“Rieccoci qui oggi, vent’anni più anziani di quel giorno in cui gli Stati Uniti inaugurarono la scellerata invasione dell’Iraq… e molti che quel 18 marzo di vent’anni fa non erano neppure nati, o erano proprio bambini, e magari non hanno visto più tornare il loro padre, o zio, o fratello maggiore… Ma una cosa è certa: questo 18 marzo il rischio che stiamo correndo tutti è molto più grande e spaventoso di vent’anni fa. Perché oggi sappiamo che quella che stiamo subendo da vent’anni è una guerra infinita, per noi e per il resto del mondo, e che stiamo ogni giorno di più scivolando verso l’olocausto nucleare. Siamo il Paese più ricco del mondo e abbiamo 160 milioni di persone in povertà. E con le nostre armi sempre più sofisticate siamo i peggiori ‘inquinatori’ del pianeta, per non dire delle 800 basi militari che abbiamo sparse ovunque, a Okinawa come in Europa e in America Latina… Booo, Booo (… BOOO risponde la folla…) Enough… Ora basta. È ora di capire che la difesa dell’umanità e del pianeta che ci ospita dipende anche da noi…” Così ha aperto la manifestazione a Washington DC Claudia de la Cruz, giovane attivista di origini caraibiche co-direttrice esecutiva di The People Forum.
Sono da poco passate le 13 di sabato 18 marzo e sulla spianata davanti alla Casa Bianca di Washington DC è cominciato il mega-rally annunciato già da giorni, nel ventennale dell’invasione dell’Iraq, per ribadire nel modo più fermo e condiviso possibile il più sonoro NO alla Guerra. A tutte le guerre: quella che si combatte per procura da oltre un anno sul fronte russo-ucraino, quella che a quanto pare è già in preparazione con la neo-alleanza Anglo-US-Australiana contro la Cina, quelle che si combattono a suon di sanzioni in decine di Paesi del mondo, e insomma tutte le guerre. Ogni pretesto è buono per mettere in moto la medesima War Machine, che succhia risorse sempre più ingenti che potrebbero essere spese per il buon governo della cosa pubblica, scuole, ospedali, sanità, welfare – con motivazioni di pretesa sicurezza, che in effetti stanno trascinandoci verso il baratro della guerra nucleare.
Oltre 200 le organizzazioni che hanno aderito a questa convocazione indetta, come già abbiamo riferito, da Answer Coalition insieme all’organizzazione di ecopacifiste Code Pink e The Poeple Forum di New Your, a loro volta riunite nella più ampia iniziativa Peace in Ukraine. E oltre alla piazza di Washington, ci sono state manifestazioni non meno partecipate a New York, Boston, Philadelphia, Atlanta, Baltimora, Ithaca, New Haven, Los Angeles, San Francisco, Denver, San Diego, solo per citare le località più importanti.
“Non saprei dire quante persone hanno partecipato in totale” mi dice Marcy Winograd, tra le principali coordinatrici all’interno di Code Pink. “Sicuramente parecchie migliaia, abbiamo passato tutta la domenica sommersi di foto, video, testimonianze, messaggi che continuano ad arrivare da ogni parte, e che stiamo caricando sui vari siti e social. Possiamo sicuramente dire che la risposta è stata straordinaria.”
E incredibilmente colorata, variegata, creativa. Una fiumana di gente di ogni razza, colore, età, estrazione sociale, moltissimi i lavoratori, i veterani di guerra, parecchie le congregazioni religiose accanto agli attivisti più chiaramente militanti nelle fila dei socialisti, con la falce/martello ben visibile sulle bandiere rosse. Una quantità impressionante di messaggi, cartelli, striscioni, palloncini colorati con la scritta “La Cina non è il mio nemico” (ironico richiamo al recente ‘incidente’ del pallone-spia di provenienza sicuramente cinese e quindi abbattuto). E non sono mancate le trovate un po’ più spettacolari, tipo la sfilata delle bare di legno addobbate con le bandiere della quarantina di Paesi gravati da draconiane sanzioni economiche: il caso più emblematico è quello di Cuba e poi ci sarebbero l’Eritrea, l’Etiopia, lo Zimbabwe, l’Iran, il Venezuela, per non dire della Siria, che neppure il recente e devastante terremoto è riuscito a mitigare.
Per quasi quattro ore gli interventi si sono avvicendati sul palco di Washington DC e sarebbe impossibile riferire di tutti (la registrazione completa la trovate qui , ma vale la pena sottolineare un elemento di diversità, rispetto alla manifestazione Rage against the War Machine del 19 febbraio scorso di cui già avevamo riferito: mentre in quel caso gli speakers erano figure di spicco in ambito politico, o come opinion makers, saggisti, insomma dei Nomi, nel caso di sabato gli unico Nomi sono stati Medea Benjamin (di Codepink, essendo tra gli organizzatori), e poi Gabriel Shipton (fratello di Julian Assange) e Noam Chomsky (che è intervenuto a distanza). Tutti gli altri, numerosissimi e applauditissimi, erano proprio l’espressione di una vasta e quanto mai consapevole e vigorosa mobilitazione dal basso, una galassia di situazioni in movimento molto preparate politicamente e davvero sorprendente.
Gabriel Shipton, fratello di Julian Assange, con Jodie Evans e Medea Benjamin di Codepink.
O forse l’aggettivo sorprendente dovrebbe definire la nostra scarsa informazione, l’enorme deficit di notizie che ci arrivano da oltre-oceano, e che sarebbe urgente colmare. Un esempio fra tutti: il movimento dei Roofers Local 36 di Los Angeles (addetti soprattutto ai tetti, insomma semplici lavoratori edili), che il 17 marzo 2022, a poche settimane dall’inizio del conflitto, furono i primi a scendere in piazza per denunciare quella che già allora era per loro una guerra ‘chiaramente provocata’. Lo ha ricordato il portavoce Cris Smith con un intervento estremamente chiaro sulla natura imperialista “di questa guerra, in modo particolare” e sull’urgenza di internazionalizzare la protesta: “Quelli che vengono spediti al fronte, quelli che stanno morendo in Ucraina, come già in Iraq, sono lavoratori come noi, o gente che un lavoro sicuro neppure ce l’ha. I rinforzi con cui la Russia è in grado di compensare le ingente perdite sono gente come noi, che magari è finita in galera per un nonnulla e in cambio della liberà viene spedita al fronte. Diciamo basta a questa macchina della morte e basta a tutte le guerre.”
Tra tutti l’intervento più immediatamente virale sui social è stato quello che Gerry Condon ha pronunciato a Los Angeles a nome dell’Associazione dei Veterani per la Pace. Ne riportiamo alcuni brani:
“All’amministrazione Biden che ha bloccato la strada dei negoziati e sta intensificando la guerra per procura contro la Russia, chiediamo immediati NEGOZIATI. Chiediamo che quei miliardi di dollari vengano spesi per rimediare alla crisi climatica, che come sappiamo è alimentata dal militarismo. E per creare posti di lavoro decentemente retribuiti, per l’assistenza sanitaria universale, per alloggi a prezzi accessibili. STOP ai produttori di armi e ai profittatori della guerra.
Al Presidente Biden e al Congresso diciamo: NON RISCHIATE LA GUERRA NUCLEARE! Perché è questo che STANNO RISCHIANDO, non facciamoci illusioni! (…) La guerra in Ucraina è lo scenario perfetto per la Terza Guerra Mondiale e per l’olocausto nucleare. Potrebbe accadere in qualsiasi momento.
Veterans For Peace ha prodotto il proprio Nuclear Posture Review. È un documento esaustivo e convincente, disponibile sul nostro sito veteransforpeace.org. Tra le altre cose documenta come gli Stati Uniti si siano ritirati da diversi trattati di controllo degli armamenti con la Russia, compreso il trattato contro i missili nucleari a raggio intermedio in Europa. Oltre alle armi nucleari che gli Stati Uniti tengono in deposito in Europa: nei Paesi Bassi, in Germania, in Belgio, in Italia, in Turchia. Oltre alle basi missilistiche che gli Stati Uniti hanno piazzato in Romania e Polonia, vicino ai confini della Russia. Chi sta minacciando chi? Chi sta rischiando una guerra nucleare
Questa settimana le truppe statunitensi e sudcoreane stanno “giocando alla guerra” con esercitazioni congiunte per un ipotetico attacco offensivo contro la Corea del Nord, dotata di armi nucleari. Gli Stati Uniti stanno facendo volare bombardieri B-52 a capacità nucleare sopra la penisola coreana. Chi sta minacciando chi? Chi sta rischiando una guerra nucleare?
La cosa ben più allarmante è che gli Stati Uniti si stanno preparando ormai apertamente alla guerra contro la Cina. Stanno cercando di usare le contraddizioni tra Taiwan e la Cina nello stesso modo in cui hanno usato l’Ucraina contro la Russia. Siccome la Cina sta superando gli Stati Uniti dal punto di vista economico sulla scena mondiale, la risposta di Washington è provocare la Cina, dotata di armi nucleari. Chi sta minacciando chi? Chi sta rischiando una guerra nucleare?
La missione di Veterans For Peace è abolire le armi nucleari, abolire ogni guerra. Chiediamo al governo degli Stati Uniti di firmare il Trattato delle Nazioni Unite sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN) e di iniziare a negoziare in buona fede con le altre otto nazioni dotate di armi nucleari per sbarazzarsi di tutte le armi nucleari.
Sappiamo che questo non accadrà finché gli Stati Uniti manterranno la loro politica aggressiva di egemonia globale. E finché i nostri GI (uomini e donne reclutat* tra le classi inferiori) saranno usati come pedine da sacrificare sulla scacchiera dei ricchi.
Così come gli uomini di colore vengono sistematicamente uccisi dalla polizia razzista e militarizzata negli Stati Uniti, così succede a livello della politica estera US. Veterans For Peace chiede la fine della guerra contro l’America dei neri: vogliamo la pace in patria come vogliamo la pace nel mondo.
La nostra missione ci invita a “impedire al nostro governo di intervenire, apertamente o meno, negli affari interni di altre nazioni”. A tal fine, abbiamo un messaggio per i GI… per i nostri fratelli e sorelle, figli, figlie e nipoti reclutati nell’esercito di oggi. “Rifiutatevi di combattere queste guerre ingiuste, illegali, immorali, basate sulla menzogna. Rifiutatevi di combattere le guerre imperialiste.”
TUTTI abbiamo un ruolo da svolgere nella nobile lotta per la pace e per la giustizia. Lavoriamo tutti insieme per l’abolizione delle armi nucleari e per l’abolizione della guerra. Facciamolo una volta per tutte”.
La manifestazione di Los Angeles
Foto di Code Pink