L’ultimo rapporto di Survival International porta alla luce l’ennesimo caso di violazione dei diritti delle popolazioni indigene. Questa volta siamo in Kenya e quella che emerge dal report è la storia del legame tra alcuni colossi aziendali (Netflix e Meta, per fare un esempio) e i progetti di compensazione del carbonio avviati all’interno di un’Area protetta presente nel Kenya settentrionale.
Carbonio insanguinato è il nome dato alla campagna promossa dopo la pubblicazione del rapporto condotto da Simon Counsell, scrittore e ricercatore indipendente, e Survival International e per poterne cogliere tutte le implicazioni si rendono necessarie alcune precisazioni. La prima è che quando si parla di “Area protetta” si fa riferimento a un’area naturale, istituita mediante apposite leggi – approvate a livello nazionale o regionale, da istituzioni pubbliche o da privati – allo scopo di preservare l’equilibrio ambientale di un determinato luogo, aumentandone o mantenendone l’integrità e la biodiversità e tutelando le popolazioni indigene eventualmente presenti nell’area. In linea teorica, proprio questa è la funzione dell’Area di conservazione istituita nel Kenya settentrionale dalla Northern Rangeland Trust (da ora in avanti NRT).
Come si legge all’interno del rapporto, la NRT – organizzazione fondata nel 2004 su iniziativa di Ian Craig – ha promosso il più grande progetto esistente al mondo di rimozione del carbonio dal suolo: il Northern Kenya Grassland Carbon Project (NKCP). Secondo l’organizzazione promotrice del progetto, esso sarebbe il primo a generare crediti di carbonio dalla modificazione delle pratiche indigene di pascolo del bestiame. In questo modo, si riuscirebbero a stoccare circa 1,5 milioni di tonnellate di carbonio extra in più all’anno, vendute poi in crediti alle società inquinanti. Ma cosa sono i crediti di carbonio e in che modo possono aiutarci a risolvere la crisi climatica?
I progetti di compensazione del carbonio
I crediti di carbonio sono certificati negoziabili o autorizzazioni che concedono il diritto di emettere una tonnellata di anidride carbonica o la quantità equivalente di un diverso gas serra. Acquistando un credito di carbonio, dunque, si sta acquisendo la possibilità di continuare a emettere in atmosfera sostanze climalteranti. Questo perché la stessa quantità di gas inquinanti viene rimossa finanziando, attraverso l’acquisto del credito stesso, progetti di compensazione di carbonio realizzati spesso all’interno delle Aree protette. Come si legge sul sito di Survival, i crediti di carbonio rappresentano la nuova era della mercificazione della natura.
Essi, infatti, stanno trasformando le terre delle popolazioni indigene e delle comunità locali in riserve di carbonio da scambiare sul mercato, in modo che chi inquina possa continuare a farlo indisturbato, mentre vengono violati i diritti territoriali e minacciate le pratiche di sussistenza di chi in quelle terre vive o transita. Proprio per porre fine a questa drammatica situazione Survival International ha lanciato la campagna Carbonio insanguinato, alla quale si può aderire rispondendo alla call to action che chiede agli utenti di inviare una mail a Verra, una delle più grandi società certificatrici di carbon credits, chiedendole di cancellare immediatamente i crediti di carbonio della NRT.
Il sistema “Verra” tra luci e (molte) ombre
Attraverso l’impiego di un rigoroso insieme di regole e requisiti, il sistema Verra è chiamato a garantire che i progetti di compensazione di carbonio generino riduzioni delle emissioni reali, credibili e permanenti. Una condizione che, tuttavia, il progetto promosso dalla NRT non sembra rispettare. Il Northern Kenya Grassland Carbon Project, infatti, prende le mosse dall’idea che la sostituzione del pascolo tradizionale – così come praticato dalle comunità indigene presenti nell’Area di conservazione – con un pascolo definito “a rotazione pianificato” consenta alla vegetazione di ricrescere più velocemente e in modo più proficuo. Una circostanza che, a sua volta, permetterebbe di ottenere un maggiore stoccaggio di carbonio nei terreni delle Aree di conservazione, per una media annuale di circa tre quarti di tonnellate di carbonio addizionale per ettaro.
È proprio l’addizionalità, fa notare Survival, a sollevare molti (troppi) interrogativi circa la credibilità del progetto di compensazione promosso da NRT. Quest’ultimo, infatti, pur basandosi sul presupposto che le forme tradizionali di pascolo, praticate seguendo le precipitazioni locali e regionali e lungo rotte migratorie che possono estendersi per centinaia di chilometri, degradino il suolo non fornisce prove empiriche a supporto di tale tesi. Né tantomeno ne fornisce per dimostrare che il pascolo a rotazione pianificato sia effettivamente migliore quanto a stoccaggio di carbonio nel suolo rispetto al modello tradizionale.
L’assenza di prove empiriche, dunque, unitamente al cosiddetto scenario di riferimento – espressione con cui ci si riferisce a ciò che si afferma sarebbe accaduto in assenza del progetto stesso – non fa altro che dimostrare l’infondatezza del progetto ponendo non pochi interrogativi sulle modalità con cui Varra ha valutato il progetto della NRT che, nel frattempo, ha già ricavato milioni dalla vendita dei crediti di carbonio ed è destinata a guadagnarne molti altri, mentre chi meno ha contribuito alla crisi climatica è costretto a pagarne il prezzo più alto.
Le denunce di Survival sul progetto della NRT
Anche da un punto di vista giuridico il progetto non manca di sollevare importanti interrogativi. Sembrerebbe, infatti, che la NRT non abbia ricevuto dalle popolazioni indigene il necessario consenso previo, libero e informato: la fornitura di informazioni sul progetto è stata limitata a un numero ristretto di individui e per lo più molto tempo dopo l’inizio dello stesso. In aggiunta a questa già grave violazione, la NRT è stata a lungo priva dei diritti contrattuali necessari a vendere il carbonio. Questo perché solo nel 2021, quindi circa otto anni e mezzo dopo l’inizio del progetto in Kenya settentrionale, è stato firmato un accordo con le Aree di conservazione per commerciare il carbonio presumibilmente presente al loro interno.
Inoltre, Survival si dice preoccupata in merito alla distribuzione dei fondi derivanti dalle vendite di carbonio e ha ragione di credere che malgrado quanto previsto dal progetto – in virtù del quale il 30% dei fondi totali da distribuire alle Aree di conservazione deve essere destinato a obiettivi che le comunità stesse determinano – le popolazioni indigene presenti nell’Area non otterranno alcun tipo di beneficio. Più verosimilmente, i leader della comunità ritengono che una parte del denaro sarà impiegata per esercitare il controllo sulle comunità e per promuovere le priorità della NRT.
Priorità che, inserendosi in quel modello di conservazione fortezza contro cui Survival combatte da tempo, assai difficilmente risultano conciliabili con gli interessi delle comunità locali, che devono fare i conti con un retaggio culturale colonialista e razzista che li vede del tutto incapaci di prendersi cura delle proprie terre. Terre da cui vengono sistematicamente allontanati in nome di una conservazione che pretende di tutelare l’ambiente, ma uccide le persone.
Virgilia De Cicco