Fulvio Vassallo Paleologo, redattore tra l’altro di Pressenza.com, già docente di Diritto Costituzionale presso l’Università di Palermo, fondatore dell’Associazione Diritti e Frontiere (ADIF) e da sempre impegnato nella tutela dei migranti, ha di recente curato con Giovanna Procacci e Domenico Rizzuti il volume, edito da Castelvecchi, “Processo alla solidarietà. La giustizia e il caso Riace”. Esso risulta particolarmente pregnante nei giorni della strage di Stato di Cutro
Sta per concludersi l’appello del processo a Mimmo Lucano, già condannato in prima istanza ad una pena doppia rispetto a quella chiesta dalla Procura. Il vostro libro propone un’indagine accurata delle motivazioni della sentenza (904 pagine) e ne suggerisce diverse interpretazioni. Qual è la tua tesi e che scopo vi siete proposti nell’affrontare questo lavoro?
La materia dell’accoglienza dei migranti e richiedenti asilo, come quella dei soccorsi in mare, è stata da sempre caratterizzata per la propensione ad un uso ampio dello strumento penale come metodo di governo dei fenomeni, con una progressiva criminalizzazione delle persone, che a terra o in mare, operavano su progetti solidali e prestavano assistenza umanitaria, entrando in collisione con quella politica che chiudeva tutte le vie di ingresso e, anche attraverso la lotta contro i progetti di accoglienza inclusiva come quelli sperimentati a Riace, trasformava persone già legalmente soggiornanti nel territorio in immigrati irregolari, da allontanare, o da sfruttare nei settori più violenti ed oscuri del mercato del lavoro.
È lecito, secondo te, parlare di “processo politico” e di “delitto d’autore” per questo caso? Lucano è stato colpito non tanto per i reati ascrittigli, del resto non adeguatamente provati, quanto per il valore simbolico del suo operato? E che cosa intendi quando utilizzi la definizione di Alessandro Del Lago di “sentenza performativa”?
Io parlo di un processo politico perché il nucleo delle accuse rivolte dai giudici a Mimmo Lucano rimane sul terreno delle motivazioni politiche, perché pure gli organi inquirenti e le procure escludono che Mimmo Lucano si sia arricchito attraverso la sua attività di sindaco e di ideatore del modello Riace. Se è un processo politico non si deve ad una mia definizione, ma alle argomentazioni usate dai giudici per condannare Lucano. Nella sentenza di condanna adottata dal Tribunale di Locri si è rimasti sul terreno delle deduzioni senza arrivare alla prova completa dei fatti. Sono state inflitte condanne gravissime, superiori persino a quelle inflitte per gravi fatti di sangue. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad un procedimento penale che, già per l’entità delle pene richieste anche in appello, vorrebbe assolvere anche ad una funzione pedagogica, che sembra distante dai principi costituzionali del giusto processo e della responsabilità penale individuale.
L’associazione a delinquere, in particolare, sembra “provata” solo in via meramente presuntiva, in quanto “i reati commessi a Riace richiedono una sinergia che non poteva non derivare da una continuativa e metodica attività messa in atto” da soggetti che la Procura generale designa come “totalmente immersi in questa attività truffaldina”. I toni sono appena più attenuati rispetto al linguaggio demolitorio della persona dell’ex sindaco di Riace, adottati dal Tribunale di Locri, ma la sostanza non cambia. Il vincolo associativo sembra ricavato in base ad indici presuntivi dalla ricostruzione che si offre della personalità di Mimmo Lucano, piuttosto che dalla individuazione di un comune disegno criminoso e da conseguenti comportamenti dei singoli imputati. Sotto questo profilo la sentenza di Locri e le richieste dell’accusa in Appello a Reggio Calabria si distaccano da una ricostruzione obiettiva della realtà ma utilizzano una massa di intercettazioni, estrapolando brani parziali di conversazioni telefoniche, per proporre una realtà assai diversa da quella che viene confermata ancora oggi, con la partecipazione di tanti cittadini solidali al riavvio dei progetti di accoglienza diffusa e con l’impegno degli autori e dei contributi in questo libro, tutti di testimoni oculari che hanno visitato ed operato a Riace nel corso degli anni. In questo modo si vuole evitare che un’altra sentenza assolva ad una “funzione performativa”, andando ben oltre la valutazione dei fatti, ma producendo essa stessa i fatti, frutto di valutazioni dei giudici, che poi rimangono fissati nella comunicazione e nella coscienza collettiva.
Tu sostieni che l’anno spartiacque nella vicenda Riace è stato il 2017, quando l’accoglienza, prima incoraggiata dalle autorità pubbliche, si è capovolta in un modello sociale di esclusione. Vuoi spiegarci perché?
Quando altri enti locali rifiutavano qualunque impegno solidaristico e le regole imposte da Roma, soprattutto a partire dal 2017, con Minniti al Ministero dell’Interno, portavano a una diversa qualificazione e rendicontazione dei sistemi di accoglienza già noti e sperimentati sui quali, nel corso degli anni, si era costruito il cosiddetto modello Riace, molti enti locali sono stati messi in difficoltà dalle norme di contabilità imposte dal ministero, ed hanno rinunciato ai progetti di accoglienza, che invece Mimmo Lucano ha voluto proseguire finché ha potuto. Migliaia di persone sono finite, e sono tuttora, abbandonate per strada. Rimane in piedi il sistema dei centri di accoglienza straordinaria (CAS) gestito dalle Prefetture in convenzione con soggetti privati che non riescono a garantire percorsi di inclusione sociale e di emancipazione.
È per lo meno curioso che gli episodi di corruzione accertati al CAR di Mineo siano stati puniti con condanne neppure lontanamente paragonabili a quella inflitta a Lucano. È possibile che le sue iniziative abbiamo disturbato gli affari delle ‘ndrine nella Locride? Penso alle facilitazioni per l’accesso alla casa, al frantoio comunale e all’acqua pubblica, ma in generale a tutto il sistema Riace…
A Riace i giudici hanno contestato l’impiego per fini sociali (casa, lavoro, istruzione) delle somme che venivano risparmiate nella gestione dei progetti di accoglienza; a Mineo si sono comminate pene insignificanti per l’appropriazione indebita di milioni di euro e per carriere politiche e amministrative costruite sulla malagestione del centro. Non è possibile ignorare poi la situazione di illegalità diffusa che caratterizza la Locride e la piana di Rosarno da anni, nella quale le prime vittime sono i migranti abbandonati sul territorio da un sistema di accoglienza che non ha saputo garantire alcuna inclusione sociale nella legalità. Una situazione che ancora oggi rischia di diventare esplosiva, a fronte dell’aumento degli sbarchi sulle coste ioniche della Calabria di profughi in fuga dalle persecuzioni che li affliggono in tanti paesi, come l’Afghanistan, la Siria, l’Iraq e dell’abbattimento del sistema di accoglienza frutto dei decreti sicurezza voluti da Salvini nel 2018 e nel 2019. Non sembra, sotto questo profilo, che lo smantellamento dei modelli di accoglienza diffusa sia recuperato dal Decreto immigrazione e sicurezza n.130 del dicembre 2020, tuttora vigente. La situazione dell’accoglienza in Calabria è caratterizzata da grossi centri che da tempo denotano aree di opacità sulle quali la magistratura dovrebbe indagare a fondo, mentre il sistema di accoglienza diffusa di Riace sta ripartendo con il contributo di tanti cittadini solidali, quali che siano gli esiti del processo penale.
Infine, che futuro prevedi per i migranti nel nostro Paese?
Comunque prosegua il processo Xenia occorre impegnarsi perché il modello di accoglienza basato sull’inclusione sociale possa ripartire, e già i primi segni di un nuovo corso si stanno vedendo in questi giorni anche a Riace. Sono i fatti che devono parlare. Gli immigrati non sono le vittime di chi li assiste o presta loro solidarietà, come vorrebbero far credere i giudici di Locri, ma attori consapevoli, abbandonati o emarginati dal sistema pubblico di accoglienza ormai ridotto ad un simulacro di buone intenzioni, che li mantiene in strutture che negano i diritti fondamentali della persona, come continua a verificarsi anche in Calabria. Quelli che vengono genericamente definiti come “ospiti” sono persone attive, in carne ed ossa, capaci di distinguere chi si schiera davvero al loro fianco, sempre e comunque, e chi invece utilizza le parole dell’odio e la sistematica disinformazione per escluderli, oppure ricorre ad un linguaggio ipocrita per legittimare politiche e prassi che bloccano il loro arrivo ed il loro inserimento sociale, con lo scardinamento, prolungato nel tempo, dei sistemi di accoglienza diffusa. Il protagonismo che si restituiva agli immigrati accolti nel sistema Riace, deve essere un modello per restituire protagonismo e dignità a tutte le comunità migranti residenti nel nostro paese.