C’è chi da anni con tenacia e caparbietà si occupa di azionariato critico. E grazie ad analisi meticolose e critiche dei bilanci e dei documenti delle grandi aziende quotate in borsa richiama l’attenzione sugli impatti che la condotta delle società in campo sociale e ambientale può avere sui bilanci, dando così voce e ruolo ai piccoli azionisti. Si tratta della Fondazione Finanza Etica, di ReCommon, della Rete Disarmo, del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, di Clean Clothes Campaign, che operano in stretta collaborazione con Shareholders for Change.
Come dimostrato negli ultimi anni dall’azionariato critico promosso dalle organizzazioni della società civile, le assemblee degli azionisti offrono la possibilità di confrontarsi apertamente con il management delle società e chiedere ragione del loro operato in relazione all’ambiente, al clima e ai diritti umani. Un meccanismo certo parziale e limitato, ma che cerca comunque di porre rimedio alla totale mancanza di accountability dei gruppi industriali e finanziari.
Un’azione che non sempre è del tutto gradita (diciamo) e quasi mai agevole da portare avanti. Soprattutto quando a contrastare l’azionariato critico ci pensa il Governo della presidente Giorgia Meloni, come ha fatto di recente con la decisione di permettere alle principali società italiane di tenere per il quarto anno consecutivo le loro assemblee degli azionisti a porte chiuse, secondo le modalità per la prevenzione della diffusione del Covid-19 ormai non più in vigore, essendo conclusa la fase emergenziale della pandemia.
Si tratta dell’ennesimo schiaffo alla partecipazione democratica e alla trasparenza assestato con un emendamento al cosiddetto Decreto Milleproroghe (numero 198 del 29/12/2022, approvato in via definitiva lo scorso 23 febbraio) che reitera le disposizioni contenute nel Decreto legge “Cura Italia” del 17/03/2020, che offriva alla società per azioni la possibilità di consentire la partecipazione e l’esercizio del voto degli azionisti mediante mezzi di telecomunicazione, anche in deroga a diverse disposizioni statutarie. Il testo menziona la “possibilità di prevedere” queste modalità alternative alla partecipazione in presenza, la quale è comunque ancora oggi garantita o mediata, appunto, da mezzi di telecomunicazione. Tuttavia, dopo la conversione in legge del DL Cura Italia – avvenuta il 24 aprile 2020 – e le successive proroghe, fra il 2020 e il 2022 le principali società italiane quotate in Borsa – tra cui i grandi gruppi industriali e finanziari – hanno deciso di seguire la linea delle “porte chiuse”, precludendo anche la possibilità di prendervi parte attraverso i mezzi di telecomunicazione. Ciò ha comportato una totale mancanza di dialettica tra gli azionisti e gli amministratori delle società, a scapito della partecipazione.
L’emendamento delle “porte chiuse” introdotto nell’ultimo Decreto Milleproroghe e presentato da Massimo Garavaglia (Lega) si colloca in un contesto in cui il virus continua a circolare ma la fase più acuta – nonché emergenziale – è passata da tempo. Appare lecito perciò chiedersi: quali sono i motivi alla base di tale iniziativa? Soprattutto ricordando le posizioni che spesso si sono tenute nel recente passato a proposito di restrizioni e chiusure.
Per questo ReCommon, ISDE Italia, Greenpeace Italia, The Good Lobby e Fondazione Finanza Etica denunciano l’ulteriore restrizione degli spazi democratici in merito alla possibilità di fare da contraltare all’operato dei gruppi industriali e finanziari italiani e chiedono agli stessi di non abusare delle disposizioni presenti nel DL Milleproroghe, consentendo la partecipazione in presenza alle rispettive assemblee degli azionisti o, in extrema ratio, una partecipazione tramite mezzi di telecomunicazione equiparabile a quella in presenza. Le organizzazioni sollecitano inoltre il governo e gli enti regolatori a intervenire a tutela dei diritti degli azionisti, affinché limitazioni di questo genere non si ripresentino più in futuro.
La partecipazione -in generale e non solo nel caso dell’azionariato critico- è sempre più vista come disturbo, come perdita di tempo, come ricerca di visibilità, come ostacolo alla decisione. E come tale va contrastata, resa di difficile esercizio, se non addirittura eliminata. Per poi “battersi il petto” e recitare la solita giaculatoria della mancata partecipazione, dell’astensionismo, dello scollamento tra piazza e palazzo e della crisi della democrazia.