La pandemia ha erudito milioni di persone sui processi di debilitazione della sanità pubblica già in atto da oltre vent’anni, ma mentre si discuteva per strada, nei bar e sui social, i poteri, che avevano già consapevolmente favorito la diffusione del virus, vedi Lombardia, oltre agli immensi guadagni delle multinazionali del farmaco, ben supportate dai governi, hanno facilmente accellerato i processi di privatizzazione portando le loro strutture private ad un alto livello di concorrenza vincente contro un Servizio pubblico portato allo stremo dalle politiche di tagli d’organico medico e infermieristico e costante definanziamento da parte di tutti i governi bipartisan.
Pensate che siano soddisfatti? Macché, ingordi come sono e consci di non avere più avversari nelle sedi istituzionali nazionali e regionali, anzi, di avere sinergie affaristiche in quelle sedi, ora puntano sull’edilizia speculativa anche sul terreno sanitario con la progettazione di nuovi ospedali, dopo che gli ospedali pubblici sono stati mal governati dal punto di vista manutentivo e di posti letto. Saranno mega strutture formalmente pubbliche ma pronte ad essere gestite dalle comuni sinergie di fondazioni, banche e strutture private come Humanitas (si parla anche di finanziamenti INAIL) che concorreranno alla costruzione manipolata dai loro obbiettivi di profitto.
Forse è lo stesso destino previsto per le case di comunità, dico forse perchè i territori negli ultimi vent’anni sono stati già invasi da strutture residenziali e poliambulatoriali che hanno sostituito quelle pubbliche abbandonate dalle Giunte regionali, al nord come al centro Italia, Vedi Emilia e Romagna. Al sud è stato molto più facile essendo queste strutture poche è malridotte dall’ignavia delle Giunte.
L’influenza determinante della finanza speculativa è strettamente connessa alla privatizzazione dell’uso della cosa pubblica e si basa sulla trasformazione in enti privati dei beni comuni, della sanità come dell’acqua pubblica, tanto per fare due esempi vitali per la vita dei cittadini.
La proliferazione del business finanziario nel settore dell’edilizia pubblica e privata è attuata con marchingegni criminogeni atti ad alterare, ora anche per la sanità, la stessa economia di mercato (distorsione di domanda-offerta e della relazione committente-fornitore, assegnazione di una innaturale e preminente funzione al sistema finanziario e all’Agenzia delle Entrate) allo scopo di trasferire surrettiziamente risorse finanziarie pubbliche alle banche (in pratica, si tratta di prodotti finanziari ad elevato rendimento e a basso rischio per l’acquirente del credito, garantiti dallo Stato e spacciati per ciò che non sono: sostegno dell’economia reale).
Il riparto, in sede nazionale, delle risorse riferite all’ex articolo 20 per l’edilizia sanitaria ha visto assegnare al Piemonte la cifra di 120 milioni di euro, utili a chi, degli amministratori pubblici, pensa solo al privato con la finanza di progetto e i fondi INAIL e prepara solo nuovi problemi per per i cittadini e loro loro esigenze di salute, mentre avanzano i disagi: – aumentano velocemente le già chilometriche liste d’attesa che si sono aggiunte a quelle storiche pre covid,
– ambulatori e centri analisi privati diffusi a macchia d’olio,
– Pronto Soccorso che esplodono, – reparti senza medici dipendenti, – gettonisti costosissimi per tappare le falle,
– abbandono dei professionisti pubblici a causa dei ritmi di lavoro e stress,
– interi reparti ospedalieri messi a gara per il privato,
– Non Autosufficienti costretti a pagarsi la continuità di cura,
– cure territoriali senza prospettive.
Di certo c’è che anche il prestito INAIL non copre neanche il costo delle attrezzature e che è comunque legato ad un affitto da corrispondere all’ente per 20 anni una volta che il nosocomio sarà in piedi. Insomma l’Inail non essendo un ente di beneficenza vorrà rientrare dell’investimento e i bilanci delle ASL si troveranno sempre più in difficoltà a pagare il canone per molti anni.
Nel mentre si spendono milioni di euro in progetti, studi, conferenze.
Per fare un esempio di quale prospettiva viene incontro ai cittadini, nel gennaio 2016 l’allora Assessore alle politiche sanitarie Antonio Saitta e il Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino annunciarono la nuova strategia per costruire la nuova cittadella della salute a Torino dichiarando, senza giri di parole, che in ogni caso sarà il privato ad avere un ruolo fondamentale con il project financing per reperire ingenti risorse. A prescindere diciamo noi.
Il 18/1/2023 il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato una delibera che prevede la realizzazione di sei nuovi ospedali: Maria Vittoria di Torino, Ivrea, Vercelli, Savigliano, Ss. Antonio e Biagio di Alessandria, Santa Croce e Carle di Cuneo, e Asl5 di Moncalieri, Chieri e Carmagnola che è strombazzato da anni senza venirne a capo, neanche sull’area.
Per tutti si ipotizza la realizzazione attraverso finanziamenti Inail che ammontano complessivamente a 1,28 miliardi. Resta a carico della Regione il progetto, l’acquisizione delle aree e gli arredi interni. Solo per la progettazione si stimano costi del 10% dell’intero piano, però nel capitolo Piemonte del PNRR ci sono solo dieci milioni di euro per ristrutturazione e innovazione tecnologica. Domanda chi finanzierà i nuovi favolosi ospedali? Risposta ovvia!
Ora a proposito del nuovo ospedale Maria Vittoria nel parco della Pellerina se ne parla da trent’anni con ingenti risorse spese in progetti, nel mentre l’ospedale è stato soggetto da 20 anni a permanente ristrutturazione di interi reparti e della stesso Pronto Soccorso: tanti milioni spesi inutilmente? Inoltre, a detta dell’Assessore alla salute Icardi, si spenderanno milioni di euro per l’innovazione dell’attuale Maria Vittoria, per poi abbatterlo?
L’ospedale Maria Vittoria, e l’ospedale Amedeo di Savoia con il suo parco, (già Centro regionale per le malattie infettive ed eccellenza nazionale, svuotato dalle giunte precedenti) rappresentano il caso più evidente di quale progetto speculativo è in atto – anche con l’occhio interessato delle immobiliari – per abbandonare strutture sempre funzionali e migliorabili con minime spese di ammodernamento e recupero di personale e specialità. Lo stesso percorso stanno seguendo con la Città della Salute che da 10 anni è ancora lettera morta.
Intanto la sanità privata è sempre più invadente nell’occupare gli spazi lasciati dal servizio pubblico, con migliaia di dipendenti ridotti al silenzio della disperazione. In questa situazione lasciata marcire con indifferenza dei contri decisori, abbiamo i centri convenzionati che limitano il ricorso alla convenzione e quindi al pagamento del solo ticket non rispondendo alla chiamata dell’utente o rispondendo che c’è una lista d’attesa e quindi propongono la visita privata.
Questo del Piemonte è un esempio di quanto sta succedendo in altre Regioni, a fronte dello svuotamento di personale (vedi il continuo e programmato deperimento delle strutture pubbliche fuga dei medici e di infermieri verso il privato o scelte cooperative) a sostegno del completamento strutturale, iniziato progressivamente – senza soluzione di continuità – dalla metà degli anni 80, della totale gestione privatistica della salute pubblica.
Poco o niente interessa, ovviamente, ai decisori politici che quella privata/convenzionata è una gestione senza politiche di prevenzione in quanto ostacolo dell’inappriopiatezza di diagnosi, esami e ricoveri funzionali al continuo e discrezionale aumento dei costi di profitto a carico dei cittadini.
Ora, visto il sacro fuoco edilizio, qualcuno potrebbe chiedere: allora quali sono le condizioni sociali, politiche e di sane scelte per nuovi ospedali? Sono quelle condizioni che oggi non si presentano agli occhi di chi non si lascia indurre a ragionamenti preconfezionati da una narrazione che non contempla la critica ma solo l’emotività del cittadino e il tifo di chi è, in vari ambiti, interessato alle grandi opere a prescindere dal bisogno reale.
Di ospedali interamenti pubblici se ne potrebbe parlare con una programmazione solo pubblica con lo Stato che si riprende la titolarità della sanità ripristinando il Titolo V originale; abolisce la convenzionata come concorrente; amplia gli organici almeno sugli standard europei; ripristina la Legge 833 del 1978; Tanto per iniziare!
Invece oggi si è presa un’altra strada con la secessione, eufemistacamente definita “Autonomia Differenziata”, è la fine dell’uguaglianza dei diritti dettati dalla Costituzione. Che senso ha oggi parlare di nuovi ospedali quando non hai più personale? Che senso ha se la“clientela”, nella logica aberrante dell’aziendalismo, si è drasticamente ridotta ed è stata costretta a rivolgersi alla concorrenza, perlopiù finanziata da fiumi di denaro pubblico da parte del governo e delle Giunte? Che senso ha costruire nuovi ospedali quando chi lavora nel settore pubblico e nel privato ha la scappatoia della “sanità integrativa” e quindi si può rivolgere alla sanità privata?
PS.
C’è un’aspetto fondamentale e preoccupante che affronteremo nei prossimi numeri di Lavoro e Salute. Riguarda la capacità mistificatoria dei Partiti del mattone, ben sostenuta dalla grossa stampa nelle mani della politica dominante, nel nascondere le vere intenzioni affaristiche dando in pasto ai cittadini temi di distrazione sui quali nascono contingenti piccoli movimenti locali di giusta difesa di un bene pubblico, vedi un pezzo di parco pubblico, ma capaci solo di guardare il dito (reso appositamente visibile) ma non la luna, resa sempre più buia dalle scie affaristiche. Oltre al danno della privatizzazione, anche la beffa di pagare nuove costosissime strutture, ovviamente con preventivi che lieviteranno nel tempo, per poi pagare l’affitto o darle direttamente in gestione al privato, che continuerà a fare la bella figura di salvatore della salute pubblica.
Franco Cilenti
Direttore del mensile LavoroeSalute