Il caso Gkn è (anche) una cartina al tornasole. Fa capire lo stato reale dei rapporti tra finanza e produzione, ma anche tra impresa e Stato, oltre che la condizione generale di salute della nostra democrazia. Il caso è noto. Prima il fondo proprietario dell’azienda fiorentina (ex Fiat) produttrice di semiassi per automobili annuncia l’improvvisa chiusura dello stabilimento, senza alcun preavviso per i 400 e più lavoratori. È la finanza che sente di non avere obblighi di alcun tipo, né legali, né sociali e neppure di natura economica, visto che lo stop alle produzioni non è preceduto da crisi aziendali o difficoltà di mercato rilevanti.
A quel punto subentra un mediatore, tale Francesco Borgomeo, con il compito di trovare una via d’uscita, cioè una nuova vita per la fabbrica: l’uomo è un ottimista e poco dopo dice d’essere diventato addirittura proprietario dello stabilimento, ribattezzato intanto 4F, cioè “Fiducia nel futuro della fabbrica di Firenze”: sembra un gioco, un divertissment dannunziano, ma qualcuno lo considera (più saggiamente) una probabile presa in giro. È tutto virtuale, non verificato né verificabile, senza impegni precisi. È l’economia -in teoria “reale”- che sente di non avere obblighi, né professionali, né politici, né morali con gli operai e con la cittadinanza. Con Borgomeo comincia la lunga trafila dei vertici istituzionali, con la Regione Toscana e i funzionari del ministero dello Sviluppo economico che aprono le braccia al “bravo imprenditore” e aspettano con fiducia -pari almeno al nuovo nome della fabbrica- che l’uomo sveli le sue carte e dia seguito con nomi e progetti ai proclami nel frattempo diffusi a piena voce: ci sono nuovi investitori, è pronto un progetto di reindustrializzazione, tutto tornerà a posto.
Passano i mesi, si succedono gli appuntamenti al ministero, ma nomi e soldi non saltano fuori, finché Borgomeo mostra le sue vere carte: la ex Gkn va in liquidazione, non c’è nessun “futuro per la ormai ex fabbrica di Firenze”. È la politica così in disarmo, e così ideologicamente schiacciata sulla logica imprenditoriale (anche del primo imprenditore o pseudo-tale che passa), da farsi menare da una riunione all’altra senza riuscire a toccare palla, per dirla con il gergo del calcio, così caro al nostro establishment, passato dalla “discesa in campo” di Berlusconi all’uscita sostanziale dal campo dove si decidono realmente le cose.
Poi ci sono gli operai e il loro Collettivo di fabbrica. E questa è una storia invece controcorrente. Un imprevisto che potrebbe cambiare l’esito finale di una vicenda in apparenza segnata. Gli operai hanno reagito allo scioccante licenziamento in modo inconsueto: dicendo agli altri, ai loro concittadini, cioè a tutti i noi, che il problema è di tutti, perché quanto avvenuto alla Gkn è un segno dei tempi, un monito universale. “Se passano qui”, dissero nell’immediato -era il 9 luglio 2021- “possono passare dappertutto”. Perché la Gkn era una fabbrica in attivo, ben equipaggiata, e con una forza sindacale fortissima, maturata nei decenni. Perciò si dichiararono in assemblea permanente e dissero “Insorgiamo”, riprendendo la parola d’ordine dei partigiani fiorentini nei giorni caldissimi della liberazione.
Il resto è storia, una storia mai vista negli ultimi decenni di vita sindacale: un’enorme solidarietà popolare, una rete di strette relazioni con lavoratori in lotta in altre zone d’Italia, manifestazioni di rilievo nazionale praticamente autogestite con decine di migliaia di persone, una forte collaborazione con gli attivisti di Fridays for Future e da ultimo, grazie all’aiuto di tanti “competenti” solidali, un progetto di nuova industrializzazione nel campo delle cargo-bike e dei pannelli solari di ultima generazione (senza consumo di terre rare). “Insorgiamo” è diventato il motto di chiunque non voglia cedere alla tentazione della desistenza, e attorno a Gkn è nato il movimento popolare più creativo e più interessante visto in Italia negli ultimi anni. Tutto sotto lo sguardo inebetito di partiti politici e grandi sigle sindacali, ancora frastornati dall’ubriacatura degli ultimi decenni di neoliberismo a volte subìto, altre addirittura assimilato e favorito, fino a ridurre i princìpi democratici e i valori costituzionali a mera etichetta.
Ora siamo a uno snodo cruciale. La liquidazione aziendale procede, gli operai sono da mesi senza stipendio (nonostante abbiano vinto tutte le cause di lavoro e alcuni macchinari siano stati pignorati per finanziare il recupero -ma chissà quando- del dovuto), le istituzioni hanno palesato una totale, e angosciante, impotenza.
In apparenza non c’è via di uscita. A meno che non ci sia un nuovo imprevisto, uno slancio che sale dal basso e coinvolge chi non è fiorentino, né operaio, né licenziato o a rischio di licenziamento, ma semplicemente persuaso che l’ordine delle cose è ingiusto, sbagliato, senza futuro. E che siamo di fronte a una lotta operaia del XXI secolo piena di fantasia, di energia, di trasversale solidarietà. Una lotta sindacale ma anche politica e culturale.
Per sabato 25 marzo il Collettivo di fabbrica ha chiamato a Firenze per una nuova manifestazione nazionale col motto “Rompere l’assedio”. E ha messo in campo il progetto più ambizioso: far da sé, come in Italia forse non è mai stato fatto, e quindi finanziare dal basso l’avvio delle nuove produzioni di cargo-bike e pannelli solari, insomma creare una “Fabbrica pubblica socialmente integrata” con la forza della gente. È partito il crowdfunding, concepito per gradi e in collaborazione con Banca Etica, e già esiste una Società operaia di mutuo soccorso chiamata “Insorgiamo” a fare da collettore della partecipazione dei “solidali”. Se ce la fanno (se ce la facciamo) alla ex Gkn, possiamo farcela dappertutto. L’appuntamento è alle 14, in viale Guidoni angolo via Forlanini: davanti, c’è un bel pezzo di strada da fare.