Con Gerardo Femina parliamo della campagna Europa per la Pace e della giornata europea contro la guerra e a favore del dialogo e della nonviolenza che si terrà il 2 aprile prossimo. Non sarà solo un evento per sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che sta succedendo in Ucraina – e altrove –, ma anche un momento fondamentale di convergenza e unione delle mille anime che compongono il movimento pacifista europeo.
In Europa, in Ucraina, in Russia i governi investono sempre più in armamenti. “L’unica possibilità di evitare l’escalation sul crinale del baratro della conflagrazione nucleare risiede nel risveglio dell’essere umano e nella capacità di organizzarsi dei popoli tramite le forme di creatività e nonviolenza”, si legge nell’appello di Europa per la Pace. L’invito è a prendere il futuro nelle nostre mani e a convergere con le energie più vitali della creatività in Europa e in tutto il mondo in una giornata dedicata alla pace e alla nonviolenza attiva. Abbiamo parlato di questo con Gerardo Femina, per convergere poi sul tema della giornata e per la pace e la nonviolenza attiva che si terrà il prossimo 2 aprile 2023 in tutto il mondo.
Come vedi la situazione del conflitto attuale e con quali prospettive nel futuro?
Sembra che la situazione non accenni a risolversi. Si osserva una evidente mancanza di volontà di far cessare questa guerra. Purtroppo la possibilità che il conflitto si allarghi è sempre più alta e a volte sembra quasi che ci sia una precisa volontà di incrementare questo coinvolgimento militare. Negli ultimi anni c’è stata una forte militarizzazione dei paesi dell’est Europa, dove si parla già di guerra come una ipotesi reale, e negli altri paesi europei si spinge per tornare alla leva obbligatoria.
Cosa si vuole ottenere la rete Europa per la Pace con questa importante iniziativa del 2 aprile e a chi è rivolta?
L’iniziativa nasce dalla forte necessità di pace e di evitare un conflitto globale. C’è un forte bisogno che il mondo pacifista e tutta la società civile diano un segnale potente e chiaro e c’è anche bisogno che ognuno lo faccia con il proprio stile e la propria creatività, senza dover accettare i codici di qualcun altro o rinunciare alle proprie caratteristiche.
Riuscire a convergere, andando al di là dei personalismi, per fermare questa follia è divenuta una necessità vitale, una vera e propria questione di sopravvivenza per i popoli. Si tratta di tentativo di sincronizzarsi e imparare assieme ad agire in maniera diversa, più fluida e in base a ciò che ci fa convergere. Questo sarebbe un segnale di forza straordinaria.
Nella dichiarazione dell’iniziativa ci si riferisce ai pacifisti chiamandoli “gli invisibili”. Potresti chiarire questa idea?
Quando nel 2007 iniziammo a lottare contro il progetto di costruire uno scudo spaziale statunitense nella Repubblica Ceca accadde una cosa che per noi fu una vera folgorazione: ci rendemmo conto che la stragrande maggioranza dei cittadini era contraria a quel progetto, nonostante la propaganda martellante dei media e dei politici: più del 70% della popolazione ceca era contraria. Eppure tutte queste persone per l’opinione pubblica non esistevano. Coloro che si opponevano al progetto erano semplicemente scomparsi, spariti in un buco nero dell’informazione, dimenticati.
Il problema allora non era convincere le persone che il progetto era rovinoso, ma farle emergere da quella specie di limbo artificiale, renderle visibili, dar loro spazio. Da quel momento ebbe inizio una creatività straordinaria. Ci furono scioperi della fame, molti personaggi pubblici diedero il loro appoggio, le persone si mobilitarono. E lo scudo spaziale USA non si fece. Un risultato storico. Oggi a livello globale sta accadendo la stessa cosa. E c’è bisogno che le persone si manifestino.
Quando gli Stati Uniti minacciarono l’invasione dell’Iraq, decine di milioni di persone manifestarono per le strade di tutto il mondo contro la guerra. Oggi sembra che la situazione sia molto diversa e ci sia più difficoltà a organizzarsi. Perché, secondo te, la situazione del pacifismo internazionale è così cambiata?
Perché siamo in una società in piena crisi e decadenza in cui ci è difficile immaginare di poter cambiare davvero le cose, mentre i governi diventano ogni giorno più ottusi e violenti. La loro tattica è creare divisione e polarizzazione. Dobbiamo fare lo sforzo di convergere, definendo quali sono le priorità. Bisogna anche tener conto che le nuove generazioni sono meno ideologiche e più pratiche e anche la protesta deve trovare nuovi modi di esprimersi. L’iniziativa nasce dalla forte necessità di pace e di evitare un conflitto globale. C’è un forte bisogno che il mondo pacifista e tutta la società civile diano un segnale potente e chiaro
Si ha l’impressione che le proteste spesso non siano molto efficaci e che i governi tendano a ignorare in blocco l’opinione delle persone a favore di posizioni già prese. Nella vostra dichiarazione parlate della necessità di azioni nonviolente, a cosa ti riferisci?
Questo è uno dei problemi più grandi. Lo scollamento tra le persone e le istituzioni ormai è un abisso. La classe politica sembra non rispondere più alla gente ma ad altri soggetti, dimenticando che sono le persone a portare avanti la società. E se esse si organizzano hanno un potere immenso. All’epoca di Gandhi, indiani disarmati sconfissero l’esercito più grande del mondo. Le persone possono fare a meno delle istituzioni, ma le istituzioni non possono fare a meno delle persone. Questa è la forza della nonviolenza. Ma è necessario sincronizzarsi. Ed è quello che stiamo tentando di sperimentare con questa iniziativa. Spegnere le TV e i social media per un giorno è solo un primo esperimento.
La società civile sembra molto divisa sulla guerra in Ucraina: alcuni affermano che l’invio di armi è giusto, perché offre all’Ucraina la possibilità di difendersi; altri invece affermano che bisogna sospenderlo immediatamente per passare a una fase di trattative. Pensi che sia possibile un dialogo tra posizioni tanto diverse o addirittura un’azione comune?
Per quanto possano sembrare posizioni inconciliabili, credo che alla fine ci si comprenderà, perché se veniamo trascinati nell’abisso della guerra, che importanza avrà chi aveva ragione? Bisogna chiedersi profondamente cosa è più importante per noi: avere ragione o evitare l’orrore risolvendo le guerre grazie al dialogo?