Gli ultimi 17 arresti in Tunisia di esponenti di partiti di opposizione, artisti, e del direttore di una radio sono la quadratura del cerchio della svolta autoritaria in corso da mesi del presidente Kais Saied. Rischiano la pena di morte con l’accusa di cospirazione: le prove sono intercettazioni telefoniche, interviste rilasciate ad organi di informazione. Nel mirino anche i magistrati, richiamati ad applicare severamente il giro di vite, pena l’accusa di complicità.
La svolta autocratica è partita a febbraio, dopo il flop delle elezioni per eleggere il Parlamento di fine gennaio, quando a votare si è presentato meno del 12% degli elettori. Questo ha offerto la possibilità a Saied di prolungare lo stato di emergenza nella nazione, tagliare la spesa pubblica e i sussidi per il contenimento del costo di pane e carburante. Una mazzata per la popolazione. Scontato l’arresto di giornalisti per intimidire ciò che resta dell’informazione indipendente. Per tutti coloro finiti in manette l’accusa è sempre uguale, ovvero cospirazione contro lo Stato.
A seguire l’accelerazione sovranista in chiave locale: la Tunisia ai tunisini, parola d’ordine di facile applicazione quando si mira a riversare sui più disperati le mancanze di malgoverno. La polizia ha varato così la caccia ai migranti dell’Africa occidentale, tra cui donne e bambini, accusati di essere la causa di crimini e violenza nel paese. Sarebbero almeno 21 mila i cittadini provenienti dall’Africa subsahariana, la maggior parte considerati “irregolari”. E sicuramente in Tunisia la discriminazione razziale tra la popolazione locale è molto diffusa, tanto da offrire l’occasione all’autocrate Kais Saied di cavalcare la tigre della discriminazione per scaricare i propri fallimenti sui meno tutelati, i disperati in cerca di futuro.
Questa situazione rischia di destabilizzare tutta l’Africa settentrionale e preoccupa anche l’Italia. Perché gli sbarchi di migranti dalla Tunisia sono ripresi: e anche il nostro governo trema.