Fridays For Future, anche quest’anno in piazza a Palermo il 3 marzo, ha lanciato Il suo messaggio contro l’inesistente attenzione verso il disastro climatico, con il dito puntato sull’incremento delle devastazioni ecologiche, causate tra l’altro da opere inutili, ma efficientissime e preziose secondo l’attuale governo.
Il messaggio è sempre lo stesso: sciopero globale per il clima.
Qualcosa però stavolta è cambiata: non solo per lo scarso numero dei partecipanti, ma perché mancavano tante scuole, che pure avevano sfilato solo una settimana prima, al corteo del 24 febbraio nell’anniversario del conflitto Russia – Ucraina, gridando contro la guerra e per la pace in maniera festosa, tenendosi per mano e colorando le strade con il loro festoso passaggio.
Inoltre, due diversi cortei hanno sfilato per le vie del centro: il primo avanti con un proprio grande striscione, La Sicilia è la nostra terra, difendiamola, coordinato dal gruppo di studenti dell’associazione Malaspina; un metro più in là, un altro raggruppamento di varie scuole superiori con vistose scritte sui cartelli per la transizione ecologica e il rispetto verso la natura, con rappresentanti del coordinamento studentesco legati al centro sociale Anomalia. Si sono incontrati nella stessa Piazza Verdi, ma sono partiti separatamente.
Quello che strideva di più, però, era qualcosa che circolava nell’aria, qualcosa di nebuloso diffuso nel chiacchiericcio sommerso, nei piccoli e stentati sorrisi; slogan, sì, tanti, ma neanche una canzone.
Eppure appena qualche anno fa non era così: nella stessa Piazza Verdi, dove oggi si sono radunati i ragazzi e le ragazze di Fridays for Future palermitani, in tantissimi avevano gridato allegri, muniti di grandi e piccoli colorati cartelli, talmente tanti che non si riusciva a leggerli tutti…
Quanta differenza oggi! Ma non basta fare il confronto tra quello che era e quello che è: occorre interrogarsi.
Cosa accade tra i ragazzi e le ragazze palermitane? La divisione manifestata nel corteo gridava palese: fuori il nemico! Come se ci fosse stato un avversario lì presente che spegneva ogni curioso giovanile ottimismo verso il futuro.
Certo i giovani hanno dato testimonianza della propria consapevolezza di fronte alle valanghe distruttive dell’avidità e dello sfruttamento irrispettoso della natura e dell’altro/a; un segnale verso chi dovrebbe dare esempio e invece non ascolta, è senza attenzione né umanità e pecca nella solidarietà. Resta, però il fatto, che erano pochi e divisi tra loro.
Come donne del Presidio per la pace, per gran parte insegnanti oltre tutto, abbiamo cercato qualche spiegazione. Il precedente corteo, quello del 24 febbraio, era stato approvato dall’Ufficio Scolastico Regionale e quindi i ragazzi erano stati coinvolti dai docenti in una attività didattica in certo qual modo “obbligatoria”; questo del 3 marzo, invece, è nato esclusivamente dalla loro iniziativa e dal loro protagonismo.
Da dove viene la rinuncia ad organizzare e/o partecipare? Dallo scoraggiamento e dalla rassegnazione di fronte alla cecità e alla sordità delle autorità costituite che imperterrite, ovunque nel mondo, continuano a devastare il pianeta, accelerandone anzi il degrado con lo scempio delle guerre e la minaccia nucleare. Dall’incertezza, o meglio dall’oscurità del futuro e dall’assenza di prospettive dei giovani meridionali, che già per studiare, prima ancora che per lavoro, sono costretti ad emigrare. Dalla sfiducia nel ceto politico internazionale e, più ancora, nazionale che non li rappresenta e li relega in un astensionismo impotente. Da un sistema che dis-educa, promuovendo la in-civiltà dell’individualismo e della competizione sfrenata. Dal solipsismo, camuffato da vasta e immediata comunicazione, dei contatti sui social networks; dalla confusione tra reale e virtuale e dalla semplificazione di ogni quesito, anche esistenziale, su chat come CTP. Dalla difficoltà di dialogo fra generazioni, dal timore di noi adulti di innescare un conflitto nonviolento se avviamo un confronto sui valori. Da una scuola obsoleta nei contenuti, ma soprattutto nei metodi e nelle pratiche verticistiche istituzionalizzate, nonostante la scelta di una pedagogia libertaria di tanti e tante. Dal sentimento di esclusione dei ragazzi delle periferie, così difficili da raggiungere e da coinvolgere. Tutto questo ci siamo dette e la proposta che da anni ci ripetiamo: bisogna andare nei quartieri, suona vuota e inconsistente se non si fa esperienza quotidianamente convissuta.
I nostri sono solo i primi passi di un dibattito che vorremmo aperto, anche attraverso questo canale, con la possibilità di inviarci le vostre email.