Si è tenuto il 18 marzo, l’atteso incontro di alto livello tra il capo dell’autogoverno kosovaro, Albin Kurti e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, nell’ambito del processo di dialogo mediato dall’Unione Europea, alla presenza dell’alto rappresentante per la politica estera dell’UE, Josep Borrell, e dell’inviato speciale per il dialogo tra Belgrado e Prishtina, Miroslav Lajčak. Anche in questo caso, come in precedenti occasioni, si è trattato di una vera e propria sessione negoziale, nell’ambito della quale Josep Borrell ha prima tenuto incontri separati tra le due delegazioni, quella serba e quella albanese-kosovara, e poi un incontro congiunto. Un evento diplomatico, quest’ultimo, caricato da una certa aspettativa alla vigilia, dopo che le parti, nelle precedenti sessioni negoziali, erano arrivate, pur senza firmare né sottoscrivere alcun documento, a condividere, in termini generali e in linea di principio, il testo della «Proposta di accordo dell’Unione Europea nel percorso di normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo». Si tratta di un documento che fa propri e supera alcuni contenuti della precedente base di discussione, la cosiddetta «proposta franco-tedesca», e che non ha mancato di suscitare reazioni.
Un documento che, peraltro, in modo piuttosto irrituale e discutibile, è stato subito pubblicato, in evidenza, sul sito del Servizio di Azione Esterna dell’Unione Europea, il sito istituzionale della diplomazia comunitaria, pur trattandosi solo di una base di discussione, quindi non un testo “ufficializzato” dalle sottoscrizioni o dalle firme delle parti, Belgrado e Prishtina, impegnate nel dialogo. Il documento, base di partenza dell’ultima sessione di dialogo, non è privo di punti controversi. L’art. 1 prevede, ad esempio, che «entrambe le Parti riconoscono reciprocamente i rispettivi documenti e simboli nazionali, inclusi passaporti, diplomi, targhe e timbri doganali», mentre il successivo art. 4 sottolinea che «le Parti procedono sul presupposto che nessuna delle due possa rappresentare l’altra in ambito internazionale o agire per suo conto. La Serbia non si opporrà all’adesione del Kosovo a qualsivoglia organizzazione internazionale», anche, di conseguenza, per il Kosovo, alle Nazioni Unite.
Una soluzione, come si vede da questo “combinato disposto”, che, pur non spingendosi fino al riconoscimento formale della indipendenza e della statualità del Kosovo, inaccettabile per Belgrado, prospetta una sorta di «riconoscimento di fatto». Non meno problematico è, d’altra parte, l’art. 7, che non menziona l’istituzione della Comunità dei Comuni serbi del Kosovo, sebbene sia già stata pattuita in precedenti accordi firmati da entrambe le parti, ma si limita ad una più generica prescrizione, in base alla quale «le parti si impegnano a stabilire disposizioni e garanzie specifiche, in conformità con i pertinenti strumenti del Consiglio d’Europa e attingendo alle esperienze europee esistenti, per garantire un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo e la capacità di fornire servizi in aree specifiche, compresa la possibilità di un sostegno finanziario da parte della Serbia e un canale di comunicazione diretto per la comunità serba con il governo del Kosovo».
Alla fine, nell’incontro del 18 marzo, dopo una vera e propria maratona di dodici ore, è stato lo stesso Josep Borrell ad annunciare il conseguimento di un’intesa: non un accordo complessivo, ma un’intesa su alcuni specifici punti, a partire proprio dai contenuti del su richiamato art. 7, quello che dovrebbe configurare, appunto, la Comunità dei Comuni serbi del Kosovo. Nelle parole di Borrell, «per quanto riguarda l’implementazione dell’art. 7, il Kosovo ha acconsentito ad avviare immediatamente negoziati, nell’ambito del dialogo facilitato dall’Unione Europea, per stabilire disposizioni e garanzie specifiche per assicurare un adeguato livello di autogestione per la Comunità serba in Kosovo. Le parti hanno inoltre convenuto di approvare con urgenza la Dichiarazione sulle persone scomparse, negoziata nell’ambito del dialogo facilitato dalla UE». Sebbene, come ha ricordato ancora Borrell in conferenza stampa, fosse stata presentata, all’inizio, una proposta più ambiziosa e dettagliata relativamente alla definizione dell’allegato dell’accordo contenente le misure specifiche di implementazione, non è stato possibile raggiungere un accordo su tale proposta. Come è stato osservato, dunque, un accordo ancora in itinere, da definire in dettaglio, o, non senza ironia, un «accordo per confermare il disaccordo».
Anche l’allegato, inerente alle misure di implementazione, è stato, del resto, pubblicato sul sito istituzionale del Servizio di Azione Esterna dell’Unione Europea: in esso si puntualizza che l’accordo e, appunto, l’allegato formeranno parte integrante dei processi di adesione all’UE della Serbia e del Kosovo, per cui, una volta adottati, saranno avviati il processo di modifica dei parametri di riferimento del capitolo 35 del negoziato di adesione per la Serbia e il processo di revisione dell’agenda del Gruppo Speciale sulla Normalizzazione per il Kosovo, al fine di riflettere i nuovi obblighi derivanti dall’accordo e dall’allegato. Specifica che le disposizioni e le garanzie atte ad assicurare un adeguato livello di autogestione per la Comunità serba in Kosovo siano in conformità con i precedenti accordi di dialogo. Avverte esplicitamente che il mancato rispetto degli obblighi derivanti dall’accordo, dall’allegato e dai precedenti accordi di dialogo potrà avere conseguenze negative dirette sui rispettivi processi di adesione all’UE e sul sostegno finanziario da parte dell’Unione Europea.
Significative, da questo punto di vista, le dichiarazioni dei protagonisti della “maratona” negoziale. Se, per Albin Kurti, si è trattato di un «riconoscimento de-facto tra Kosovo e Serbia», Aleksandar Vučić ha, da parte sua, confermato che nulla è stato firmato o sottoscritto, «non è stato un D-day. Credo che Prishtina implementerà la formazione della Comunità dei Serbi del Kosovo, prevista come urgente…, ma non sono ottimista».