> glocalnews sulle soggettiv₳zioni del meticciato meridionale <
SUD DEL MONDO: “Oltre 250 milioni di persone vivono nell’insicurezza alimentare. Crisi economica e guerre. Rischio fame: nel mondo cresce l’incertezza sul cibo. Una sintesi del Global Report on Food Crises
Di recente è stato pubblicato il “Rapporto globale sulle crisi alimentari (scarica qui il documento), il quale ci segnala che al 2022 la necessita di assistenza al sostentamento è in continua aumento (per il quarto anno consecutivo) superando il quarto di miliardo. Come ha evidenziato Rivista Natura: “Il rapporto annuale, prodotto dalla Food Security Information Network (FSIN), rileva che nel 2022 si è registrato il numero più alto di persone che devono affrontare un’insicurezza alimentare acuta nei sette anni di storia del rapporto. «Più di un quarto di miliardo di persone sta affrontando livelli acuti di fame, e alcune sono sull’orlo della morte per fame. È inconcepibile» ha scritto il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres nella prefazione del rapporto”. Le aree del pianeta più interessate dalla crisi alimentare sono tutte localizzate nel Sud del Mondo. Le principali cause concomitanti dell’insicurezza alimentare sono state individuate nei conflitti locali e negli eventi climatici estremi, ma anche “gli effetti a catena della guerra in Ucraina – come rileva R N – sono diventati importanti fattori di fame, in particolare nei Paesi più poveri del mondo, soprattutto a causa della loro forte dipendenza dalle importazioni di cibo e della vulnerabilità agli shock dei prezzi alimentari”. Pertanto, l’affrontare alla radice le cause delle crisi alimentari (ed in primo luogo le responsabilità di un sistema economico globale sempre più predatorio), al fine di rendere il comparto agroalimentare globalizzato più inclusivo e sostenibile, basato sulle compatibilità e la salvaguardia della natura, è diventata un’emergenza oramai non più procrastinabile.
L’inflazione non è uguale per tutti, il peso maggiore grava sul 60% della popolazione: la mannaia sul carrello della spesa colpisce sia poveri e disoccupati che lavoratori stabili o precari. Non osiamo immaginare il quadro atavicamente asimmetrico della situazione meridionale che già nei fatti è a dir poco preoccupante, senza considerare ancora gli effetti devastanti che produrrà la cd. ’autonomia differenziata’
Stretto fra guerra e crisi di governo, è passato quasi sotto silenzio un dato interessante e assai istruttivo contenuto nel Rapporto Istat 2022 relativo all’inflazione ed ai suoi effetti sulle famiglie italiane. Al di là della retorica del “siamo tutti sulla stessa barca”, funzionale solo ad imbrigliare eventuali rivendicazioni salariali, l’Istituto evidenzia come gli effetti dell’inflazione siano molto più pesanti per le famiglie più povere. Ma attenzione (e qui viene la parte interessante): questo succede non solo – banale, ma sempre vero – perché chi ha redditi più bassi ha minore margine per contrastare l’effetto dell’aumento dei prezzi, ma anche perché per queste famiglie il dato dell’inflazione è di per sé più alto rispetto alla media nazionale. […] Il Rapporto ISTAT si chiude con un’altra considerazione amara: le famiglie più povere hanno anche meno strumenti per difendersi dall’ondata inflattiva, in quanto la maggior parte della loro spesa è destinata a settori e funzioni non comprimibili (il mangiare, l’abitare, l’energia, etc.), mentre la spesa indirizzata verso altri settori (beni di consumo, servizi ricreativi, etc.) può, volendo, essere ridotta come strumento immediato per contrastare l’aumento dei prezzi. Considerando, inoltre, che esso si riferisce al primo trimestre del 2022 e che i dati di maggio confermano un ulteriore aumento dell’inflazione, la situazione non può che essere ancor più grigia. Questi dati suggeriscono riflessioni ulteriori tanto sulla natura dell’inflazione, sui suoi effetti distributivi e sugli strumenti cui ricorrere per evitare che a subirla siano solo i lavoratori e le lavoratrici. […] I dati ISTAT, nel mostrare come l’inflazione stia avendo un effetto asimmetrico tra le diverse classi sociali, confermano quindi che la migliore difesa contro l’aumento dei prezzi è proprio l’aumento dei salari, non solamente per recuperarne il loro valore reale ma anche perché un riequilibrio della ricchezza nazionale a loro favore contribuisce a rendere più simili i carrelli della spesa, contrastando quindi l’effetto solo apparentemente paradossale di un’inflazione più alta per chi spende meno. Gli strumenti, al contrario di chi predica moderazione (per gli altri…), sono proprio quello di rinnovi dei contratti a livelli che non solo garantiscano il recupero dell’inflazione ma anche (già proprio ora…) che permettano un aumento del salario reale dei lavoratori; e ancora, meccanismi periodici, e possibilmente automatici, di adeguamento per salari e pensioni al carovita.
Un ultimo passaggio sule tema dei rinnovi contrattuali: in Italia attualmente in base agli accordi vigenti fra le associazioni padronali e le organizzazioni sindacali (meglio, quelle confederali), i rinnovi contrattuali – quando avvengono – dovrebbero essere strutturati in modo che l’accordo nazionale garantisca l’adeguamento all’inflazione e quindi il mantenimento del salario reale, mentre eventuali ulteriori aumenti dovrebbero essere demandati alla contrattazione collettiva. Abbiamo già detto dell’ipocrisia dell’impianto teorico che sta dietro a questo schema, ma il ragionamento precedente sull’inflazione ci permette di fare un passo in più. Infatti, quando si negozia a livello centrale, l’indice di inflazione utilizzato non è l’IPCA visto in precedenza, ma una creatura mitologica chiamata “IPCA depurato della componente energia importata”; in pratica, nel computo dell’inflazione non viene considerata quella dovuta all’aumento dei beni energetici importati. Ciò di fatto vuol dire che in sede di contrattazione si considererà un’inflazione più bassa di quella sostenuta dai lavoratori e dalle lavoratrici che, come abbiamo visto, sono anche coloro che stanno scontando un aumento dell’inflazione superiore alla media nazionale.
leggi integralmente su: coniarerivolta
La sostenibilità ambientale nelle città italiane. Emergenza al Sud: Palermo e Catania in fondo
Nel 2015, all’Onu, 193 paesi sottoscrissero l’Agenda 2030, un patto per individuare e applicare le misure necessarie, tra l’altro, a contrastare il cambiamento climatico. Si tratta di un patto ambizioso ma realistico, composto da 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030 per promuovere uno sviluppo sostenibile ed evitare una catastrofe ambientale irreversibile. Da tempo ogni anno in Italia si monitora il raggiungimento dei singoli obiettivi raccogliendo i dati forniti dai 105 Comuni capoluogo, elaborati secondo calcoli statistici definiti. Gli aspetti presi in esame sono: aria, acqua, rifiuti, mobilità, energia ed ambiente urbano, evidenziati da 18 indicatori che prevedono l’assegnazione di un punteggio massimo teorico di 100 punti, costruito caso per caso sulla base di obiettivi di sostenibilità. I punteggi assegnati per ciascun indicatore identificano il tasso di sostenibilità della città reale rispetto a una città ideale non troppo utopica per cui il valore massimo di 100 sia stato raggiunto. Nel 2022 le città più virtuose sono state perlopiù al Nord: 1ª Bolzano, regina dell’ambiente, poi Trento, Belluno, Reggio Emilia e Cosenza, mentre ben 10 città hanno un punteggio totale al di sotto di 40. Le città più carenti dal punto di vista ambientale si trovano quasi tutte al Sud: alcune non hanno nemmeno comunicato tutti i dati richiesti. Al Nord solo Alessandria, maglia nera del Piemonte, si trova in fondo con Palermo e Catania nel conteggio totale degli obiettivi raggiunti al di sotto di 30.
Le emergenze ambientali sono all’ordine del giorno ed è sempre più evidente che l’economia mondiale deve abbandonare l’atteggiamento predatorio verso i beni che la Terra offre da tempo immemorabile. I fenomeni climatici estremi, con alternanza di tornadi, piogge torrenziali e lunghi periodi di siccità, oltre allo scioglimento di tutti i ghiacciai, sono all’ordine del giorno in tutto il mondo. In Italia, il Piemonte è stato dichiarato regione in cui la siccità è più drammatica di tutta l’Europa; la nostra agricoltura è in affanno e una parte del Paese è a rischio di desertificazione. Solo un atteggiamento responsabile e un cambio degli stili di vita può avviarci verso uno sviluppo sostenibile così da invertire la tendenza al surriscaldamento globale nei tempi brevi necessari per la sopravvivenza della specie umana.
leggi articolo integrale di Margherita Corona, Volere la Luna