” Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione” e’ l’edizione italiana appena pubblicata da Fazi Editore del nuovo libro di Nils Melzer, arricchito dalla prefazione della giornalista d’inchiesta Stefania Maurizi, a sua volta profonda conoscitrice del caso Wikileaks e della persecuzione giuridico-politica subita da Julian Assange.
L’autore, relatore speciale dell’Onu sulla tortura e altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti, descrive, in circa 460 pagine, gli eventi sconcertanti, sia giuridicamente che umanamente, in cui lui stesso, nonostante la sua veste pubblica di Relatore speciale ONU si è imbattuto da quando ha accolto la richiesta di aiuto degli avvocati di Assange, richiesta precedentemente rifiutata. Un rifiuto, ammette onestamente Melzer, dettato dall’aver fatto propria la narrazione calunniosa confezionata dai media secondo quel meccanismo comunicativo che rende “veritiero il suono delle bugie e rispettabile un delitto, dando aspetto di consistenza al puro vento” come sinteticamente spiegato da G. Orwell e riportato dall’autore.
Solo nel marzo del 2019 Melzer decide di esaminare i documenti che gli sono stati precedentemente inviati e scopre l’inequivocabile l’intenzione di distruggere Assange, colpevole di aver fatto conoscere i crimini e i criminali impuniti nascosti dietro il segreto militare.
Esaminando oltre diecimila pagine di atti relativi al caso, Melzer confessa con estrema franchezza di essersi reso conto solo ora che l’uomo presentato come narcisista, stupratore, delinquente e terrorista in realtà è colui che ha deciso di svelare i crimini orrendi contro esseri umani privi di difesa, crimini commissionati proprio dalle istituzioni di quegli Stati che, in quanto democratici, dovrebbero garantire il rispetto dei diritti umani, elemento base che distingue la dittatura dallo Stato di diritto.
Esaminando i fatti dalla nascita di Wikileaks alla pubblicazione del video segreto collateral murder e successivamente degli Iraq war logs e degli Afgan war diary, passando per le accuse di stupro nel 2010, in realtà mai presentate dalle due ragazze svedesi con le quali aveva avuto rapporti sessuali, e via via per tutti gli avvenimenti, compreso l’asilo prima e l’arresto poi nell’ambasciata ecuadoriana, fino al carcere di Belmarsh di Londra e alle condizioni estremamente umilianti che subisce senza alcuna condanna, ma con la costante minaccia di un’estradizione negli USA dove rischia di morire in un carcere di massima sicurezza, Melzer si appassiona al caso non solo in difesa di Assange, perseguitato per aver denunciato crimini di guerra, ma in difesa della libertà di stampa che attraverso l’attacco ad Assange viene gravemente limitata privando la società di un fondamentale diritto democratico.
La ricostruzione dei fatti che Melzer espone nel suo corposo volume è un doloroso squarcio da cui traspare con spietato nitore la corruzione di governi, magistrati, militari e organi di stampa collusi con la parte peggiore del potere USA.
Uno squarcio da cui trapela anche l’insignificanza del diritto umanitario universale, della legalità internazionale e della stessa ONU che ne dovrebbe essere garante ma che, al contrario, soccombe davanti ai potenti, non tanto per corruzione dei suoi funzionari, quanto per impossibilità di ottenere rispetto di quei principi che restano solo parole vuote usate da chi, senza vergogna, le ripete mentre le nega nei fatti fino a rendersi colpevole o complice di orrendi atti criminali. Tra i tanti personaggi citati dall’autore spicca la figura del presidente Obama, indegno Nobel per la pace, il quale ha assicurato “la completa impunità per la tortura sponsorizzata dallo Stato” e ha impedito “qualsiasi forma di attribuzione di responsabilità per i crimini di guerra degli Stati Uniti” come appare dallo studio di documenti relativi al periodo del suo mandato.
Raccontando dei casi seguiti nel suo ruolo di Relatore speciale ONU, il professor Melzer fa scoprire al lettore situazioni orrende mai sanate come l’esistenza dei black sites, mai chiusi nonostante se ne denunciassero le pratiche di tortura o l’efferatezza delle S.A.M. sempre in piena attività o il caso dell’ex funzionario CIA Kiriakou il quale, al pari di Assange, fu accusato di spionaggio per aver denunciato l’abuso di torture ( precisiamo ’’abuso’’, come ad esempio sottoporre un prigioniero per 183 volte alla tortura del waterboarding) e finito in carcere al posto dei torturatori perché colpevole di averli denunciati. E questo non sotto un regime dittatoriale ma nella ”culla della democrazia” e ancora sotto la presidenza del Nobel per la pace Obama. Tanto basta per capire che ‘’democrazia’’ o ‘’diritti umani’’ sono solo termini di facciata e non di contenuto, usati per ingannare l’opinione pubblica, almeno finché resta massa dormiente che non sa o che preferisce non sapere.
Pagina dopo pagina, infamia dopo infamia, leggendo nomi e cognomi di ministri, magistrati, giornalisti e militari conniventi, in primis britannici e svedesi, seguiti da ecuadoriani e australiani che in varia misura si contendono il primato della vergogna prostrandosi agli USA, il lettore potrebbe essere colpito da sconforto per impotenza e da passiva rassegnazione. Ma l’autore evita che questo accada lanciando qua e la’ messaggi positivi molto forti, a partire dall’analisi del suo stesso atteggiamento, modificatosi mano a mano che veniva a conoscere la verità che per 9 anni aveva ignorato e che, una volta appresa, lo ha trasformato da funzionario ben inserito nel sistema, e in quanto tale nominato Relatore speciale nel 2016, a dissidente interno al sistema proprio grazie all’indagine condotta sul caso Assange. Non tornerà indietro neanche di fronte ai rischi e al palese disprezzo delle istituzioni che lo trattano da nemico e calpestano il suo ruolo di relatore dell’ONU senza alcun riguardo.
Melzer si rende conto, e giustamente se ne compiace, che l’aver reso pubblici i suoi comunicati senza filtri diplomatici, seppur non ha toccato le istituzioni, è riuscito a far crescere consapevolezza perché ‘’il buon seme della verità – come lui lo definisce – ha cominciato a diffondersi’’. E’ convinto che questo servirà a far capire che il caso Assange ci riguarda tutti perché tutti, in quanto cittadini di Stati democratici, abbiamo diritto a conoscere e quindi a difendere l’informazione vera, quella che la stampa mainstream, prona verso i potenti fino all’autocensura non è più in grado di offrire all’opinione pubblica.
Nils Melzer ripete più volte che lui non è l’avvocato di Assange, ma che ha svolto il suo ruolo di Relatore speciale dell’ONU a servizio della verità, dell’umanità, dello Stato di Diritto e invita tutti a non lasciarsi distrarre dalle accuse, peraltro strumentali, sull’uomo Assange, ma a puntare i riflettori sui suoi persecutori, perché “Assange non è oggetto di persecuzione per i suoi crimini ma per i crimini dei potenti. La loro impunità è il vero oggetto del processo di Assange’’.
Se i media credono nello Stato di diritto non possono accettare che svelare i crimini diventi esso stesso un crimine e quindi devono schierarsi con coraggio a difesa della libertà di stampa, svegliare l’opinione pubblica e chiedere con determinazione la fine della persecuzione di Julian Assange. Non per motivi umanitari, sicuramente nobili, ma per un interesse della società poiché, conclude l’autore ‘’nel momento in cui la verità sarà diventata un crimine, vivremo tutti nella tirannia’’.
In conclusione, dopo aver letto ‘’Il processo a Julian Assange’’ non si può più confondere il segreto d’ufficio su fatti criminosi con la riservatezza perché la seconda tutela le fonti, mentre il primo tutela i criminali e viola il diritto dei cittadini a conoscere, privandoli in tal modo di quella conoscenza capace di risvegliare dal sonno della ragione voluto dai potenti.