Mi sembra della massima importanza questa iniziativa avvita da organizzazioni di giovani, e condotta principalmente dai giovani, che il 29 marzo ha portato l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ad adottatare una risoluzione storica che chiede alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ acronimo internazionale) di emettere un parere consultivo (advisory Opinion) sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamento climatico.
L’entrata in campo dei giovani nell’ambito dell’ONU ‒ giovani di piccolo Stati, le isole del Pacifico, che sono in particolare pericolo a causa del cambiamento climatico ‒ è un fatto di grande rilievo, come lo è il fatto che siano i giovani ad attivare la Corte.
La risoluzione è partita da Pacific Island Students Fighting Climate Change, promossa globalmente da World’s Youth for Climate Justice, e introdotta all’Assemblea Generale da Vanuatu, Stato insulare dell’Oceano Pacifico composto da una quarantina di isole (ex isole Nuove Ebridi), 154.000 abitanti secondo una stima del 1992.
Il Sud globale (e giovanile) si muove! E dribbla i potenti, i loro interessi e le loro manovre!
L’iniziativa è stata ispirata dall’impatto dei precedenti casi della ICJ, in particolare l’influente parere consultivo della ICJ del 1996 sulla legalità della minaccia o dell’uso di armi nucleari.
La campagna per far sì che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite intraprendesse questa azione è stata avviata dai giovani ed è stata guidata principalmente dai giovani. La risoluzione sottolinea i diritti previsti dal diritto internazionale delle generazioni presenti e future. Le voci dei giovani nei lavori della ICJ saranno quindi molto importanti.
Il testo:
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite:
decide, conformemente all’articolo 96 della Carta delle Nazioni Unite, di chiedere alla Corte internazionale di giustizia, ai sensi dell’articolo 65 dello statuto della Corte, un parere consultivo sulla seguente questione:
“visti in particolare la Carta delle Nazioni Unite, i Patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l’Accordo di Parigi, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, il dovere di diligenza, i diritti riconosciuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il principio di prevenzione dei danni significativi all’ambiente e il dovere di proteggere e preservare l’ambiente marino,
(1) Quali sono gli obblighi degli Stati ai sensi del diritto internazionale per garantire la protezione del sistema climatico e di altre parti dell’ambiente dalle emissioni antropogeniche di gas a effetto serra per gli Stati e per le generazioni presenti e future;
(2) Quali sono le conseguenze giuridiche derivanti da tali obblighi per gli Stati iquali, con i loro atti e le loro omissioni, hanno causato danni significativi al sistema climatico e ad altre parti dell’ambiente, per quanto riguarda:
a) Gli Stati, in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo, che a causa della loro situazione geografica e del loro livello di sviluppo, sono danneggiati o particolarmente colpiti o sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico?
(b) Popoli e individui delle generazioni presenti e future colpiti dagli effetti negativi del cambiamento climatico?”
Le motivazioni specifiche sono estremamente chiare:
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I governi stanno fallendo nei loro sforzi per ridurre le emissioni di carbonio in modo sufficiente per prevenire conseguenze climatiche catastrofiche.
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Gli interessi acquisiti nelle economie dei combustibili fossili hanno troppo potere a livello nazionale e nei negoziati internazionali sul clima.
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I paesi in via di sviluppo e le comunità più povere sono colpiti in modo sproporzionato da una crisi causata principalmente dai paesi sviluppati e più ricchi.
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I pochi governi che agiscono per raggiungere lo zero netto si trovano in una posizione di svantaggio competitivo rispetto a quelli che non intraprendono tale azione.
È nelle competenze della ICJ affermare obblighi giuridici che si applicano universalmente: essa può livellare il campo di gioco per garantire una transizione equa verso un’economia globale senza combustibili fossili.
Nel 2021, Vanuatu ha annunciato la sua intenzione di chiedere un parere consultivo della ICJ. Vanuatu ha costituito un gruppo di 18 paesi, tra cui Angola, Antigua e Barbuda, Bangladesh, Costa Rica, Germania, Liechtenstein, Stati federati di Micronesia, Marocco, Mozambico, Nuova Zelanda, Portogallo, Romania, Samoa, Sierra Leone, Singapore, Uganda e Vietnam. Al momento dell’intervento dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ieri (29 marzo), il gruppo centrale interregionale si è assicurato più di 130 Stati come cosponsori della risoluzione. La risoluzione è stata poi adottata senza voti contrari.