Le Acli in occasione del 1° Maggio hanno presentato la ricerca “Lavorare pari: dati e proposte sul lavoro tra impoverimento e dignità” nella quale, tra le tante altre cose, si evidenzia come ad avere una peggiore condizione reddituale siano le donne (oltre ai giovani e ai residenti nelle regioni del Sud). Le donne sono il 21,7% delle persone che possono contare su 9.000 € annui (gli uomini il 7,1%), mentre le lavoratrici chehanno redditi inferiori o uguali a 11.000 euro sono il 27,9% (gli uomini il 9,8%) e sono il 40,9% delle persone povere o comunque vulnerabili.
Qui la sintesi della Ricerca e alcune proposte: https://www.acli.it/wp-content/uploads/2023/04/sintesi-Lavorare-pari-dati-redditi-e-proposte-1-maggio-2023_ultima_compressed.pdf.
I dati sull’occupazione femminile sono più che allarmanti: secondo l’OECD, il tasso di partecipazione alla forza lavoro delle donne è del 48%, contro il 66% maschile. Ma oltre il danno la beffa, perché la quota di donne lavoratrici subisce marcati divari retributivi di genere, così come minori prospettive di carriera soprattutto in relazione a ruoli dirigenziali e di responsabilità (sul totale dei circa 115.000 dirigenti in Italia, solo il 33% sono donne secondo CIDA). Nonostante le donne italiane siano più istruite degli uomini (il 23,1% delle donne ha una laurea contro il 16,8% degli uomini), tale vantaggio nell’istruzione, non ha un corrispettivo in ambito lavorativo. Ad aggravare la situazione è il gap tra le regioni del nord e sud Italia, dove il divario è ancora più allarmante.
Anche la sottosegretaria all’Economia e Finanze Lucia Albano nella relazione annuale sul Bilancio di Genere 2022 presentata di recente al Parlamento ha sottolineato che: “nonostante vi sia un miglioramento (nel 2021 il tasso di occupazione femminile è stato pari al 49,4%, mentre Il divario tra tasso di occupazione femminile e maschile era del 17,7%), i dati italiani rimangono molto lontani dalla media europea, dove le donne occupate rappresentano il 63,4% e il divario di genere nell’occupazione è pari a 9,9%. Inoltre, continuano ad essere rilevanti le penalizzazioni di carriera legate alla maternità: il tasso di occupazione delle donne con figli è inferiore di quello senza figli”. Qui l’audizione: https://www.youtube.com/watch?v=a-BhEWAqe6I.
Ma è già dalla ricerca di lavoro che le donne sono costrette a fare i conti con ostacoli e discriminazioni, come evidenziano i dati dell’Osservatorio sugli ostacoli e le discriminazioni contro le donne nella ricerca lavoro, costituito da Jobiri (https://www.jobiri.com/), un’impresa innovativa a vocazione sociale, con l’obiettivo di: favorire lo sviluppo e l’empowerment delle donne nella ricerca di lavoro; supportare le Istituzioni a sviluppare servizi al lavoro più efficaci e a misura di donna; migliorare la capacità delle donne di affrontare i costanti cambiamenti nel mercato del lavoro; contribuire ed abbattere le discriminazioni di genere.
Di recente sono stati presentati i primi dati dell’Osservatorio derivanti da un’indagine realizzata tramite la somministrazione di un questionario online a un campione di 1.053 donne tra i 18 e 65 anni nel periodo tra gennaio e ottobre 2022. Da questi dati è merso che oltre alla metà delle donne intervistate sono state sottoposte domande discriminatorie durante i colloqui, mentre per il 71% la ricerca di un’occupazione rappresenta un motivo di confusione. Per molte intervistate la ricerca di un impiego è vissuta come un continuo saliscendi di emozioni, con momenti di gioia e sconforto ricorrenti. Situazioni emotivamente intense e negative possono portare a minore motivazione e focus, mentre emozioni frustranti possono spingere ad abbassare le aspettative lavorative o ripiegare su candidature meno interessanti. Nel campione analizzato confusione, solitudine e rassegnazione rappresentano le emozioni più comuni rispettivamente nel 71%, 69% e 45% dei casi; quelle di ansia e paura nel 40% e nel 22% dei casi, mentre rabbia nel 16% e perdita d’identità nel 10%. Donne in cerca di lavoro, tra discriminazioni e molestie. Nonostante gli sforzi per promuovere l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro, il pregiudizio e le discriminazioni verso le donne sono ancora comuni. Le donne possono incontrare discriminazioni in ogni fase del processo di ricerca, dal momento in cui leggono un annuncio di lavoro al momento in cui affrontano un colloquio o ricevono una proposta di assunzione. “È possibile identificare tre “momenti”, si legge nel Rapporto sui primi dati dell’Osservatorio, dove avvengono le discriminazioni o anche fenomeni gravissimi come le molestie: 1. Discriminazioni in fase di candidatura; 2. Discriminazioni e molestie in fase di colloquio; 3. Discriminazioni e molestie in fase contrattuale”.
Nella fase di candidatura il 71% delle rispondenti dell’indagine dichiara di aver trovato annunci di lavoro in cui il genere era un requisito di accesso; il 46% ne ha trovati con limiti d’età, mentre il 38% ha riscontrato annunci sessisti e riferimenti riconducibili a “body shaming” (come “non in sovrappeso, solo bella presenza”). Altre tipologie di discriminazioni riscontrate sono la declinazione solo maschile di una professione, l’utilizzo di aggettivi tipizzati per figure maschili e la richiesta di dettaglio sul genere. Tutti comportamenti illegali: si pensi al “Codice delle Pari opportunità” (d.lgs. N. 198/2006) o alla Carta Costituzionale, che all’art. 37 sancisce che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni, che spettano al lavoratore”. Nella successiva fase di colloquio il 56% delle rispondenti dichiara di aver dovuto parlare della propria situazione matrimoniale, il 55% di aver ricevuto domande relative alla gestione o la cura dei figli. Persistono poi i casi di molestie, che possono andare da apprezzamenti a sfondo sessuale (16% dei casi), a contatti fisici indesiderati o inopportuni (11% dei casi). Nella fase contrattuale, infine, il 12% delle intervistate ha dichiarato di aver ricevuto almeno una volta promesse di assunzione in cambio di favori sessuali, mentre il 68% delle rispondenti denuncia offerte di contratti con stipendi più bassi rispetto ai colleghi maschi. Per quanto riguarda invece i curricula, i dati dell’Osservatorio evidenziano che “dai dati raccolti ad oggi, purtroppo sono ancora molte le criticità che si rilevano tra i curriculum delle candidate alla ricerca di impiego e che minano già dall’inizio il loro inserimento lavorativo. È possibile identificare due categorie principali di problematiche: 1. Gap di competenze ed esperienze («skills gap»); 2. Difficoltà a valorizzarsi in maniera efficace ai selezionatori”. Per quanto riguarda il “gap di competenze ed esperienze” (“skills gap”), nell’83% dei casi di maternità, le candidate hanno fatto scarso o nessun ricorso a occasioni formative; nel 33% dei casi, mancano di competenze tecniche o delle esperienze richieste negli annunci di lavoro. Per ciò che attiene invece alla “difficoltà a valorizzarsi”, l’86% delle candidate non è in grado di promuovere i risultati formativi o professionali raggiunti, l’85% non inserisce parole chiave nel curriculum.
“La digitalizzazione e le tecnologie innovative– si legge a conclusione del Rapporto sui primi dati dell’Osservatorio– stanno rivoluzionando il mercato del lavoro a una velocità mai vista prima. Nuove forme di attività economiche e nuove professioni stanno emergendo. Ciò richiede un costante aggiornamento delle competenze per rimanere competitivi. Ma questo non deve essere un ostacolo alla crescita professionale delle candidate. Per far fronte a questo cambiamento epocale, sono necessari investimenti in sistemi di formazione e accompagnamento al lavoro, non solo nelle fasi critiche del primo inserimento, ma lungo l’intero arco della vita professionale delle donne”.
Qui per scaricare tutti i dati dell’Osservatorio Jobiri sugli ostacoli e le discriminazioni contro le donne nella ricerca di lavoro: https://www.jobiri.com/osservatorio-ostacoli-e-discriminazioni-contro-le-donne-nella-ricerca-lavoro/.