Questo 25 aprile ha visto una speciale motivazione per riaffermare l’antifascismo: dalla nascita della Repubblica è in vigore il primo governo fascista della nostra storia dopo il ventennio. E infatti la partecipazione alle commemorazioni tradizionali è stata massiccia: dal cippo per i caduti di Cefalonia al Giardino Inglese, attraverso il viale della Libertà, fino al Teatro Massimo la folla è andata ingrossandosi in uno sventolio di bandiere di associazioni, sindacati e partiti della sinistra. Il sindaco La Galla, ex rettore dell’Università, eletto coi voti dell’UDC di Totò Cuffaro reduce dal carcere per mafia, è stato fischiato per non aver mai nominato né la parola antifascismo né la Resistenza. Si coglieva tutto il paradosso che a rappresentare la Costituzione fossero proprio coloro che la calpestano.
In mezzo alla folla molte bandiere arcobaleno: ecco l’altro leit motiv della giornata: l’antimilitarismo. Come portavoce del Presidio delle Donne per la Pace, ho ricordato che il 25 aprile non segna solo la caduta del totalitarismo nazifascista in Italia, ma anche la fine della guerra. Guerra che aveva disvelato tutto l’orrore del regime anche agli occhi di chi, come mia madre, sotto quel regime era nata e non ne aveva avvertito la crudeltà fino alle ore dei bombardamenti, della fame, della scabbia.
La Costituzione, figlia della Resistenza, nell’art.11, tra i Principi Fondamentali e inalienabili, recita: l’Italia ripudia la guerra. Eppure oggi, con i venti di destra che spirano in quasi tutta Europa, essa viene presentata come inevitabile. Ma la guerra è inevitabile solo per il grande capitale, che non sa altrimenti risolvere le sue crisi. In realtà, non è un male necessario, ma un male punto e basta, che distrugge, scaccia i popoli dalle loro case costringendoli a migrare, annulla i diritti umani, come hanno sottolineato i compagni dell’ANPI e della CGIL intervenuti.
In Italia però si educa al militarismo: progetti PCTO (ex alternanza scuola/lavoro) nella base di Sigonella, da cui partono i droni per le operazioni di intelligence sul Mar Nero e in Ucraina, nelle caserme di Palermo, Messina, Catania, che interessano almeno un centinaio di studenti delle superiori; celebrazioni del centenario dell’Aeronautica Militare che esaltano le armi come oggetti di valore; la leader che si mostra ai bimbi di una scuola primaria romana su un F35 (“credere obbedire combattere”).
Scriveva Lidia Menapace, partigiana cattolica, che un Paese che non educa alla cooperazione e alla solidarietà, ma alla competizione e all’individualismo prepara la guerra, cioè la sciagura. Inoltre l’indottrinamento al militarismo normalizza la guerra, distorce l’evoluzione della mentalità adolescente danneggiandone l’equilibrio, insegna la sottomissione e l’obbedienza anziché il libero pensiero creativo e critico: nuoce cioè a livello individuale oltre che sociale. È nato da poco un Osservatorio Nazionale sulla militarizzazione delle scuole, al quale sarà possibile inviare denunce (il sito sarà presentato a breve).
A fine mattinata si propone di aderire alla staffetta per la pace, sostenuta tra gli altri da Michele Santoro e coordinata logisticamente dall’Associazione Compagnia dei Cammini, e di firmare un appello del Comitato No Muos al Comune di Palermo affinché si dichiari smilitarizzato e si attivi per la pace.
L’appuntamento è per il pomeriggio all’Istituto Antonio Gramsci, per proseguire la riflessione su antifascismo, guerra e controinformazione. Sono collegati da remoto i giornalisti Alberto Negri e Antonio Mazzeo.
Quest’ultimo, con la sua abituale attenzione e profondità, e dunque con dovizia di particolari, enuncia la pericolosità della situazione. Questa guerra non la vincerà nessuno, aveva già detto Negri, citando fonti statunitensi. Mazzeo ribadisce l’escalation in atto che porterà alla guerra globale (nella quale, tra l’altro, prima vittima è la verità, massacrata dalla logica binaria della propaganda). L’Italia, riferisce Mazzeo, è l’unico Paese NATO in cui non viene comunicato ai cittadini quali e quante armi siano inviate in Ucraina: i sette decreti-legge in merito sono tutti secretati, ma sappiamo di spendere il 2% del PIL in armamenti e di essere il secondo Paese dopo gli USA per numero di soldati schierati attorno alla Russia e in Europa dell’Est: duemila uomini.
Del resto, il nostro stesso territorio è ampiamente militarizzato. Oltre alle basi NATO di Aviano e Sigonella, da cui si levano i droni, armi partono dagli aeroporti di Pratica di Mare e di Pisa, carri armati dalle stazioni ferroviarie del Friuli; soldati ucraini vengono addestrati a Sabaudia; da Foggia inviamo i cacciabombardieri F35 che imbarcano testate nucleari britanniche; a Torino si sta avviando il progetto Diana (1 miliardo di euro di spesa) per la ricerca di nuove armi; ad Aviano sono già presenti le armi nucleari B61 da caricare sugli F35; a Sigonella sono stati espropriati altri 100 ettari di terra a Mario Ciancio Sanfilippo, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, allo scopo di realizzare entro due anni un deposito d’armi. E a questo proposito non si può non ricordare la preveggenza di Pio La Torre nella lotta contro i missili a Comiso, quando individuò e denunciò la stretta connessione fra militarizzazione e mafia… E poi c’è il Muos di Niscemi, pericoloso tra l’altro per la salute degli abitanti e il degrado ambientale a causa dell’inquinamento magnetico. Ma si parla di creare altri centri armati a Lampedusa, Capo Passero, etc. Il Ponte sullo Stretto collegherà, è stato dichiarato, le basi Nato del Mezzogiorno a quelle siciliane, favorendo la mobilità militare.
Che fare? Si è ricreato il Comitato No Ponte, i No Muos propongono una manifestazione a Niscemi quest’estate. C’è la staffetta per la pace il 7 maggio. Insomma la società civile si attiva.
Daniela Dioguardi, del Presidio di Donne per la Pace, ricorda come nel 1991 in occasione della guerra contro l’Iraq scesero in piazza in tutto il mondo milioni di persone, che furono paragonate alla seconda potenza mondiale dopo gli USA, una presa di coscienza mai più così vasta. Ma proprio da allora le guerre Nato si sono susseguite, dal Kossovo all’Afghanistan. E oggi i conflitti sul pianeta sono una sessantina. La menzogna che quella in Ucraina sia la prima guerra europea dopo il 1945 (che dimentica Jugoslavia, Cecenia, Donbass) è strumentale alla propaganda della guerra giusta contro l’Impero del Male (Putin come Hitler).
C’è poi un uso politico delle parole che tende a minimizzare e normalizzare la guerra: guerra preventiva (in Iraq), guerra umanitaria (in Jugoslavia), guerra per liberare le donne (in Afghanistan) e ora guerra per la democrazia, mentre Putin la chiama operazione militare speciale. Dunque, fare controinformazione significa anche lavorare sulle parole.
E comporta la significazione della differenza: di contro alle donne omologate al potere (Von der Leyen, ministre ucraine, etc.) ristabilire il nesso donna-vita-libertà come in Iran e in Kurdistan.
Ricorda il Presidente onorario della Corte di Cassazione Gallo che a giustificazione della guerra si è stravolto il senso del comma 2 dell’articolo 11, quasi a sancire la liceità della nostra sudditanza alla NATO. E conclude la serata leggendo qualche passo dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza.
Ci lasciamo così: la Resistenza continua.