Oriente. Si insiste molto sul ruolo di trafficanti e scafisti, senza considerare che il governo tunisino, anche per cercare il “capro espiatorio” di una crisi economica devastante, è ormai ridotto ad una autocrazia con un presidente che di fatto ha esautorato il Parlamento, ed ha lanciato da mesi una violenta campagna persecutoria nei confronti di tutti i migranti subsahariani che si trovano in Tunisia. Mentre in Libia lo scontro permanente tra le milizie, l’ingresso di attori militari stranieri, a partire dalle milizie mercenarie siriane inviate da Erdogan , e dalla Marina militare turca, e poi gli elevati livelli di corruzione che permettono ancora oggi a noti trafficanti di operare all’interno della sedicente Guardia costiera libica, malgrado siano anche sotto inchiesta dal Tribunale penale internazionale, hanno prodotto come risultato un incessante flusso di partenze verso le coste italiane. E solo verso le coste italiane, perchè il governo maltese ha confermato gli accordi con i libici e la sua ferma intenzione di non operare salvataggi nella vastissima zona SAR che ancora gli viene riconosciuta dall’IMO (Organizzazione internazionale del mare). E da media maltesi ben collegati con i libici giungono in continuazione riconoscimenti per il lavoro “sporco” di interdizione che le motovedette libiche operano, talvolta anche entro l’area SAR maltese. Tutto questo si cerca di nascondere anche nei rapporti e nelle “analisi rischi” di Frontex, come nei comunicati del governo italiano, perchè non si vuole ammettere il fallimento delle politiche di dissuasione delle partenze verso le coste europee, che vedono nell’agenzia europea Frontex, e nella collegata operazione EunavforMed IRINI, snodi strategici, al di là di qualche smentita della Commissione UE, snodi dai quali trae vigore e legittimazione la politica di contrasto di tutte le migrazioni. Perchè quelle irregolari sono le uniche forme di migrazione che si possono ancora realizzare in un Mediterraneo ormai fortemente militarizzato, con paesi costieri in continuo conflitto tra loro, soprattutto per ragioni economiche o per le nuove alleanze politiche. Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina hanno sconvolto la situazione economica non solo nei paesi di origine ma anche in quelli di transito, che erano fino a quel momento anche paesi di immigrazione. Ed alla crisi economica si è accompagnata, non solo in Tunisia, una stretta sui diritti e sulla libertà di circolazione degli stranieri in transito.
Il più recente rapporto di Frontex si concentra sulla pericolosità delle imbarcazioni sulle quali sono costrette ad imbarcarsi le persone in fuga dalla Tunisia che cercano di raggiungere le coste italiane. Ed è un dato che noi conosciamo da anni, comprovato da migliaia di morti e dispersi che abbiamo dovuto contare sulla rotta tunisina, ma anche su quella libica, perchè ormai queste rotte tendono a confondersi, per evitare i controlli più intensi che derivano dagli accordi conclusi con l’Italia. Ma tutto questo non spinge Frontex e le autorità maltesi ed italiane a modificare i loro rapporti con la Guardia costiera tunisina, da anni accusata di scarsa efficienza, per carenza di mezzi, se non di diretta responsabilità nell’affondamento dei barconi intercettati, e anzi, ad ogni vertice diplomatico, sembra rilanciata la prospettiva di ulteriori accordi bilaterali per rendere ancora più efficaci le operazioni di intercettazione in alto mare affidate ai tunisini. Che dispongono però di una zona SAR molto limitata, all’incirca alle loro acque territoriali (12 miglia dalla costa), mentre la restante rotta “tunisina” ricade in pieno nella zona SAR maltese, che nessuno presidia, e poi da 36 miglia circa a sud di Lampedusa ed a 24 miglia circa da Pantelleria, nella zona SAR italiana. E prosegue l’assistenza fornita dall’Italia alla sedicente Guardia costiera “libica” che in realtà è solo quella che ha basi in Tripolitania, mentre sono in corso trattative con il generale Haftar per coinvolgere anche i mezzi navali, che costituiscono parte del suo esercito, nelle operazioni di intercettazione in acque internazionali a nord del golfo di Sirte.
Il Direttore generale di Frontex, che pure nel suo rapporto rileva le condizioni di fatiscenza delle imbarcazioni che partono dalla Libia, quasi per attribuire una ennesima responsabilità alle organizzazioni criminali che, in assenza di canali legali di ingresso, gestiscono le partenze dai paesi del nord-africa, dimentica che il Regolamento Frontex n.656 del 2014 indica precisi elementi di valutazione dello stato di navigabilità delle imbarcazioni intercettate o monitorate in acque internazionale, che imporrebbero la immediata dichiarazione di una situazione di distress. Gli assetti aerei di Frontex ancora presenti nel Mediterraneo centrale non possono limitare il loro ruolo ad attività di “Law enforcement”, come è successo nel caso della strage di Cutro. I vertici operativi di Frontex, se sono tanto certi della fatiscenza delle imbarcazioni sulle quali viaggiano i migranti, come emerge dal rapporto, devono dare immediate indicazioni di distress, fare aprire casi SAR, costringere all’intervento le unità militari e le Centrali di coordinamento degli Stati più vicini, Italia e Malta. In questi casi occorre un intervento immediato di tutte quelle autorità degli Stati costieri che possono garantire un porto di sbarco sicuro e che sono state informate tempestivamente dell’esistenza di una situazione SAR di distress, che impone di attivare nel più breve tempo possibile tutti i mezzi di soccorso disponibili, non soltanto coinvolgendo le navi commerciali. Queste prassi costituiscono obblighi precisi che vanno adempiuti anche da parte dello Stato che è titolare di una zona SAR diversa da quella nella quale si trova l’imbarcazione da socorrere, se lo Stato responsabile di questa zona SAR non risponde, non ha i mezzi per l’intervento immediato, o non garantisce un porto di sbarco sicuro ( come nel caso della Libia). Non è più acettabile che le attività di soccorso delle ONG siano ancora criminalizzate perchè sarebbero intervenute su imbarcazioni ancora in buone condizioni di navigabilità, come si sta cercando di sostenere nel processo Open Arms/Salvini davanti al Tribunale di Palermo.
E invece Frontex, come emerge anche da questo rapporto, non impegna più nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mediterraneo centrale propri assetti navali, e neppure le navi europee della missione Eunavfor Med, IRINI, che, per effetto del Regolamento europeo n.1896 del 2019, dovrebbe essere sempre più collegata alle operazioni di Frontex. E, circostanza ancora più grave e fonte di responsabilità,. prosegue nella sua attività di collaborazione e di tracciamento dei barconi in favore della sedicente Guardia costiera libica, ed anche di quella tunisina, in collaborazione con le autorità italiane, senza contribuire attivamente ad operazioni di soccorso, dopo avere ritirato quasi tutti gli assetti navali presenti fino al 2016
Da parte degli agenti Frontex, e del suo nuovo Direttore generale, si continuano così a verificare tutti gli elementi di fatto che concretizzano gravi omissioni negli interventi di soccorso in alto mare e di collaborazione nei respingimenti collettivi su delega, affidati a motovedette libiche (e tunisine). Non diversi dai respingimenti collettivi verso la Turchia che sono costati il posto al precedente Direttore Fabrice Legeri, costretto alle dimissioni il 29 aprile dello scorso anno. Tutto questo non si leggerà certo nei rapporti dell’agenzia, ma negli articoli dei giornalisti d’inchiesta e di qualche fonte giornalistica ancora indipendente, che, dopo l’allontanamento delle ONG, o la loro riduzione al silenzio, rimangono le uniche fonti attendibili per capire cosa sta succedendo davvero nel Mediterraneo centrale, e quanto sia alto il costo in vite umane degli accordi bilaterali conclusi sotto l’egida di Frontex, da italiani e maltesi con le autorità di governo in Libia e Tunisia.