Anita e Carolina Paolicchi e Francesca Mannocci hanno messo su Astarte Edizioni, forse la più giovane casa editrice che partecipa a Eirenefest.
Come siete nati e perché?
Astarte è nata dalla somma di un desiderio personale e da un’urgenza di ordine più generale.
Il nostro è innanzitutto un progetto nato dal desiderio di mettere in pratica conoscenze sviluppate in ambito accademico: tutte e tre – nonostante i diversi percorsi – proveniamo dall’Università di Pisa e ci siamo formate in ambito umanistico. A un certo punto, più o meno in contemporanea, abbiamo sentito l’esigenza di “creare” qualcosa che fosse “nostro” e che ci rispecchiasse.
E questo ci ha portato a riflettere alla possibile forma di questo lavoro comune: l’idea di una casa editrice è emersa subito e altrettanto rapidamente siamo arrivate a identificare il Mediterraneo come centro del nostro progetto. Sentivamo – e lo sentiamo ancora – come particolarmente urgente il problema di una deriva globale verso la costruzione di frontiere e muri, che separano sempre di più la società in gruppi sempre più piccoli e contrapposti. Di tutti questi muri, il Mediterraneo è quello più vicino: anziché essere visto come un ponte che unisce tre continenti, si sta trasformando sempre più in una frontiera mortale.
Da qui il nostro impegno a raccontare incontri e popoli del Mediterraneo, convinte che tramite la conoscenza si possano superare tutte le barriere, permettendo a tutti di riscoprire la propria appartenenza a una comune identità mediterranea.
Di conseguenza di cosa vi occupate?
Il nostro scopo è dare voce e spazio alle soggettività e istanze che abitano e percorrono il Mediterraneo e gli spazi geografici, culturali e politici attigui alla regione. Crediamo fortemente che lo spazio, come la cultura, debba essere libero di essere percorso e vissuto e operiamo per il superamento della logica respingente dei confini e delle frontiere, reali e culturali.
Cerchiamo di parlare di questa vicinanza attraverso testi di narrativa, saggistica e poesia, e presto anche con fumetti. Gran parte del nostro catalogo è costituito da traduzioni di opere di autori e autrici che abitano in Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che raccontano le loro società di provenienza.
Sicuramente non si mette su una casa editrice per diventare ricchi. Qual è l’ispirazione ideale che vi muove?
Innanzitutto, il nostro sogno è che una persona che non conosce il Nordafrica e l’Oriente mediterraneo, e che magari li considera posti culturalmente lontani, possa scoprire – attraverso la lettura di un romanzo appassionante – che in realtà, al di là della diversa latitudine, i popoli mediterranei non sono poi così diversi.
Inoltre desideriamo contribuire attivamente alla costruzione di una società che non si lasci scivolare addosso le continue discriminazioni subite da fratelli e sorelle che vengono dall’altra parte di questo mare comune. La collana Hurriya è dedicata proprio a questo: hurriya in arabo significa “libertà”, inclusa la libertà di movimento e raccoglie ricerche multidisciplinari sulle migrazioni mediterranee, accomunate dalla critica verso l’attuale regime dei confini.
Astarte sta dentro il Festival del libro per la pace e la nonviolenza fin dalla prima ora: perché Eirenefest è importante secondo voi?
Come dicevamo il Mediterraneo, spazio storicamente attraversato da mobilità diverse, è stato trasformato in un’enorme frontiera sempre più militarizzata: una frontiera che attrae, respinge, uccide. Parlare di pace ci sembra sempre più urgente e Eirenefest è, al momento, un punto di partenza per la costruzione di una rete di realtà diverse per forma e obiettivi, ma accumunate dal desiderio di contribuire alla costruzione di un mondo diverso.
Com’è il Mediterraneo che Astarte sogna?
Sogniamo un Mediterraneo che non ha più fratture tra nord e sud, che lavora per alleviare le cicatrici che ora sono ancora ferite aperte. Vorremmo un Mediterraneo che non è più una frontiera né un cimitero, dove persone e idee sono libere di circolare e sicure di essere accolte.