Il festival Altri Mondi/Altri modi, organizzato dall’Askatasuna, si è concluso domenica scorsa con la proiezione del film “La scelta”
Il festival è stato un successo di pubblico, in particolare la partecipazione durante la serata di Domenica 5 marzo, in cui ha parlato lo storico Alessandro Barbero, è stata molto superiore a qualunque previsione. L’Askatasuna si conferma un polo culturale antifascista all’interno della nostra città.
Ne “La scelta” ho rivisto immagini che sono nella mia memoria: volti, voci, suoni, l’odore acre, schifoso, che ti si appiccica addosso, dei lacrimogeni. Immagini delle manifestazioni, degli eventi, delle vicende giudiziarie, che in questi anni ho documentato. Il film descrive più di otto anni di lotte NoTav in Val di Susa.
Usare un mezzo che produce immagini, una fotocamera o una videocamera, ti insegna a vedere: se vuoi ricavare buone immagini devi saperlo fare. I produttori e autori del film: Carlo Augusto Bachschmidt, Stefano Barabino, Michele Ruvioli, hanno dichiarato di aver compreso, in otto anni e mezzo di riprese, che essere un NoTav è una scelta di vita prima che di militanza. E credo sia proprio così, essere NoTav è esserlo 24 ore al giorno per tutta la vita. Non si può spiegare altrimenti un movimento dai molti volti, dalle molte pratiche, così diversificato in sé stesso, ma che dura da oltre 30 anni.
I NoTav sono intimamente e profondamente legati alla Valle di Susa, intimamente e profondamente convinti di essere nel giusto, ecco perché sono disposti a pagare il prezzo della risposta dello Stato alla loro lotta, ecco perché nonostante l’oggettiva durissima risposta dello Stato continuano da oltre 30 anni ad opporsi al Tav. Ecco perché il movimento non si è estinto dopo tre decenni e lo Stato non è riuscito a farlo estinguere, nonostante le 266.000 diarie pagate agli agenti dislocati in Valsusa in un solo anno. Situazione che i NoTav definiscono come una “militarizzazione della Valle”. Ora il testimone del movimento sta passando ai giovani, che appaiono animati dallo stesso spirito di coloro che hanno lottato per un trentennio.
Il film ha rievocato, nel suo condensato di immagini, le domande che mi sono sorte in questi anni: appare inconcepibile, oltre che illogica, l’assimilazione dei NoTav all’eversione. Significa di fatto che lo Stato si identifica in una grande opera, ovvero in alcuni chilometri di rotaie mai realizzati, in un progetto del secolo scorso, fondato su presupposti, previsioni di traffico merci, che non si sono verificati, su cui pesa enormemente l’impatto ambientale, lo spreco di risorse idriche in una situazione ormai di siccità conclamata. C’è davvero da chiedersi cosa sia uno Stato che sceglie questa rappresentazione. Opporsi quindi per ragioni sociali ed ambientali alla costruzione di una grande opera significherebbe essere contro lo Stato, ma non solo: significherebbe rovesciarlo.
Questa posizione è costituzionalmente orientata? E’ davvero più importante la costruzione di una grande opera rispetto al volere di tante persone? E Perché?
C’è anche da chiedersi perché lo Stato issi quello che, dopo trent’anni di incompiutezze, appare solo più un vessillo, quale ne sia il motivo.
L’opposizione al Tav ha fatto sì che Torino diventasse, secondo molti, una sorta di laboratorio di repressione del dissenso, la mente non può non andare a quello che appare un altro vessillo: Cospito. Lo Stato rivendica di non voler essere ricattato. Ma rimane un punto di buon senso, di pace sociale: i Governi che si sono succeduti non rappresentano la maggioranza degli Italiani, e questo succede da tempo.
Ci si è chiesti il costo in termini di pace sociale di talune scelte? Il PD, da sempre convinto sostenitore del Tav, se lo è chiesto? Oppure è proprio la svolta autoritaria il disegno, che da sempre usa vessilli, che da più parti si sta paventando, disegno che viene denunciato come attuato in modo bipartisan e da diverso tempo? E a chi potrebbe far comodo se non ad un’egemonia economica che i dati ci dicono stia provocando sempre maggior povertà, condizione che, ove non affrontata con serie e strutturali politiche sociali, si può gestire solo con la repressione?