È fatto noto che nei Paesi socialisti, abitualmente definiti di «socialismo reale» e, in generale, nelle diverse esperienze socialiste o orientate al socialismo realizzate nel XX secolo o ancora attive in questo XXI secolo, l’arte ha sempre rappresentato e tuttora rappresenta, al tempo stesso, una manifestazione politica, quindi un veicolo per affermare i contenuti ideali, politici e programmatici del socialismo nelle sue varie declinazioni, e un’esperienza pedagogica, vale a dire un canale attraverso cui esercitare una vera e propria «pedagogia delle masse», diffondere valori e contenuti utili a orientare il discorso nella sfera sociale.

Che i poteri costituiti affermino la propria presenza nello spazio pubblico, operino nell’elaborazione di una narrazione unificante e legittimante, agiscano nella costruzione di immaginari e di memoria pubblica, anche attraverso la definizione di una vera e propria «memoria collettiva», non è peculiarità del socialismo, ma è aspetto proprio, appunto, dell’esercizio del potere nello spazio pubblico, al di là delle specificazioni ideologiche. Ciò che più da vicino caratterizza la declinazione socialista di questa dimensione è la destinazione prospettica, la finalizzazione: classe operaia, unità del mondo del lavoro e centralità dei lavoratori e delle lavoratrici nello spazio pubblico; antifascismo e costruzione di una più avanzata società democratica; antimperialismo e lotta per la pace, per l’internazionalismo, per la «unità e fratellanza» tra i popoli.

Sono questi alcuni presupposti della peculiarità delle forme dell’arte pubblica nei Paesi socialisti o che furono socialisti, specie in relazione alle grandi architetture e sculture simboliche, alle sculture monumentali, al disegno e alla fattura di monumenti e memoriali che ancora sono presenti e si possono ammirare, praticamente, da un capo all’altro del pianeta. Essi sono, talvolta, vestigia di un tempo passato, muto lascito di storie, personaggi ed eventi che sembrano non avere attinenza con il presente; altre volte sono invece protagonisti tuttora dello spazio pubblico, continuano a suscitare interesse e a catturare attenzione, a esercitare un ruolo nella sfera estetica e sociale, a coagulare eventi collettivi e celebrazioni rituali.

Alcuni di questi casi sono peraltro celebri, noti alla storia dell’arte del XX secolo: il Palazzo dell’Ambasciata Sovietica (oggi Ambasciata della Federazione Russa) all’Avana, Cuba (1978), è famoso, ad esempio, come uno dei capolavori del «costruttivismo», che prese slancio, in Russia e non solo, soprattutto dopo l’Ottobre e, rifiutando il dogma dell’arte per l’arte, propugnava l’idea dell’arte tesa alle sue finalità sociali, «costruendo», appunto, la propria forma artistica dentro l’edificazione stessa della società e anticipando la realizzazione del «mondo nuovo» attraverso la spinta organizzativa, costruttiva, della classe operaia.

Il Monumento all’Armata Rossa a Sofia, Bulgaria (1954), è non meno famoso, anche per la sua imprevista capacità di attraversare le epoche attraverso la risignificazione cui è sottoposto: resta uno dei capolavori dell’arte monumentale del «realismo socialista» e veicola, dopo la fine del socialismo in Bulgaria, contenuti e messaggi diversi, di volta in volta ispirati all’attualità, con i graffiti e le colorazioni con cui viene “aggiornato”. Anche quella del «realismo socialista» è, del resto, una formazione tipica, espressiva, dell’arte nel socialismo: arte, come annunciò il grande Maksim Gorkij sin dal 1934, che doveva essere «realista per forma e socialista per contenuto», esprimere la realtà in forma artistica nella sua dinamica dialettica e nella sua evoluzione progressiva, affermare la tendenza storica, l’avanzata verso la dignità e l’emancipazione.

Nella Jugoslavia socialista si passò presto, dopo la stagione tra la metà degli anni Quaranta e la fine degli anni Cinquanta, dal realismo socialista al «modernismo socialista»: si affermava cioè l’estetica del segno geometrico e delle forme simboliche, si lasciava spazio all’immaginazione e alla creatività per rappresentare, in forme talvolta astratte, talvolta evocative, l’originalità e la singolarità di quello straordinario esperimento storico e politico che fu il socialismo jugoslavo: unità e fratellanza dei popoli; autonomia e autogestione nella sfera sociale e produttiva; non allineamento, impegno per la pace e la solidarietà internazionale e «via nazionale», originale, al socialismo, contro il liberalismo occidentale ma distinti dal socialismo sovietico. Nella distanza che intercorre tra il realismo e il modernismo si può misurare tutta la straordinaria varietà e pluralità di forme e moduli estetici che il socialismo, nelle sue concrete realizzazioni, ha saputo sperimentare.

Sono stati stimati 40.000 “spomenici” (spomenik), monumenti commemorativi, grandi o piccoli, famosi o semi-sconosciuti, variamente disseminati nel territorio della Jugoslavia tra i Cinquanta e gli Ottanta. Tra questi, alcuni capolavori assoluti, come il Memoriale di Sutjeska (1971), a Tjentište, nella Republika Srpska; il Monumento alla Rivoluzione (1972) a Kozara, ancora nella Republika Srpska; la Necropoli Monumentale (1965) a Mostar, in Bosnia. A questa straordinaria celebrazione di immagini e miti è dedicata una conferenza in programma a Napoli venerdì 28 aprile, a partire dal volume di G. Pisa, Di terra e di pietra. Forme estetiche negli spazi del conflitto dalla Jugoslavia al presente (Multimage, Firenze, 2022), con gli interventi di Marco Coppola (CARC Napoli) e di Elisabetta Weglik (GalleriArt), negli spazi della GalleriArt, in Galleria Principe di Napoli.