Molti sono i motivi per ricordare questo anniversario, prima di tutto perché si tratta dell’ultimo evento di disarmo raggiunto finora a livello mondiale. E di un disarmo significativo, che ha distrutto l’intero arsenale nazionale di una classe di armi “di distruzione di massa”, con l’eliminazione definitiva della completa filiera di acquisizione, dalla produzione degli agenti alla confezione dei proiettili finali. Importante anche lo stato disarmato, la Siria, coinvolta in una multiforme guerra civile e internazionale in cui stavano ripetendosi gravi attacchi chimici; altri aspetti importanti il fatto che il disarmo è avvenuto sotto il controllo e la guida delle istituzioni internazionali preposte, l’ONU e l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), e la concorde volontà di tutta la comunità internazionale a perseguirlo fino in fondo, impostando, in un raro momento di razionalità politica, una diplomazia “creativa” e superando attriti su altre tematiche.
Sono passati solo dieci anni e sembra un altro mondo. L’attuale clima internazionale di dura competizione e di aperto conflitto non lascia speranze non dico di disarmo, ma neppure di qualche minima forma di limitazione degli armamenti e siamo invece in una fase di corsa per nuove e più numerose armi di ogni genere.
Il merito del disarmo chimico della Siria in tempi estremamente rapidi va soprattutto alla tenacia e al costante impegno dell’OPCW e dei suoi ispettori e all’azione del segretariato generale dell’ONU, in particolare della vice-segretario generale Sigrid Kaag, coordinatrice speciale della commissione costituita allo scopo, che è riuscita a negoziare sia con il governo che con gli insorti, con la diplomazia mondiale, nonché con organizzazioni ecologiste contrarie alle operazioni di trattamento in mare.
La particolare attenzione internazionale all’impiego di armi chimiche è dovuta alla loro speciale natura e al loro status nell’immaginario collettivo, che hanno portato a generare a livello mondiale un vero tabù all’uso di tali armi, concretizzato nel Protocollo di Ginevra del 1925, che proibisce l’uso di tali armi nei conflitti fra i firmatari, e nella quasi universale Convenzione per la proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinamento e uso di armi chimiche e per la loro distruzione (CWC) del 1995, con la creazione a L’Aia dell’OPCW “per assicurare l’attuazione delle sue disposizioni, comprese quelle relative a una verifica internazionale della sua osservanza”.
Primi attacchi chimici in Siria e l’ispezione dell’ONU
Il processo che portò al disarmo chimico della Siria prese avvio dal tragico susseguirsi di attacchi con agenti tossici nel corso della ferocissima e complessa guerra civile siriana, coinvolgente più fazioni e gruppi armati di vari paesi, a seguito della dura repressione delle proteste popolari del 2011 contro il regime di Bashar Hafez al-Assad. A partire dal 2012 cresce il numero di denunce di impieghi di armi chimiche dalle parti in lotta, segnalate da mezzi di comunicazione e da social media, denunciate da organizzazioni umanitarie, fino a dichiarazioni formali di alcuni stati. La Repubblica Araba Siriana (RAS), che continuava a negare il possesso di armi chimiche, non era allora membro della CWC, per cui l’OPCW non poteva svolgere indagini per verificare i fatti.
L’impiego di armi chimiche nei confitti, anche se in forma limitata, hanno grande impatto sulla popolazione e gravi ripercussione politiche; pertanto sono frequenti illazioni e accuse del loro uso, spesso in malafede per calunniare e diffamare i nemici. Per accertare la sostanza delle denunce di attacchi chimici, nel novembre 1987 l’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA) affidò al Segretario generale il compito di svolgere specifiche investigazioni a seguito della denuncia di un paese membro.
Il “meccanismo del Segretario generale” (SGM) viene riaffermato l’anno seguente dal Consiglio di sicurezza (UNSC), e il 4 dicembre 1990 l’UNGA ne approva le linee guida e le procedure operative. Il Segretario generale ha formalizzato accordi bilaterali per avvalersi del supporto tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (WHO) e dell’OPCW.
L’escalation chimica della guerra civile siriana risultava inaccettabile alla comunità internazionale, tanto da indurre il presidente Barak Obama ad annunciare (20 agosto 2012) una “linea rossa” per un possibile intervento militare americano nel conflitto a fronte di ulteriori impieghi di armi chimiche.
Anche a seguito dell’ultimatum americano, il 20 marzo 2013 il governo della RAS presenta al Segretario generale una richiesta formale di investigazione dell’attacco contro suoi militari successo il 19 marzo nel sobborgo Khan al-Assal di Aleppo. Attivato immediatamente il SGM, l’ONU crea, con la collaborazione di WHO e OPCW, una missione investigativa con il compito di verificare (senza accertare responsabilità) anche gli eventi di Sheikh Maqsoud (Aleppo) e Saraqueb (Idlib) denunciati da Francia, Inghilterra e USA.
Anche per difficoltà create dalla RAS, la missione giunge a Damasco solo il 18 agosto, e il giorno 21 è presente al gravissimo attacco chimico condotto in vari quartieri periferici di Damasco nella zona di Ghouta che produsse migliaia di vittime, inclusi molti bambini. Il Segretario generale, ottenuto (su pressioni russe) il permesso dalla RAS, ordina alla missione di dedicarsi primariamente allo studio di tale evento. Raccolta una considerevole quantità di informazioni e di campioni ambientali e biologici adeguati ai fini dell’ispezione, il 31 agosto la missione rientra a L’Aia e, come previsto dal SGM, il materiale raccolto viene inviato a differenti laboratori europei per analisi e valutazioni tecniche incrociate.
Il 13 settembre il Segretario generale dell’ONU trasmette al UNSC e all’UNGA il rapporto sugli eventi di Ghouta: tutti i risultati confermano un massiccio attacco con l’agente nervino sarin compiuto nelle prime ore del mattino. Il 12 dicembre la missione presenta il suo rapporto conclusivo, attestando l’uso di gas nervino anche a Khan al-Assal (20 morti e 124 intossicati), Saraqueb (12 intossicati, un morto), Jobar (intossicati 24 soldati) e Ashrafiah Sahnaya (attaccati 5 soldati). Come da mandato, la missione non attribuisce responsabilità degli eventi, ma mette in evidenza la disponibilità in Siria del potente aggressivo chimico e di mezzi per la sua dispersione in operazioni militari.
Adesione della RAS alla CWC e il piano di disarmo chimico
A fronte del grande impatto degli eventi di Goutha sull’opinione pubblica mondiale, con sostanziali sospetti di responsabilità governativa della strage, al summit G20 di Mosca (5 e 6 settembre 2013) Russia e USA concordano sulla necessità di porre le armi chimiche siriane sotto una qualche forma di controllo internazionale; il 9 settembre la Russia propone alla RAS un piano di disarmo chimico, che verrà rielaborato con gli USA.
Il 14 settembre la RAS deposita il documento di accessione alla CWC, impegnandosi a ottemperare immediatamente agli impegni previsti dalla convenzione, e, a partire dal 19 settembre, presenta all’OPCW informazioni sul proprio programma militare chimico, che risulta particolarmente rilevante: 51 strutture di immagazzinamento, produzione, ricerca e sviluppo, 1230 munizioni non riempite e 1308 t di agenti chimici (1047 t fra agenti e precursori e 261 t di materiale grezzo); i precursori sono sostanze meno tossiche che miscelate producono gli agenti finali. Gli agenti chimici dichiarati sono: acido cloridrico, iprite e precursori di iprite, precursori degli agenti nervini sarin (isopropanolo e agente DF), VX e VM (precursori A, B, BB e BBsale). L’iprite e i precursori dei nervini sono di massima pericolosità (“categoria 1” della CWC), le altre sostanze di “categoria 2” o di “categoria 3”. L’inventario richiederà un continuo aggiornamento (non ancora completamente verificato).
Ricordiamo che l’iprite è l’agente tossico più impiegato nei conflitti, a partire dalla prima guerra mondiale, mentre gli agenti nervini sono gli aggressivi chimici più letali mai sviluppati.
Tenendo conto della situazione eccezionale della Siria, il piano russo-americano di disarmo (messo a punto da Sergey Lavrov e John Kerry) richiedeva significative deviazioni dalle regole e procedure della CWC, in particolare: completamento del disarmo entro giugno 2014 secondo un preciso programma temporale, invece di scadenze pluriennali; possibilità di ispezioni in ogni sito in Siria, e di “speciali” ispezioni senza preavviso; informazione immediata dei dati e sullo svolgimento del piano a tutte le parti della CWC; inclusione nel piano di verifica e distruzione anche dei centri di ricerca e sviluppo; creazione di una commissione congiunta OPCW-ONU per sovrintendere alle ispezioni e operazioni; un processo “ibrido” di disarmo da svolgersi sia in Siria che all’estero, mentre la CWC impone che il disarmo avvenga completamente all’interno del paese interessato e proibisce il trasporto degli agenti fuori della sua giurisdizione; eliminazione di sostanze chimiche duali anche di ampio uso civile, di cui la CWC permette il riutilizzo; distruzione di tutti gli impianti connessi alla produzione e ricerca sulle armi chimiche, mentre la CWC consente la loro conversione a scopi civili; ricorso a contributi internazionali in mezzi e servizi per far fronte alle spese ispettive e per la distruzione delle armi fuori dalla Siria.
Le “anomalie” del piano richiedono un duplice passaggio formale: approvazione sia da parte dell’OPCW che del UNSC, il che avviene il 27 settembre, entrambe all’unanimità. Particolarmente importante è la Risoluzione 2118 del Consiglio di sicurezza, che proietta il caso specifico nel contesto globale, dichiarando l’uso di armi chimiche costituire una minaccia alla pace e sicurezza mondiali, condannando gli attacchi chimici in Siria e ritenendo i responsabili perseguibili penalmente, decidendo di imporre le misure previste dal cap VII della Carta delle Nazioni unite nel caso di inadempienze. Poiché la risoluzione è vincolante per tutti i paesi membri dell’ONU, essa rende di fatto universale il bando delle armi chimiche, estendendolo anche ai paesi non ancora parte della CWC, e riconosce la natura di crimine di guerra per il loro uso in qualsiasi contesto.
Il 16 ottobre viene costituita la missione congiunta (OPCW-UN Joint Mission in Syria – JMIS) con coordinatore speciale la vice-segretario generale dell’ONU Sigrid Kaag (olandese); ella, dopo un’ispezione in Siria il 21 seguente, costituisce basi logistiche a Damasco e a Nicosia e crea al porto di Latakia il centro di raccolta dei materiali e le attività di verifica, analisi, inventario dei materiali e confezione dei container per il trasporto marittimo. In Siria verrà mantenuto il personale strettamente necessario per specifiche operazioni; nella prima fase vengono impegnati 26 esperti OPCW e 50 persone dell’ONU (personale di sicurezza, logistica, medici e interpreti), le forze della missione variando in numero (fin oltre 100) e competenze a seconda degli impegni.
Il piano richiede uno stretto scadenziario temporale, per prevenire possibili ulteriori impieghi di armi chimiche e per realizzare il disarmo siriano prima che la guerra civile potesse avere degli imprevedibili sviluppi che avrebbero potuto renderlo del tutto o in parte impossibile.
Le fasi operative del disarmo
Le prime operazioni riguardano l’ispezione delle strutture segnalate e il controllo dei materiali, anche per eliminare urgentemente la capacità di produzione e dispersione di nuovi agenti tossici. La JMIS si trovò immediatamente a confrontarsi con la complessità della guerra civile con esposizione ad attacchi e le conseguenti limitazioni per motivi di sicurezza, per cui alcuni siti non risultavano raggiungibili. Comunque, al 1° novembre erano state ispezionate 39 delle 41 strutture segnalate e sorvegliata e certificata la distruzione funzionale di tutta la strumentazione delle strutture di produzione e riempimento; al 6 dicembre verificata la distruzione, nelle varie sedi, del materiale di categoria 3, inclusi tutti i proiettili per gli agenti chimici, ed entro dicembre distrutte tutte le unità mobili di riempimento.
Intanto veniva definito il piano di distruzione delle sostanze tossiche, da attivare nel pieno rispetto della salute e dell’ambiente. Per l’eliminazione degli agenti chimici vi sono essenzialmente due metodologie, una basata sul “fuoco” e una sull'”acqua”.
L’incenerimento è il metodo più diretto e veloce e non implica reazioni chimiche; gli agenti in fase liquida vengono trattati in due tempi: dopo una prima combustione a circa 1.500°C e una post-combustione a circa 1.100°C oltre il 99% del materiale viene distrutto e si raggiunge una completa mineralizzazione dei composti organici. Gli ossidi e i gas acidi generati vengono rimossi con lavaggi; eventuali residui solidi sono eliminabili come normali scarti di produzione industriale.
L’idrolisi tratta gli agenti con acqua calda (non necessariamente bollente) o idrossidi alcalini, a seconda dei casi, per scindere le molecole originarie in frammenti più piccoli e innocui; gli effluenti possono rientrare fra i materiali proibiti dalla CWC, nel qual caso vengono sottoposti a un secondo ciclo di degradazione mediante biodegradazione, ossidazione acquosa supercritica o trattamento con sali d’argento in acido nitrico, ovvero incenerimento. I prodotti di reazione vengono ridotti allo stadio di normali scorie industriali.
Mentre l’incenerimento dell’isopropanolo non pone particolari problemi e andava eseguito in Siria, il piano di trattamento degli agenti chimici fuori dalla Siria prevede l’incenerimento degli agenti fluoruro d’idrogeno, A, B, BB e BBsale (categoria 1) e delle sostanze inorganiche e organiche di categoria 2 e invece l’idrolisi dell’iprite e del DF; gli effluenti dell’idrolisi da eliminare mediante incenerimento. Per l’incenerimento vengono messi a disposizione impianti dal Regno Unito (a Ellesmere e Runcorn), dalla Finlandia (a Riihimäki), dagli USA (a Houston) e dalla Germania (a Münster); per l’idrolisi, non essendosi trovati impianti a terra disponibili, il 28 novembre viene accolta la proposta americana per il trattamento in mare aperto su una nave (la Cape Ray) opportunamente attrezzata con impianti Field Deployable Hydrolysis Sistem – FDHS e dotata dei necessari reagenti e acqua dolce, nonché dei contenitori per gli effluenti, in modo da evitare sversamenti in mare.
Scelto e attrezzato il porto di Latakia per la concentrazione dei materiali da trattare fuori dal paese, la Danimarca e la Norvegia mettono a disposizione per il trasporto ai punti di distruzione le navi Ark Futura (danese) e Taiko (norvegese), che permettono il carico tramite rampe rotabili; il governo italiano fornisce il porto di Gioia Tauro attrezzato per il movimento di materiali rischiosi di classe 6 per il trasferimento dei materiali fra le navi.
Le navi nell’attesa di completare il loro carico restano in acque internazionali al largo di Cipro con la protezione di una scorta internazionale di vascelli militari sotto la direzione della reale marina danese (operazione RECSYR – REmoval of Chemical weapons from Syria). Per il coordinamento delle operazioni le marinerie coinvolte si incontrano con funzionari dell’OPCW e della JMIS il 11-13 dicembre a Stuttgart e il 27 dicembre a Mosca. Sono coinvolte la fregata norvegese Helge Ingstad, la nave supporto danese Esbern Snare, la fregata inglese Montrose (in seguito sostituita dall’incrociatore lanciamissili Diamond), l’incrociatore lanciamissili russo Pyotr Veliky e la fregata lanciamissili cinese Yan Cheng. Le navi mercantili ricevono protezione militare fino al completamento dello scarico degli agenti chimici nei vari porti di destinazione finale.
Il problema maggiore fu il lento trasporto degli agenti chimici dai vari depositi al porto, operazione di cui era responsabile la RAS; nonostante l’assistenza russa e americana, con fornitura di speciali container e mezzi di trasporto, si ebbero sei mesi di ritardo sul piano: solo il 7 gennaio 2014 vi fu una prima modesta (4,5%) consegna di agenti C1 ad Ark Futura e il seguente 27 la prima consegna (2,5%) di agenti C2 a Taiko; le consegne parziali continuano lente nei mesi successivi e la Taiko l’8 giugno parte per la Finlandia e il Texas. Per Ark Futura le consegne di agenti C1 e C2 sono completate il 23 giugno e la nave si reca a Gioia Tauro, ove trasborda circa 600 t di agenti C1 sulla Cape Ray (1-2 luglio) e quindi parte per l’UK e la Finlandia.
La Cape Ray era partita dagli USA il 27 gennaio e, giunta il 13 febbraio nella base americana di Rota in Spagna, nell’attesa del carico degli agenti da trattare esegue prove a mare per accertare fino a quale forza di mare possono avvenire in piena sicurezza le operazioni di neutralizzazione e l’immagazzinamento degli agenti tossici, dei reagenti e degli effluenti.
Il 9 luglio iniziano le operazioni di neutralizzazione in acque internazionali a sud di Creta, proseguite con due unità FHDS lavorando con più turni 24 ore al giorno per 6 giorni la settimana. Fortunatamente il mare rimane sempre calmo e il tempo bello e il processo è completato il 17 agosto, in soli 42 giorni (invece dei 60–90 giorni previsti), con il trattamento di oltre 14 t di agenti per giorno lavorativo. La Cape Ray si dirige poi agli impianti di smaltimento degli effluenti in Finlandia e a Brema.
Per assicurare la sicurezza della Cape Ray durante le operazioni nel Mediterraneo, a bordo erano imbarcati una squadra per la difesa CBRN e un gruppo di forze speciali della marina USA con un elicottero SH-70B Seahawk ad assicurare anche la possibilità di evacuare la nave in caso di gravi incidenti. La protezione militare delle operazioni in mare viene garantita da una squadra aereonavale sotto il comando della Combined Task Force 64 della Sesta flotta americana, comprendente oltre ai mezzi statunitensi le fregate Yan Cheng cinese, Salih Reis turca, Schleswig-Holstein tedesca e Leopold I belga, un aereo di ricognizione e controllo navale portoghese con base a Sigonella, i pattugliatori Comandante Foscari italiano e Infanta Elena spagnolo e un sommergibile greco. Era prevista anche la partecipazione dell’incrociatore russo, ma la NATO sospese (in aprile) la collaborazione militare con la Russia a seguito dell’invasione della Crimea, e il Pyotr Veliky continuò la protezione del convoglio mercantile. Nelle due operazioni furono coinvolti oltre 2000 uomini delle varie forze militari.
Il 30 settembre 2014 il Segretario generale dell’ONU dispone la chiusura della missione congiunta, essendosi raggiunti gli obiettivi proposti: completate le operazioni in Siria e raggiunta la totale distruzione degli agenti di categoria 1, dell’87,8% di quelli di categoria 2 e del 4,5% degli effluenti; il materiale rimanente si trova al sicuro negli impianti di trattamento che sarà il 4 gennaio 2016
Il tempismo della distruzione dell’arsenale chimico siriano si è rivelato critico, dato il tragico aggravamento della situazione politica e militare a partire dalla seconda metà del 2014: lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (DAESH) espande la sua penetrazione in Siria, fino a occupare quasi la metà del territorio; nel settembre si forma la Coalizione globale contro il DAESH (85 paesi guidati dagli USA) e iniziano le azioni militari anche in Siria, che restano intense fino al 2017; la Russia dal settembre 2015 intraprende una vasta azione militare contro gli oppositori del governo, con pesanti bombardamenti aerei, lancio di missili e con truppe sul campo, fino a quadruplicare il territorio controllato della RAS, ove stabilisce basi permanenti aeree e una navale.
Nel quinquennio seguente si aggrava la crisi dei rapporti dei paesi occidentali e la Russia a seguito dell’occupazione della Crimea e l’inizio dei combattimenti nel Donbass con significativi riflessi negativi sulla questione chimica siriana: il governo della RAS, pienamente sostenuto dalla Russia, riduce la collaborazione con l’OPCW a completare e chiarire le informazioni sul proprio programma chimico e a fornire assistenza per le missioni sul campo e la Russia blocca le azioni del Consiglio di sicurezza e dell’OPCW per le indagini sulle responsabilità di nuovi attacchi chimici (oltre 150 segnalazioni nel periodo 2015-2022) e impedisce la condanna dei responsabili (spesso militari della RAS).
Dal 15 al 19 maggio prossimi si svolgerà a L’Aia la quinta conferenza di revisione della CWC e la questione siriana sarà uno dei temi caldi in discussione, dato che secondo l’OPCW “la dichiarazione sottoposta dalla RAS non può essere ancora considerata accurata e completa” (24 gennaio 2013) e il governo della RAS “non riconosce l’Investigation and Identification Team dell’OPCW e i suoi rapporti precedenti e futuri” (2 febbraio 2023).
Dopo l’incapacità della quarta conferenza di revisione della CWC (ottobre 2018) a raggiungere l’approvazione di un documento finale condiviso, è estremamente importante che i lavori della prossima conferenza siano in grado di rafforzare la Convenzione e di ridare respiro alla diplomazia per il controllo degli armamenti in questo momento di dura contrapposizione fra le potenze mndiali.