Intervista di Bruno Stefani (Redazione bolognese Pressenza) a Pasquale Pugliese (Movimento Nonviolento)
Come interpretare l’aggressione russa all’Ucraina nell’attuale e globale contesto politico?
E’ volontà di riconquista della pienezza del ruolo di superpotenza che era dell’URSS?
E’ il tentativo di impedire che l’Ucraina entri nella NATO e modifichi così i rapporti di forza nella spartizione delle zone geopolitiche e delle risorse mondiali tra USA, Russia, Europa, Israele, Cina e India ?
Non sono esperto di geopolitica; ciò che posso dire su questo è che c’è stata nel secondo ‘900 una guerra tra Est e Ovest, Nato e Patto di Varsavia – che se è stata “fredda” in Europa è stata “calda” nel resto del mondo. Non è finita con una sconfitta militare, come la prima e la seconda guerra mondiale, non si è conclusa con un confronto militare diretto tra le superpotenze, ma grazie, da un lato, alla lotta dei popoli – in Occidente quelli che lottavano contro gli euromissili e nei Paesi dell’Est quelli che lottavano per la democratizzazione – e dall’altro lato, grazie all’azione lungimirante del presidente Gorbaciov (il cui impegno per la pace non è ancora adeguatamente riconosciuto sul piano storico). Questi operò dei passi verso il disarmo unilaterale come chiedevano i pacifisti, prima ritirandosi dall’Afghanistan, poi riducendo i missili sovietici, infine consentendo l’abbattimento del ‘Muro di Berlino’ e la riunificazione della Germania.
Ebbene, poiché la soluzione del conflitto avvenne grazie a queste forze nonviolente convergenti, dall’alto e dal basso – e non attraverso il tradizionale paradigma bellico – la fine di quella guerra mondiale non fu ritenuta degna di una Conferenza Internazionale di Pace che ridefinisse l’ordine mondiale, come quelle che si svolsero dopo la prima e la seconda guerra mondiale. Per cui, da un lato, Gorbaciov che interpretò la fine della “cortina di ferro” come l’avvio di un nuovo ordine mondiale fondato sul multipolarismo e la cooperazione internazionale, dall’altro prima Reagan e poi Bush interpretarono quell’esito come vittoria dell’Ovest sull’Est, della ‘Nato’ sul ‘Patto di Varsavia’. Infatti il secondo si sciolse ed il primo no. Da qui l’intervento occidentale nel prima guerra nel Golfo nel ‘91, l’intervento USA nel conflitto armato nell’ex Jugoslavia, il ritorno dei missili nucleari in Europa… L’inaccettabile aggressione russa all’Ucraina va letta all’interno di questa dinamica di colpi e contraccolpi. E’, quindi, anche per questo che il cartello internazionale ‘Europe for Peace’ chiede che si possa realizzare oggi ciò che è mancato dopo l’’89, ovvero far seguire al “Cessate il fuoco” una necessaria “Conferenza internazionale di Pace”.
Quali speranze ritieni possiamo realisticamente avere su una conversione chiara e tangibile delle modalità di spartizione delle risorse mondiali, capace di andare verso plurime reciprocità di equità e solidarietà distributiva? Verso conversioni, accelerate anche da dichiarazioni unilaterali e credibili, di ‘fiducia nell’altrui desiderio’ di primato della Cooperazione positiva tra le zone geopolitiche del pianeta?
Dichiarazioni indotte anche da ATTI unilaterali di cessione di nazionalistici poteri di accaparramento di ricchezze e privilegi.
Non so darti una risposta puntuale alla complessa articolazione della domanda. Posso dire questo: siamo all’interno di una crisi sistemica globale, ovvero ecologica, climatica, energetica, alimentare, idrica, pandemica… nella quale ogni crisi è collegata e genera le altre. Poiché non si riesce a risolvere le cause di queste crisi concatenate, perché sono conseguenti all’intangibile modello di sviluppo predatorio delle risorse naturali, esse generano conflitti violenti. L’Uppsala conflict data program, struttura di ricerca sulla pace dell’università di Uppsala, ci dice che oggi sono contemporaneamente in corso 170 conflitti armati, a bassa, media e alta intensità (dei quali alcune decine guerre vere e proprie), generati da questa crisi globale, in particolare per l’accaparramento delle risorse.
Allora il punto è: come risolviamo questi conflitti? La soluzione data dai governi, in particolare da quelli occidentali ma non solo, è la risposta armata, attraverso il riarmo e il commercio degli armamenti. Ma questo genera un circolo vizioso: avanza la crisi, aumenta il numero dei conflitti, aumentano in misura esponenziale le spese militari globali che trasformano i conflitti in guerre, che aggravano le crisi, anziché risolverle. Il nuovo rapporto del Sipri (l’istituto di Stoccolma che tiene monitorate le spese militari), ci dice che siamo arrivati nel 2022 a 2.240 miliardi di dollari di spese militari globali: una cifra mai raggiunta prima,130 miliardi in più dell’anno precedente, 500 miliardi di più rispetto agli ultimi 10 anni…
Perché, secondo te, nel determinarsi della spartizione delle risorse dell’intero pianeta, non si comprende adeguatamente alle necessità in atto, l’urgenza della sostituzione del primato della violenza bellica con il primato di ‘Cooperazione ed equa spartizione’ fondata sulla condivisione di analisi dei bisogni globali, della rinuncia alle ingiustizie ed alla violenza nel modo di trattarli a partire da quella dell’omicidio, sia esso individuale o bellico?
O noi troviamo il modo, dal locale all’internazionale, di risolvere i conflitti senza la violenza e senza ricorrere alle guerre, oppure, con 13.000 testate nucleari puntate contro le teste di tutti non ne usciremo vivi, ben prima del collasso climatico. Ma c’è qualcuno che guadagna immensamente dalla trasformazione dei conflitti in guerre ed è questo che ne impedisce la soluzione pacifica. Eisenhower, già comandante delle truppe anglo-americane in Europa contro i nazisti, quando lasciò nel 1961 la carica di Presidente degli Stati Uniti, nel discorso di addio alla nazione avvisò sui pericoli corsi dalla democrazia – nel presente e nel futuro – a causa della saldatura tra gli apparati della difesa e i produttori di armamenti, definendola il “complesso militare-industriale”.
Se ciò era vero nel 1961 è molto più vero adesso: penso ad esempio ai 20 anni di sciagurata guerra in Afghanistan, nella quale hanno perso tutti, tranne il complesso militare-industriale. La quantità di risorse trasferite dai governi alle industrie di armamenti in 20 anni di guerra afghana è raddoppiata e da allora questo flusso è costantemente cresciuto. Se dividiamo quei 2.240 miliardi di dollari di spese militari del 2022 per il numero dei giorni dell’anno fa 6,1 miliardi di dollari al giorno spesi in armamenti. Sapete qual è il budget delle Nazioni Unite? 3,4 miliardi l’anno. Ciò significa che ogni giorno spendiamo in armi, cioè i governi trasferiscono nei profitti dell’industria bellica internazionale, il doppio delle risorse delle Nazioni Unite di un anno. Solo che proprio le Nazioni Unite avrebbero il compito di risolvere i conflitti con mezzi pacifici… come del resto anche il nostro Paese, come dice la Costituzione italiana con il solenne ripudio della guerra. Ma l’interesse del complesso militare-industriale, oggi anche politico e informativo – come ha denunciato anche Carlo Rovelli al Concertone del 1° Maggio – è quello di trasformare i conflitti in guerre, anziché costruire credibili ed efficaci mezzi di risoluzione non armati e nonviolenti.
Oggi, in ambito globale, vedi emergere o inabissarsi l’opzione nonviolenta?
Come sempre nelle situazioni complesse, il bicchiere può essere considerato “mezzo pieno o mezzo vuoto” a secondo di come lo si guarda. Da un lato cioè, per tutto quel che abbiamo detto fino ad ora, sembrerebbe che l’opzione nonviolenta non abbia chances, almeno nelle intenzioni dei governi e delle organizzazioni internazionali che dovrebbero essere preposti a costruire la pace e invece preparano e fanno le guerre. Dall’altro però, ci sono anche grandi visioni, capacità e risorse nelle società civili. Faccio qualche esempio:
1. E’ stato appena pubblicato anche in italiano lo studio di Erica Chenoweth, politologa statunitense, che ha fatto una ricerca decennale nella quale dimostra come negli ultimi 120 anni (dal 1900 al 2020), il 59% dei conflitti di resistenza a dittatori e oppressori vari condotti dalle società civili con la lotta non armata e nonviolenta sono stati efficaci ed hanno avuto successo, contro il solo 27% dei conflitti armati. Quindi è in atto una crescente diffusione dal basso delle pratiche di lotta e resistenza nonviolenta e non armata, che ottiene significativi risultati.
2. Rispetto alla guerra in corso in Ucraina la società civile internazionale, rappresentata anche in Italia dal cartello ‘Europe for Peace’, è capace di condurre continuativamente mobilitazioni molto importanti per la pace e a sostegno degli obiettori di coscienza russi, ucraini e bielorussi. Per esempio in Italia è in atto una campagna specifica del Movimento Nonviolento per il sostegno agli obiettori di coscienza, ai disertori ed pacifisti dei Paesi in guerra. E c’è anche un nostro impegno informativo e culturale – per quanto minoritario – per l’opposizione alla guerra che contribuisce a far sì che la maggior parte degli italiani (come emerge continuamente dai sondaggi) sia contraria all’invio di armi in Ucraina, nonostante la maggioranza di favorevoli tra le forze politiche presenti in Parlamento.
3. E’ in corso la Campagna per la messa al bando delle armi nucleari – che nel 2017 ha avuto il Premio Nobel per la Pace – e grazie ad essa nel gennaio 2021 è stato raggiunto lo storico traguardo dell’entrata in vigore del TPAN, il Trattato ONU per la proibizione della armi nucleari (grazie al superamento delle 50 ratifiche). Le armi nucleari sono quindi a tutti gli effetti illegali. Adesso è in corso la mobilitazione affinché anche i governi che non hanno finora aderito al Trattato, tra i quali quello italiano, lo sottoscrivano.
Dunque, da un lato c’è il complesso militare/industriale, con tutti i suoi agganci informativi e politici, che spinge al massimo nella follia bellicista, che mai come oggi può portare ad una catastrofe nucleare; dall’altro ci sono i popoli, che sempre di più stanno prendendo consapevolezza della necessità di abbandonare la violenza e le organizzazioni, che sono sempre più capaci di fare rete per proporre un orizzonte diverso fondato sulla teoria e pratica della nonviolenza. L’Italia ha molti maestri ai quali ispirarsi, per esempio la lezione di don Lorenzo Milani – di cui quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita – così efficacemente sintetizzata nella formula “l’obbedienza non è ormai più una virtù”. Oggi dobbiamo quindi più che mai esercitare la disobbedienza culturale contro quella che Edgar Morin ha chiamato nel suo ultimo libro “l’isteria di guerra” dilagante.
Questo tipo di interviste va enormemente e purtroppo per “la minore” nei mezzi di comunicazione di massa più diffusi.
Nonostante questo, abbiamo visto l’emergere anche di una grande spinta pacifista del quotidiano Avvenire e di larga parte del mondo cattolico, che non era affatto scontata.
Va comunque e sempre tenuta in vita la speranza del positivo che è spesso imponderabile.