e fanno finta di non vedere
e fanno finta di non sapere
che si parla di uomini qui
di donne e di uomini
da: “Al Di La’ Dell’Amore” di Brunori Sas
Se non fossimo in Italia le prime pagine dei quotidiani parlerebbero della questione centrale che la lotta di Alfredo Cospito, in sciopero della fame da oltre 100 giorni, porta avanti: il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo.
Invece la bagarre parlamentare riduce la questione ad una lotta tra schieramenti che non si traduce neppure in un posizionamento tra oltranzisti-giustizialisti e garantisti (sarebbe troppo aulico), ma in un alterco privo di logica e difficilmente riconducibile ad un serio dibattito, per questo privo di alcun interesse nel riportarlo.
Martedì 31 gennaio nell’aula magna gremita da circa 400 persone al Campus Einaudi di Torino il Collettivo Universitario Autonomo, il Collettivo di Giurisprudenza e Studenti Indipendenti hanno proposto un seminario ed un dibattito sul 41 bis e sulla lotta di Alfredo con Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale, l’avvocato di Alfredo Flavio Rossi Albertini, e Gianfranco Ragona di Storia delle dottrine politiche.
Aprendo l’assemblea, gli studenti di diritto hanno ripercorso la storia della detenzione al 41 bis di Alfredo, e vogliono “stigmatizzare, per l’ennesima volta a Torino, un uso strumentale e punitivo del diritto penale, non il diritto penale del fatto – che guarda alla materialità del fatto e all’offesa concretamente arrecata dal fatto – ma un diritto penale parallelo del nemico. Una veste, questa del nemico, che ben si può cucire addosso al militante politico costruendogli arbitrariamente l’etichetta del pericoloso ed estendendo i dispositivi di sicurezza – per noi criticabili di per sé – della legislazione antimafia. Una legislazione di stampo custodialistico e repressivo.”
Osservano che anni fa sarebbe stato impossibile organizzare un dibattito abolizionista sul 41 bis, ma che grazie alla lotta di Alfredo e alla campagna in suo sostegno, oggi è possibile farlo. Il 41 bis, aggiungono poi, “è una pena di morte viva, come lucidamente Alfredo Cospito ci ha speigato nelle più recenti comunicazioni.”
In apertura, l’Avvocato Flavio Rossi Albertini ha ripercorso l’origine del dibattito del diritto penale del nemico inaugurato negli anni ‘70 in cui la magistratura, durante i processi alle organizzazioni armate della sinistra eversiva e sovversiva del nostro paese “intraprese una vera e propria battaglia contro quel fenomeno. In primo luogo bisogna ragionare nei termini che la magistratura non dovrebbe operare una battaglia, non c’è una guerra in corso, ma la magistratura e la giurisdizione dovrebbe accertare se un fatto sussiste o meno e se ascrivibile ad un soggetto che è l’imputato. Nel momento in cui il magistrato si cala nei panni di un magistrato combattente, cioè si arruola in un campo per contrastarne un altro, di qualsiasi emergenza si stia parlando, chiaramente c’è una trasfigurazione della stessa giurisdizione.”
Ha ricordato articoli recenti di docenti di giurisprudenza come quello del prof Spangher che hanno affrontato il dibattito sul magistrato combattente.
“La magistratura viene coinvolta in un contrasto di un fenomeno, è assolutamente improprio pensare che sia il ruolo della magistratura quello di confrontarsi coi fenomeni, il potere dello Stato che dovrebbe confrontarsi con determinati fenomeni, vere e proprie emergenze, dovrebbe essere la politica. […] non la magistratura”.
Aggiunge che nel caso di Alfredo c’è stato un colpo di coda di questa concezione del diritto: ad Alfredo Cospito e Anna Beniamino sono stati attribuiti “i fatti di Fossano su elementi indiziari fortemente equivoci: uso un eufemismo perchè come difesa abbiamo provato a contestare in tutti i gradi di giudizio che gli elementi che poi sono stati ritenuti granitici ai fini di una riconducibilità soggettiva di quei fatti, lo fossero realmente, che non fossero mere congetture o delle forzature da un punto di vista processuale scarsamente dimostrative.” e aggiunge: “la torsione del diritto che dal nostro punto di vista è avvenuto è (una torsione) delle garanzie processuali. Fino ad arrivare in Cassazione con la riqualificazione giuridica in strage politica (che comporta l’ergastolo) che non è mai stata usata nei fatti di sangue più gravi che hanno sconvolto l’Italia come le stragi di Bologna, di piazza Fontana e la strage di Capaci in cui sono stati usati centinaia di chili di tritolo e con morti quali magistrati, uomini della scorta, ma anche persone inermi, con un ruolo marginale nella storia.
Per quanto riguarda i fatti di Fossano e di Bologna, ricordiamo che non hanno causato né morti né feriti, si è scelto comunque di ricondurli alla strage politica: “episodio in cui nessuno ha riportato alcuna conseguenza lesiva. E’ stata utilizzata una mera polvere pirica, quella che si utilizza a Capodanno, non tritolo”. Continua poi sottolineando come sia stato “invece evidentemente ritenuto che la soggettività degli autori e pertanto il fatto che fossero anarchici e evidentemente sovversivi” decidesse nella riconduzione alla strage politica: essendo un reato di pericolo (non è necessario che si consumi la strage, ma che l’azione sia idonea a produrla) e nella “[…] idoneità dell’azione – a causare un pericolo per la sicurezza dello Stato – è stata esaltata la soggettività delle persone ritenute autori del fatto” a scapito del fatto in sé, tant’è che ad oggi la Cassazione non ha reso noto perché la specifica azione sarebbe stata idonea a recare un’offesa così grave per la sicurezza dello Stato. Tutto ciò ha coinciso con uno spostamento dall’elemento oggettivo del fatto al tipo di autore, per cui non si punisce “quello che si fa”, ma “quello che si è” in una applicazione della concezione del diritto penale del nemico citato precedentemente.
Questa torsione del ruolo della magistratura è stata discussa sin dagli anni settanta, con un dibattito che da allora è iniziato e che ci porta fino al processo Scripta Manent e alle misure draconiane che ne sono derivate.
Paradossale è poi ricordare che l’obiettivo degli attacchi di Fossano e Bologna fosse proprio quello di far luce sui luoghi di sospensione del diritto stesso, come erano gli allora CPT, oggi CIE centri di reclusione per migranti.
Nell’intervento a seguire, Alessandra Algostino ci ricorda come lo sciopero della fame di Alfredo Cospito non sia una lotta per la propria singola condizione, ma per sollevare la questione dell’articolo 41 bis e l’ergastolo ostativo. La docente descrive il lungo elenco di articoli costituzionali che il regime 41 e l’ergastolo ostativo bis cancellano e negano. Partendo dal primo, il diritto alla dignità della persona “principio imprescindibile e inviolabile sempre e ovunque”, passando poi, per la stessa attuazione del primo, al divieto di tortura, seguito dal divieto di trattamenti inumani e degradanti, “diritto non bilanciabile con altre esigenze, l’unico assoluto”, ribadito poi nella Convenzione Europea. Ci ricorda inoltre come nell’articolo 3, comma 4, sia “punita ogni violenza sia fisica che morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”, mostrando come di fatto l’art. 41 bis integri invece in sé tutta una serie di restrizioni disumane e degradanti, rendendola una vera e propria tortura di Stato. Con questo articolo non si è fatto altro che dilatare l’emergenza, rendendo una norma nata come temporanea, invece continua e duratura nel tempo, e stabilizzandola, aggiungendovi sempre nuove restrizioni ed includendo in sé nuovi soggetti.
Altro diritto negato con il 41 bis è quello all’autodeterminazione: “lo Stato non può ricattare, non può essere punitivo, lo Stato non può essere vendicativo […] si punisce il fatto, non si affligge, non si stigmatizza la persona”. Lo scivolamento verso la negazione del dissenso, la sua criminalizzazione, portano alla militarizzazione della democrazia, mostrando l’originario sodalizio fra autoritarismo e neoliberismo. Alessandra Algostino cita in chiusura Walter Benjamin, nelle sue parole “la legislazione è creazione di potere, in quanto tale è un atto di manifestazione diretta della violenza, non lasciamo che attraverso il 41 bis si esprima una violenza di Stato”. Nel testo originale di Walter Benjamin “Creazione di diritto è creazione di potere, e in tanto un atto di immediata manifestazione di violenza” [Kritik der Gewalt, 1921, qui nella traduzione di Solmi nella raccolta Angelus Novus edito da Einaudi].
Gianfranco Ragona inizia ricordando che “oggi c’è la vita di un uomo, di un anarchico che è davvero appesa ad un filo e fare di tutto perché questo filo non si spezzi penso che sia un dovere che ci riguarda.”
E riprende il filo della questione del diritto penale in relazione alla repressione: “la cosa inquietante è che c’è un’equiparazione tra la lotta politica e forme di criminalità che credo vada respinta perché c’è un’operazione che tende alla criminalizzazione del dissenso, ma è un’operazione subdola perché è mossa da una postura che è orientata al disconoscimento dell’altro, alla riduzione dell’altro a nemico, al disconoscimento della dignità dell’interlocutore, anche degli oppositori. Gli anarchici, storicamente parlando, questo atteggiamento lo conoscono bene e ne hanno fatto le spese, non solo loro naturalmente, ma sono stati spesso al centro di atteggiamenti di questo tipo.
L’anarchismo è una delle grandi teorie politiche della modernità e una delle correnti che viene più spesso maltrattata, infangata, e i suoi esponenti denigrati, incarcerati, un tempo anche chiusi nei manicomi. Sembra che gli anarchici con la loro stessa esistenza, col solo fatto di esistere, siano capaci di mettere in dubbio l’autorappresentazione consolatoria che si dà il nostro modo di vivere.”
A differenza di quanto sta avvenendo sui principali quotidiani, il punto di vista di uno storico sugli anarchici ha una cognizione di causa, mentre giornalisti, tuttologi e politici in buona o cattiva fede li ritraggono come incoscienti terroristi o criminali, cancellando la lunga storia di quello che è anche una teoria politica, riducendo gli anarchici a individui capaci solo di obbedire ad un supposto leader.
Dopo aver approfondito le diverse crisi che attraversano la nostra contemporaneità Gianfranco Ragona riporta la questione di Cospito in questo contesto.
“Il punto è qual è il legame tra la storia generale e la vicenda personale di Alfredo Cospito. Penso sia un legame plausibile quello che passa dal generale al particolare, tra gli aggregati e il particolare, perché mi pare che si mette in luce un problema legato al fatto che è una logica di guerra che permea le relazioni sia all’interno sia all’esterno della nostra vita, cioè la statualità si presenta con una logica di guerra nei rapporti con i cittadini, i movimenti, gli aggregati. Nel caso Cospito c’è un accanimento della legge, c’è un’ottusità dei magistrati pubblici che forse ci mette di fronte a quella che potremmo chiamare una verità, ciò che emerge sono tutte quelle contraddizioni della statualità che il mondo anarchico da lungo tempo ha messo in luce e che oggi in qualche modo ci presentano il conto. Lo Stato non riesce a mantenere le sue promesse, molto spesso non riesce neppure a gestire i suoi dispositivi, non crea benessere, non crea sicurezza, ma spesso il contrario: miseria crescente, disuguaglianze e incertezze. Non il diritto, ma come vediamo tutti i giorni l’eccezione, non la pace, ma la guerra all’interno e all’esterno, guerra agli ultimi molto spesso, quello che facciamo nei confronti dei migranti è vergognoso.
Allora una verità ci sta dicendo con la sua scelta Alfredo Cospito, quella verità che veniva fuori da quella favola di Andersen, Cospito ci sta dicendo per certi versi che il Re è nudo e ci dà un compito di natura etica che vale per tutte le coscienze democratiche, e il compito è, senza retorica, cosa ci facciamo di questa verità.”
L’assemblea è proseguita con interventi e dibattito. Sempre in ambito accademico è stata lanciata una nuova petizione per la liberazione di Alfredo firmata da oltre 350 ricercatrici e ricercatori delle Scienze Sociali
“Con questa lettera aperta portiamo la nostra solidarietà a questa battaglia di civiltà, ed esprimiamo disponibilità a partecipare a percorsi di sensibilizzazione verso la società civile e l’opinione pubblica per il superamento di due istituti inumani come il 41bis e l’ergastolo.”
Rispetto alle ultime vicende che si sono susseguite nelle prime pagine dei giornali, quello che lascia quasi senza parole è che a parte il provvedimento di trasferimento di Alfredo al carcere milanese di Opera, sempre in regime di 41 bis, sembra che non seguiranno sviluppi a breve rispetto alla detenzione di Alfredo in quel regime. Tutto si muove con una lentezza spaventosa in una situazione di urgenza rispetto alla sua salute, la sensazione è che il governo abbia deciso di lasciar morire Alfredo, non a Bancali, ma ad Opera in cui a differenza del carcere di Sassari è presente un centro clinico.
Entro il 12 febbraio il ministro Nordio deciderà che cosa rispondere all’istanza. In questi casi una mancanza di risposta equivale ad un diniego. Sui quotidiani si legge che le carte richieste agli organi competenti dal ministro non sembrano dirimere la questione: per la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo Alfredo può rimanere al 41 bis o essere trasferito in AS2 (sezione di alta sicurezza), per la Procura di Torino invece deve rimanere al 41 bis. Non si è ancora saputo quali decisioni abbia preso il ministro.
La Corte di Cassazione ha invece anticipato al 24 febbraio la risposta al ricorso che in prima battuta aveva fissato per il 20 aprile, in seguito per il 7 marzo.
Oltre alle raccolte firme, la campagna che ha fatto uscire dal buio la vicenda, iniziata fin dal principio dello sciopero di Alfredo in ottobre, prosegue: l’Università La Sapienza di Roma è stata occupata in vista del corteo di sabato 4 febbraio a Roma e in contemporanea a Milano, Parma, Pisa, Roma, Napoli.
Ilaria Cucchi è andata a visitare Alfredo e all’uscita ai microfoni dei giornalisti ha riportato “ho trovato il detenuto Alfredo Cospito in condizioni a dir poco allarmanti. Peggiora di giorno in giorno, di ora in ora […] mi ha chiesto di non interessarmi a lui, ma di pensare agli altri, di pensare ai detenuti anziani, malati che sono al 41 bis. […] mio fratello è morto di carcere e nessuno deve più morire di carcere”.
Un altro dettaglio che viene quasi sempre omesso dai media è l’attesa della pronuncia della Corte costituzionale rispetto al giudizio sulla compatibilità fra l’ergastolo ostativo e l’esclusione di attenuanti, in presenza di un fatto di lieve entità. Durante il processo per il ricalcolo delle sentenze il tribunale torinese a dicembre ha infatti accolto le richieste della difesa sull’eccezione di legittimità costituzionale.
Questo elemento evidenzia che la Corte costituzionale si deve ancora pronunciare rispetto alla possibilità di concedere le attenuanti ad Alfredo Cospito e Anna Beniamino, per i quali il procuratore generale di Torino aveva chiesto rispettivamente l’ergastolo ostativo e 27 anni di carcere per strage politica.
Dall’assemblea pubblica torinese così come dalla campagna che si è sviluppata in tutta italia emerge l’urgenza di una la lotta per affermare la chiusura delle sezioni del 41 bis e la cessazione dell’ostatività che si possono ottenere soltanto se si prosegue una lotta con una partecipazione dal basso.
Sempre al Campus Einaudi Mercoledì 8 febbraio si terrà una nuova assemblea in solidarietà con la lotta di Alfredo Cospito.
Viola Hajagos e Emmegi