Il governo italiano e la sua agenzia di credito all’esportazione SACE si rimangiano gli impegni presi alla COP26 di Glasgow: continueranno a finanziare progetti di carbone, petrolio e gas all’estero almeno fino al 2028. Le politiche di implementazione dell’Italia
A novembre 2021, in occasione della Conferenza sul clima di Glasgow, 34 paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche hanno firmato un impegno congiunto (“Dichiarazione di Glasgow”) per porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili entro il 31 dicembre 2022. L’Italia, che condivideva con il Regno Unito la presidenza della COP26, aderì solo all’ultimo minuto alla Dichiarazione di Glasgow.
Per quanto la Dichiarazione di Glasgow possa considerarsi un passaggio chiave nella lotta alla crisi climatica, si tratta pur sempre di un impegno volontario e su base nazionale, comprese le sue politiche di implementazione. Sette tra i principali paesi sostenitori dell’industria fossile attraverso soldi pubblici hanno adottato politiche che rispettano ampiamente la promessa fatta a Glasgow: Regno Unito, Francia, Canada, Finlandia, Svezia, Danimarca e Nuova Zelanda. Altri, come Paesi Bassi, Spagna e Belgio, hanno implementato la Dichiarazione con politiche deboli, che lasciano ampi margini di supporto finanziario ai settori del petrolio e del gas.
Come ReCommon denunciava già a novembre 2021, l’iniziativa era lungi dall’essere perfetta, con una serie di scappatoie che avrebbero fatto gola al Sistema-Italia, che si basa sul triangolo finanza privata-industria fossile-finanza pubblica. Così è puntualmente avvenuto.
La seconda vittima della policy italiana è, ovviamente, il clima, a partire da quanto concerne il gas fossile. Innanzitutto è definito combustibile di transizione, strategico per la sicurezza energetica italiana. In seconda battuta, i progetti per esplorazione e produzione di gas potranno essere finanziati fino a gennaio 2026, e le deroghe presenti potrebbero posticipare la data ultima ancora più avanti. Per i progetti di trasporto e stoccaggio, invece, la data ultima non è proprio menzionata perché deve essere “ancora definita”. Una formula che sembra voler dire “per sempre”.
Per rendersi conto di quanto il mantra della sicurezza energetica sia vuoto, si può riportare un esempio: con questa policy, alcuni progetti potrebbero richiedere il supporto finanziario di SACE addirittura nel 2025. Le multinazionali proponenti, con il supporto di quelle costruttrici, potrebbero ultimarli nel 2030 e il gas prodotto arrivare in Italia dal 2031. Risulta difficile credere che otto anni sia un lasso di tempo emergenziale tanto da invocare la “sicurezza energetica”. Senza contare che solo una minima parte del gas prodotto arriverà in Italia, come dimostrato dal progetto Coral South FLNG di Eni: supportato finanziariamente da SACE, la prima nave gasiera proveniente dal progetto mozambicano è finita a Bilbao e non certo in Italia.
«Sembra evidente che, dietro il mantra della sicurezza energetica, gli interessi tutelati siano quelli delle multinazionali energetiche, degli istituti di credito e delle agenzie di credito all’esportazione come SACE», afferma Simone Ogno di ReCommon.
Il più delle volte, le multinazionali e, di conseguenza, SACE, si inseriscono in contesti attraversati da forti instabilità socio-politiche, acuendole, oppure operano a stretto contatto con i governi che le alimentano. In entrambi i casi l’industria del petrolio e del gas ha un ruolo da protagonista, come nel caso della Federazione russa, del
«Se non bastasse la posizione sul gas, troviamo anche il beneplacito a tecnologie sperimentali e già fallimentari come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, per non parlare anche delle deroghe previste per le date ultime di finanziamento a progetti petroliferi», aggiunge Ogno. «