Dopo l’incidente ferroviario di Tempe, le proteste infiammano la Grecia. Al dolore per i morti si unisce la rabbia contro una classe politica che ha privatizzato il Paese.
“Chiamami quando arrivi”. Questa frase – le parole che ogni genitore rivolge al figlio che si sta per mettere in viaggio – è diventata una di quelle più presenti sui cartelloni e sugli striscioni esposti nelle manifestazioni che da più di due settimane infiammano la Grecia. Le proteste fanno seguito all’incidente ferroviario avvenuto il 28 febbraio scorso nella località di Tempe, nei pressi di Larissa, dove, poco prima della mezzanotte, l’Intercity Atene-Salonicco si è scontrato con un treno merci che viaggiava sullo stesso binario, provocando la morte di 57 persone. Molti erano studenti e studentesse che tornavano a Salonicco per la ripresa delle lezioni universitarie dopo il ponte festivo per l’inizio della Quaresima ortodossa: figli e figlie che quella chiamata non l’hanno mai potuta fare.
Le proteste
Già nei giorni successivi a quello che è stato il disastro ferroviario più grave della storia della Grecia, al lutto e al dolore che pervadevano il Paese si è sommata la rabbia. Moltissimi sono scesi nelle strade, generando un’onda di manifestazioni caratterizzate da una partecipazione che non si vedeva da più di dieci anni, dai tempi delle proteste contro le misure di austerity. Già il 5 marzo, circa 10.000 persone si sono presentati in piazza Syntagma, ad Atene, e davanti al Parlamento ellenico; l’8 marzo, in concomitanza con la Giornata Internazionale della Donna, almeno in 40.000 hanno sfilato per il centro della capitale e più di 20.000 a Salonicco; migliaia di persone si sono unite alle proteste anche a Larissa (dove i manifestanti hanno sfilato sotto le finestre dell’ospedale nel quale sono ricoverati i feriti dell’incidente), a Patrasso ed in altri centri urbani in tutta la Grecia. Un’onda che non sembra avere nessuna intenzione di placarsi, visti i 50.000 che il 16 marzo sono scesi nuovamente in strada ad Atene.
Il carattere eccezionale di queste manifestazioni, tuttavia, è dato non solo dalla grande partecipazione, ma anche dal fatto che in aggiunta alle frange anarchiche e ai movimenti studenteschi – storicamente fra i due maggiori protagonisti dei movimenti di piazza ellenici – hanno partecipato alle proteste anche moltissime persone di ogni età. Manifestazioni dal carattere intergenerazionale, dunque, ed intersettoriale: sono stati infatti dichiarati degli scioperi di 24 e 48 ore – oltre che dai lavoratori e lavoratrici del settore ferroviario, che hanno scioperato praticamente ogni giorno dal 28 febbraio – sia in un primo momento dal sindacato ADEDY, che comprende molti settori del servizio pubblico, che successivamente anche da numerosi enti privati. Le rivendicazioni sono molteplici, ma su tutte primeggia la richiesta di condizioni di sicurezza e, soprattutto, la rabbia contro un sistema politico incapace di proteggere i propri cittadini.
Un errore di sistema
All’indomani della tragedia, il premier Mitsotakis ha dichiarato che la responsabilità del disastro sarebbe da attribuire ad un errore umano: una disattenzione fatale del capostazione di Larissa, che si sarebbe dimenticato di azionare il meccanismo di spostamento dei binari. A Larissa – come in tutta la Grecia -, infatti, la gestione del traffico ferroviario è totalmente in carico al personale umano, in quanto l’infrastruttura ellenica non è provvista dell’ETCS (European Train Control System, il sistema di sicurezza automatico che regola il traffico ferroviario e, in caso di necessità, attiva la frenata di emergenza), che è stato attivo solamente dal 2003, anno di installazione, fino al 2008. Il capostazione, poi, nel momento dell’incidente, si sarebbe trovato da solo, quando invece era prevista la presenza di altri due colleghi, e sembra che avesse poca esperienza nell’ambito, in quanto precedentemente incaricato soprattutto di lavori di ufficio.
Le proteste hanno dunque puntato il dito contro un sistema che fa dipendere la sicurezza dei passeggeri unicamente dall’attenzione o dalla sbadataggine di un singolo capostazione, caratterizzato da infrastrutture obsolete, personale poco formato e da una disfunzionalità cronica dovute al progressivo disinvestimento che ha subito negli ultimi decenni. A questo riguardo, è significativo il fatto che il Ministro dello Sviluppo avrebbe dichiarato che l’ammissione delle lacune in tema della sicurezza della rete ferroviaria avrebbe significato una perdita di svariati milioni di euro per Hellenic Train, la compagnia che gestisce il traffico su rotaia in Grecia. Precedentemente conosciuta come TrainOSE, Hellenic Train è stata acquistata nel 2017 dalle Ferrovie dello Stato Italiane per 45 milioni di euro.
FMI, EU, Grecia: la svendita di un Paese
Nelle affollate piazze delle città greche, la rabbia per i 57 morti è stata spesso accompagnata da quella contro una classe dirigente che nel corso degli ultimi 30 anni si è resa protagonista di una vera e propria svendita del Paese a prezzi stracciati. Il processo di privatizzazione delle imprese statali, avvenuto principalmente per mano dei socialisti del PASOK e del partito di centro-destra Nea Dimokratia (ma anche sotto i governi guidati da Syriza) è iniziato nei primi anni ’90, subendo un’accelerata in contemporanea alla richiesta della Grecia di entrare nello spazio economico e monetario europeo, ed è continuata sia prima della crisi del 2008, che dopo, con le misure di austerity imposte al Paese dalla Troika.
La vendita delle compagnie statali a enti privati, infatti, rappresentava una delle clausole previste dagli accordi con Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale per il salvataggio del Paese. La volontà di rispettare tali accordi ha portato all’adesione ad una politica economica neoliberista ed a massicce privatizzazioni, in particolare nel settore energetico, bancario e dei trasporti, che dal 2011 hanno portato nelle casse dello Stato più di 7,6 miliardi di euro. Basti pensare che nel solo campo delle infrastrutture, oltre a quella di Hellenic Train, si è assistito alla progressiva cessione del porto del Pireo a Costco, multinazionale cinese di proprietà statale, che ad oggi ne detiene il 67%, e di 14 aeroporti – fra i più redditizi del Paese – al colosso tedesco Fraport. Il processo di privatizzazione è proseguito anche nell’ultimo biennio, in particolare nei settori chiave degli idrocarburi e del trasporto autostradale, e molto spesso ha significato un peggioramento delle condizioni di lavoro, speculazione e, come nel caso di Hellenic Train, un prevalere del profitto sulla sicurezza. Un guadagno economico che è costato 57 vite umane.
Il dolore e la rabbia scaturiti dall’incidente di Tempe stanno acuendo la tensione sociale, portandola su dei livelli simili a quelli del tempo del movimento anti-austerity. Ne risentono anche le intenzioni di voto: secondo i sondaggi, dall’inizio delle proteste il premier Mitsotakis ha dimezzato il vantaggio percentuale che aveva sugli opponenti. Le elezioni, previste per la tarda primavera di quest’anno, si avvicinano; la situazione della Grecia, già delicata, rischia di diventare esplosiva.