Negli ultimi quindici anni il consumo, lo spaccio e la produzione di droghe di largo consumo come il crack costituisce un fenomeno in netto aumento, con forte incremento nelle grandi aree metropolitane europee. A Palermo, all’interno della realtà dei popolari quartieri Albergheria e Ballarò, da circa dieci anni il crack rappresenta una nuova emergenza alla quale residenti, turisti, studenti e clienti del mercato storico si sono abituati, come una forma di degenerazione inarrestabile del tessuto socio-economico. Oggi il consumo di crack può essere considerato parte di un paesaggio umano contraddittorio, in parte integrato al circuito turistico-monumentale e dello street food, in parte però fortemente marginalizzato in significative sacche di popolazione, rimaste per lungo tempo isolate dai processi di rigenerazione sociale che pure sono stati avviati.
A partire dagli anni ’90 la prevenzione primaria e secondaria delle dipendenze aveva conosciuto lo sviluppo di attività progettuali interessanti, soprattutto sotto il profilo dell’efficacia dei risultati, favorite anche dalla costruzione progressiva di un reticolo di istituzioni/azioni. Si era registrato un modo nuovo del pubblico e del privato di operare insieme, con uno scambio proficuo di esperienze professionali (medici, assistenti sociali, sociologi, educatori, psichiatri), e buone prassi. In tale cornice era stato possibile potenziare lo screening delle malattie correlate al consumo delle droghe, distribuire le siringhe, operare nell’aree del drug checking (analisi delle droghe) e drop-in per inviare nuovi utenti alle strutture di accoglienza a bassa soglia e allontanarli dai pericoli della strada. In Italia questa tipologia di servizi, inclusa nei Lea (Livelli essenziali di servizi), è stata considerata, dal punto di vista giuridico e della sperimentazione, molto avanzata fungendo anche da apripista e da prassi progettuali esportabili. Con il tempo la riduzione dei fondi e il decentramento di buona parte della programmazione alle Regioni che non hanno recepito i Lea, uniti al mancato inserimento di queste esperienze nei piani d’azione nazionali sulle droghe, ha fatto emergere problematicità irrisolvibili. Non è una novità allora che nella storia più recente dei servizi socio-sanitari, le attività di prevenzione siano state fortemente orientate dall’iniziativa e dagli sforzi del privato sociale, di gruppi di volontariato e mutuo aiuto nati sulla base di una spinta sociale e dal basso. Un esempio di servizi divenuti presidio territoriale e punto di riferimento, oggi pressoché spariti, è rappresentato dalle unità mobili, camper attrezzati anche per l’intervento medico in urgenza, presenti in alcune piazze calde del circuito di spaccio e consumo delle droghe.
La mancanza di punti di riferimento istituzionali e stabili, lo stato di abbandono di persone (perlopiù giovani) che consumano crack oggi costituisce il quadro drammatico e la fotografia di due realtà territoriali difficili dove il consumo di crack si innesta e interferisce con altri aspetti di questa complessità sociale molto sfaccettata. Di fatto, con l’eliminazione dei servizi di bassa soglia, la vita di un tossicodipendente oggi rischia una forma di isolamento ancora più accentuato dall’orientamento politico-sanitario dell’attuale governo che considera la riduzione del danno fine a sé stessa, non introducendo nuove e altre indicazioni o strumenti diversi. Dallo scorso anno, l’emergenza crack nei quartieri dell’Albergheria e di Ballarò ha trovato una risposta interessante nella mobilitazione di risorse e nell’istituzione di una rete ad opera delle principali istituzioni locali, scuole e associazioni in prima linea. Il primo risultato e il primo timido passo di questo impegno interistituzionale è rappresentato dal ritorno in strada del servizio mobile del camper dell’Asp con un’équipe specializzata.
Ne parliamo con Nino Rocca, operatore sociale, da anni impegnato con numerose associazioni e con il Centro Peppino Impastato, in attività di volontariato sul territorio.
L’uso del crack da parte di giovani e giovanissimi è diventato una vera emergenza negli ultimi mesi, tanto da guadagnarsi spesso un posto in primo piano nella cronaca della nostra città.
Il problema è molto complesso perché trova la sua origine in una dimensione di disagio dei giovani, esistenziale, adolescenziale e che quindi va aggredito sotto due aspetti, la prevenzione e il recupero. La scuola è sicuramente il luogo dove affrontare la prevenzione ma non si può improvvisare; gli insegnanti, non sempre preparati per questo compito, devono agire con molta cautela e con una strategia ben precisa dato che si è anche abbassata l’età dei consumatori.
Dopo il Covid, il disagio giovanile pare sia notevolmente aumentato, tanto che in molte scuole si è cercato di andare loro incontro con la presenza e il supporto di psicologi. I ragazzi si sentono molto spesso abbandonati dagli adulti, dalle famiglie, dalla scuola. È un disagio trasversale non dovuto più principalmente al degrado
È vero, il disagio è aumentato e la scuola deve trovare nuovi mezzi e metodi per affrontarlo. Non basta fare progetti sulla legalità o invitare esperti, occorre partire dai problemi che i ragazzi stessi devono esprimere e, a partire da questi, affrontare maieuticamente le soluzioni. Gli altri due aspetti fondamentali che non possono essere disgiunti sono quello della sanità e quello sociale.
Ma l’approccio più importante che non può essere trascurato è quello della prossimità, della riduzione del danno, cioè la presenza di case di accoglienza per i giovani che si avviano alla tossicodipendenza. Si offre loro un ristoro e si cerca di instaurare un processo in cui non si chiede un cambiamento repentino che non sarebbe possibile, ma un luogo in cui i ragazzi possano sentirsi protetti e avviare un dialogo con gli operatori, un luogo di passaggio prima di affrontare la vera e propria cura e riabilitazione. Le strutture devono avere personale preparato per un percorso di questo genere, psicologi, medici, infermieri che li accolgano con il sorriso, con l’empatia, perché il tossicodipendente che vive per strada finisce per perdere il senso della realtà ed è un processo che tende ad emarginarlo in maniera sempre maggiore. Si chiama Centro di accoglienza a bassa soglia perché si pretende poco, ma può diventare a media soglia se si inizia a costruire un progetto strutturato di vita futura per offrire un percorso di autonomia dalla droga a chi si trova nelle condizioni di totale alienazione. Importantissima è la presenza di un camper che la sera o durante la notte possa girare nelle zone di spaccio e possa offrire quegli interventi di carattere sanitario o psicologico richiesti. E di operatori che possano incontrare i giovani e offrire loro un centro di accoglienza come quello a bassa soglia con un dormitorio se il soggetto non ha un luogo dove andare.
Questi centri di accoglienza dove i giovani potevano ricevere assistenza in attesa di altri interventi sono stati tutti chiusi a Palermo da diversi anni, perché non hanno ricevuto più i sussidi da parte del comune e, soprattutto dopo il Covid, questo tipo di assistenza è scomparso.
Quindi c’ è una correlazione tra la diminuzione o l’azzeramento degli interventi e l’aumento dei casi
Sì, tranne l’intervento della polizia che però non ha il sostegno né della struttura sociale né della struttura sanitaria ci siamo trovati sguarniti dal punto di vista istituzionale. A Ballarò la domanda supera l’offerta; quello della droga è un mercato fiorente che sta arricchendo la mafia perché per le famiglie che gestiscono lo spaccio la produzione del crack è anche un procedimento semplice e poco costoso.
Parliamo di SOS Ballarò, che cos’è e come è nata questa iniziativa.
SOS Ballarò è un gruppo di associazioni che svolgono attività all’interno del quartiere con una forte tradizione di presenza mafiosa che controlla il territorio e chi gestisce lo spaccio. Il tossicodipendente si trova in una zona economica vivace e particolarmente appetibile, accanto al salotto di Palermo, dove è facile prostituirsi o rubare per potere continuare ad assumere la droga e con una certa tolleranza nel quartiere stesso. Abbiamo cercato di coinvolgere la stampa con l’impegno di fare un sit-in tutte le volte che avessimo saputo della morte di un ragazzo per droga. E lo abbiamo fatto perché il ricordo è un modo per rompere l’indifferenza, come monito per una società che preferisce girarsi dall’altra parte. Spesso i genitori si vergognano e non vogliono che si parli della morte del figlio o della figlia ma vivere questa situazione è un inferno perché non ci sono strutture che possano supportarli. Uno di questi ragazzi è Giulio, ucciso dal crack a 19 anni, il cui padre che aveva disperatamente cercato di sottrarlo alla droga, mi ha contattato perché vuole invece ricordarlo nella maniera migliore, come esempio per altri ragazzi nelle stesse condizioni. Con lui abbiamo intrapreso l’iniziativa di far nascere una casa dell’accoglienza che si chiamerà appunto Casa di Giulio con la prima importante raccolta di fondi che si è svolta il 5 marzo. La manifestazione musicale “Giulio è” ha visto la partecipazione a titolo gratuito di tantissimi artisti e personalità pubbliche.
Abbiamo inoltre sollecitato un tavolo tecnico con l’Assessorato alle attività sociali con la presenza di tutti i soggetti che già operavano sul territorio, dai responsabili della Sanità, dei Ser.T., alle comunità terapeutiche, le scuole, l’Arci, le associazioni di SOS Ballarò. L’Assessore alla sanità si è impegnato a trovare i fondi per un camper e la formazione di operatori di strada e si dovranno cercare le strutture più idonee per creare nuovamente centri di accoglienza a bassa soglia. Non possiamo abbassare la guardia perché la situazione è molto grave. Abbiamo chiesto anche un incontro alla commissione antimafia siciliana perché non si può fare la lotta alla mafia a parole ma occorre che la scuola, la sanità ed il sociale scendano in campo contemporaneamente; la sanità recependo i LEA (livelli essenziali di assistenza), l’Assessorato alla famiglia per potenziare la struttura sociale, il Provveditorato per le scuole. Queste sollecitazioni vogliamo portarle alla commissione antimafia perché la lotta alla mafia si fa anche combattendo la droga e mettendo in campo le strutture necessarie per fare prevenzione e recupero.