Nessuno sapeva quante persone ci sarebbero state in piazza Duomo ieri. Le ragioni per essere in tanti erano moltissime, le ragioni per essere in pochi altrettante.
Dopo le elezioni regionali eravamo come franati su un fianco della montagna, caduti dal sentiero. Bisognava rialzarsi, togliersi terra e polvere dal corpo, risalire la china. Come nel gioco che si faceva un tempo: “Non ti arrabbiare”: tornati alla casella iniziale, non potevamo essere solo arrabbiati (anche se un po’ di rabbia…).
Con queste premesse, possiamo dire che ieri è andata alla grande. Come ha detto Medicina Democratica forse eravamo davvero quasi 5.000. In molti, prima, ci si era detti: “Spero di non vederti, (da tanti che saremo)!” E così è stato, abbiamo incontrato solo alcuni dei tanti amici e amiche presenti.
Anche dal programma, tre ore potevano apparire troppe; invece sono filate via come l’olio e il sole ha aiutato a darci energie.
Moltissimi gli interventi: era come un enorme quadro che veniva dipinto collettivamente, chi saliva sul palco aggiungeva pennellate per descrivere, rappresentare, condividere quello che era ed è il nostro sistema sanitario. Racconti dalla parte di chi vi lavora, come di chi ne ha bisogno. Confronti col resto del mondo, dove in buona parte senza soldi non ti curi. Messaggi di solidarietà e condivisione dall’estero. Sanità ed educazione: due pilastri della nostra democrazia, se crollano quelli, tirano giù tutto il resto.
La strada è lunga, bisognerà trovare le tante tappe intermedie che colleghino le iniziative che partono domani (stabilire regolarmente la “maglia nera” della struttura ospedaliera dove la lista d’attesa è più lunga), con l’obiettivo di essere un giorno in 250mila, come a Madrid.
Dovremo trovare le nostre strade, possibilmente nuove, creative, coinvolgenti, capaci di comunicare ed entusiasmare. Forse vale la pena ritrovarsi presto per costruire insieme una lotta che sarà lunga e dura, ma dalla frana siamo uscit@.
Un grazie enorme a chi ha lavorato alla preparazione della manifestazione di ieri.
Foto di Andrea Mancuso