“Sto tra la sessantesima strada, sulla linea del fronte presidiata dalle Forze di intervento rapido, e il quartier generale dell’esercito; sento gli spari e so che nessuna delle due parti è adatta a governare il nuovo Sudan”. La voce di Duaa Tariq, curatrice d’arte e attivista democratica, arriva al telefono dal cuore di Khartoum.
Da casa sua, vicina al Nilo azzurro, questa giovane vede colonne di fumo e sente esplosioni. “Finora il cessate il fuoco si è rivelato un fallimento” riferisce Tariq, intervistata dall’agenzia Dire mentre si trova nel quartiere di Jeraif, nella parte orientale della capitale del Sudan. “La ‘tregua’ ha retto un’ora o poco più: ieri hanno bombardato una casa e un ospedale nell’area di Omdurman, con due morti e decine di persone ferite, mentre stamane hanno colpito qui accanto, a due condomini di distanza, per fortuna pare senza causare vittime”.
Sembra che al momento delle esplosioni gli abitanti non si trovassero in casa. Una verifica è tuttora in corso, con telefonate e messaggi rilanciati dal “comitato di resistenza” del quartiere, un’associazione di base della quale Tariq fa parte.
“Sono membro di ‘Khartoum est’, che dall’inizio del 2019 in poi ha organizzato decine di manifestazioni contro il carovita e per la democrazia, prima e dopo la caduta dell’ex presidente Omar Al-Bashir, e poi si è impegnato a portare nei negoziati politici le richieste della rivoluzione”. Il riferimento dell’attivista è ai cortei che determinarono la fine di un regime ultratrentennale, nato nel 1989 con il golpe di un generale. E proprio come Al-Bashir sono generali i due contendenti di oggi, Abdel Fattah Al-Burhan, comandante in capo dell’esercito, e Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, “piccolo Maometto”, a capo delle Forze di intervento rapido. La caduta di Al-Bashir, arrestato da altri militari sulla scia dei cortei popolari, ha segnato l’avvio di una fase di transizione ricca di speranze.
Oggi, dopo un nuovo golpe militare dell’ottobre 2021, i “rivoluzionari” come Tariq devono però fare i conti con una nuova emergenza. “Molti giovani del comitato sono dovuti andar via da Khartoum, per accompagnare e proteggere le proprie famiglie” riferisce l’attivista. “Con il passare dei giorni ci si è però cominciati a organizzare, per aiutare chi è rimasto solo a casa, prendersi cura dei bambini abbandonati o di chi ha bisogno di medicine o magari deve spostarsi”.
Tra le iniziative dei giovani di Jeraif c’è anche la campagna “No alla guerra”, con appelli a una tregua immediata e all’avvio, con la garanzia di un cessate il fuoco effettivo, di negoziati con la partecipazione delle parti sociali. Nel frattempo sui muri di Khartoum sono comparse nuove scritte, inneggianti alla pace e alla “rivoluzione”.
Se, come e quando questa potrà riprendere il proprio corso resta tutt’altro che chiaro. Ad alimentare i timori e le incertezze è da ultimo la notizia dell’uscita dal carcere di Ahmad Haroun, ex capo dei “janjaweed”, i cosiddetti “diavoli a cavallo”, accusati di crimini contro l’umanità per il conflitto armato cominciato nella regione del Darfur nel 2003. Haroun è ricercato dalla Corte penale internazionale, così come l’ex presidente Al-Bashir, agli arresti dal 2019. Entrambi sono stati detenuti nella prigione di Kober, dalla quale sarebbero usciti non solo l’ex capo dei “janjaweed” ma anche altri dirigenti del Partito del congresso nazionale, quello di Al-Bashir. Oggi i “diavoli a cavallo” sono inquadrati nelle Forze di intervento rapido, anche se non è chiaro quali possano essere le nuove posizioni e le alleanze di Haroun.
Sul piano politico, Tariq condivide le richieste dei “comitati di resistenza”. “Questa lotta per il potere non ha nulla a che vedere con le richieste della gente” sottolinea l’attivista. “Vogliamo che i militari tornino nelle caserme e che le Forze di intervento rapido siano integrate nell’esercito o sciolte del tutto”. Se c’è una cosa emersa con chiarezza in Sudan, questo il senso delle parole di Tariq e delle scritte sui muri di Khartoum, è “che né l’una né l’altra parte sono adatte per il nuovo Sudan democratico e sociale”.