La riforma delle pensioni voluta da Emmanuel Macron (al secondo mandato da Presidente della Repubblica dal maggio 2022) che prevede tra l’altro l’estensione dell’età legale da 62 a 64 anni, ha appena infiammato i deputati dell’Assemblea nazionale.
Una riforma presentata come economicamente indispensabile mentre il rapporto del COR (Conseil d’orientation des retraites) confuta le argomentazioni del governo: “La spesa pensionistica è globalmente stabilizzata e, anche a lunghissimo termine, diminuisce in tre ipotesi su quattro. Nell’ipotesi più sfavorevole, aumenta senza crescere in modo molto significativo […]. Quindi la spesa pensionistica è relativamente sotto controllo. Nella maggior parte delle ipotesi, diminuisce nel lungo periodo e nell’ipotesi sostenuta dal governo diminuisce molto, molto poco, ma un po’ nel lungo periodo”. “La spesa pensionistica non è però compatibile con gli obiettivi di politica economica e di finanza pubblica del governo”, ossia realizzare risparmi e ridurre il deficit secondo la traiettoria di bilancio del governo trasmessa alla Commissione europea (in particolare, portare il deficit pubblico sotto il 3% entro 5 anni: 5% nel 2023, 4,5% nel 2024, 4% nel 2025, 3,4% nel 2026, 2,9% nel 2027). ”
Ci troviamo davanti a un presidente che si rifiuta di tassare i super-profitti, ma che vuole realizzare risparmi di bilancio sulle spalle dei lavoratori per ottenere un buon punteggio da parte delle agenzie di rating finanziario che impongono i criteri del settore finanziario agli Stati, cioè alle finanze pubbliche.
L’opposizione della maggioranza dei francesi, l’unità dei sindacati nella lotta contro questa riforma, le manifestazioni, gli scioperi, i blocchi che da due mesi scuotono le strade della Francia per chiedere il ritiro di questa riforma non sono stati ascoltati. Il presidente Macron, 12 minuti prima del voto finale su questa riforma all’Assemblea Nazionale, ha scelto il 49-3, un ricorso che gli permette di far passare la sua riforma senza il voto dei deputati. Il Primo Ministro Elisabeth Borne lo ha annunciato nell’emiciclo dell’Assemblea Nazionale impegnando il suo governo. In effetti, questa riforma è stata adottata.
Adottata, ma da chi? Da una minoranza presidenziale che non ha la maggioranza all’Assemblea Nazionale, che non ha la fiducia del popolo. Solo il Senato ha votato per questa riforma. Una procedura democratica a metà, con un presidente sordo e cieco e un governo contro il popolo. Un presidente fallito, che sta perdendo colpi, arroccato nella sua arroganza e nel suo disprezzo.
Non è stato ancora deciso nulla. Per contrastare il 49-3, diversi gruppi dell’Assemblea Nazionale presenteranno ciascuno una mozione di censura che sarà votata al più tardi lunedì. Se la mozione passerà, il governo sarà obbligato a dimettersi e il suo testo sarà respinto. I deputati accetteranno di proteggere il popolo francese da una riforma antisociale e non di salvaguardare i loro interessi personali e di parte? Lo vedremo al più tardi lunedì.
Una manifestazione studentesca si è unita a un raduno spontaneo a Place de la Concorde a Parigi, con una forte presenza della polizia. Lo stesso fenomeno – la voglia di stare insieme in strada per protestare – si è verificato in altre città francesi. Questa sera (16 marzo, N.d.T.) si terrà la riunione intersindacale per decidere cosa fare del movimento di protesta sociale. Si alzano voci per dire “non ci arrendiamo” con una determinazione esacerbata dall’uso del 49-3.
Nel 2010 è stata votata una riforma che ha portato l’età pensionabile da 60 a 62 anni e ora una nuova riforma vuole imporre 64 anni e domani 65, 67 ecc. I francesi non lo vogliono, non lo possono più sopportare. Il lavoro come valore centrale della nostra vita è superato. È tempo di ripensare la nozione di lavoro, le sue condizioni, la sua durata e il suo significato. Se la nostra aspettativa di vita è aumentata, è anche perché nel corso della nostra storia il tempo e la durata del lavoro sono diminuiti.
La rabbia sta crescendo.
Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo