La grandiosa mobilitazione in Francia contro la riforma delle pensioni non è una rivoluzione ma è un fatto politico totale che sussume tutte le resistenze alle conseguenze nefaste del capitalismo liberista e durerà a lungo!
La prima grandiosa mobilitazione s’è svolta il 31 gennaio, il 23 marzo si è arrivati alla nona giornata di sciopero generale e manifestazioni in tutta la Francia; tre milioni e mezzo in tutta la Francia, 800 mila a Parigi, ma a migliaia anche nelle piccole città e nelle zone rurali (ma il ministero dell’interno dà cifre sempre più basse come ha ordinato il monarca Macron).
E tutti i sindacati hanno già lanciato l’appello per una nuova giornata di lotta il 28 marzo prossimo.
Oltre il 75% dei francesi è contro questa riforma e contro Macron e il suo governo. Persino i media di destra lo riconoscono. Era dal 1995 e dai tempi del Fronte Popolare del 1936 che non accadeva una tale mobilitazione. Tutti i sindacati sono stati sinora unanimi a sostenerla e l’adesione agli scioperi e alle manifestazioni è stata vasta: donne, giovani, anziani e famiglie intere sono scesi in piazza. E’ probabile che questa straordinaria mobilitazione popolare continui ancora e non è escluso che si arrivi a un referendum per l’abrogazione della riforma, anche se in Francia i referendum abrogativi sono molto difficilmente accessibili. Il sistema presidenziale autoritario francese permette solo la richiesta di “referendum d’iniziativa condivisa” (RIP) sottoposta al Consiglio costituzionale. Essa è già stata inoltrata da circa 250 parlamentari, quasi tutti della sinistra. Se il Consiglio costituzionale giudica la richiesta ricevibile, si potranno raccogliere le firme che dovranno essere un decimo degli elettori, cioè 4,87 milioni di firme entro nove mesi.
Ma il presidente Macron e il suo governo hanno risposto con sfacciata arroganza e disprezzo: vogliono imporre questa iniqua riforma a tutti i costi, col colpo di mano del decreto legge, appena nove voti in più rispetto a quelli per la sua abrogazione e per le dimissioni del governo. E soprattutto hanno puntato sullo sguinzagliamento di una polizia brutale che ha cercato di manganellare persino passanti, anziani e giovani: la tecnica per dissuadere la popolazione a partecipare alle manifestazioni, con l’avallo di alcuni giudici che hanno distribuito divieti di agire pubblico o domicilio coatto oltre che arresti, mentre nella maggioranza dei casi gli arresti non sono stati convalidati. Il potere macroniano pensa di seguire la stessa modalità operativa impiegata contro i gilets gialli che subirono oltre 500 feriti gravi e tre morti. Intanto Macron pensa di allargare la maggioranza parlamentare e non disdegna i voti del partito fascista-razzista della sig.ra Le Pen tanto che ieri questo partito e la maggioranza hanno hanno votato insieme un emendamento. Di fatto, come in Italia, il potere di Macron si basa su una minoranza di voto degli aventi diritto: è l’approdo della pseudo-democrazia al “fascismo democratico” (ricordiamo che in Italia la maggioranza delle destre non ha che il 27% dei voti degli elettori aventi diritto). E ovviamente un tale regime si fonda sulla brutalità poliziesca.
Ma la mobilitazione che si è rilanciata ancora il 23 marzo è un fatto politico totale perché sussume tutte le ragioni delle resistenze contro le conseguenze nefaste del capitalismo liberista: è rivolta contro la perpetua inferiorizzazione delle donne che sono le più penalizzate da questa riforma sia perché i loro salari sono i più bassi, sia perché non possono mai arrivare a 43 anni di contributi per la pensione. E’ rivolta contro la precarietà e il supersfruttamento brutale; è rivolta contro condizioni di lavoro usuranti dal punto di vista fisico, psicologico e umiliazioni sempre più insopportabili da parte di padroni, dirigenti e capi. E’ la rivolta dei giovani che sanno bene di non poter sperare in una pensione decente. E’ rivolta contro una riforma che favorisce solo quelli che hanno salari più alti.
Però Macron, il suo governo e il padronato sono convinti che la mobilitazione popolare sarà sconfitta per esaurimento dello slancio attuale e perché non potrà mai arrivare all’effettivo blocco totale del paese. Anche se in Francia i processi devastanti provocati dalla controrivoluzione liberista sono stati meno diffusi e deleteri che in Italia, c’è però stata una destrutturazione economica, sociale, culturale e politica che ha generato l’atomizzazione dei lavoratori spesso alla mercé della logica della competizione accanita rispetto agli stessi compagni di lavoro, della logica del servilismo rispetto al potere nell’azienda e rispetto all’illusione di poter guadagnare sempre di più per acquistare ogni sorta di gadget e merci mediatizzate. E’ questo che impedisce l’effettivo sciopero generale totale, la riuscita dei picchetti di sciopero nelle imprese, cosa che constatano anche i sindacalisti di sinistra vera. In realtà in tutti i cosiddetti paesi ricchi siano approdati a una sorta di narcotizzazione di una parte rilevante dei lavoratori (ma nient’affatto di tutti). Solo una parte è pronta a sostenere scioperi duri e a oltranza. E’ su questo che sperano poter contare Macron e il governo. D’altro canto nessuna faglia sembra potersi aprire nel fronte della polizia che appare saldamente configurata come guardia pretoriana brutale pronta a ogni efferatezza per difendere il volere del re Macron. Tranne qualche raro poliziotto che -in anonimo- denuncia anche il rischio che suoi colleghi possano anche sparare e uccidere qualche manifestante, non ci sono poliziotti che solidarizzano con i manifestanti. Ma questo 23 marzo s’è vista una polizia che aveva anche paura e indietreggiava.
E i manifestanti insistono: “Fermarsi ora? IMPOSSIBILE!!! Bisogna andare sino in fondo! Tutti sentono che il movimento ribolle e si rilancia. Fra altri un collettivo d’insegnanti racconta una mobilitazione «inedita», «imprevedibile» e sempre determinata, due mesi dopo l’inizio. Parole di motivati nella nona giornata d’azione. “La riforma delle pensioni riguarda tutti; non dovremmo essere due milioni in strada ma dieci”.
pubblicato anche su .osservatoriorepressione.info
vedi articolo di Médiapart.fr