a.
Una importante ordinanza del Tribunale di Catania ha accertato l’illegittimità della mancata autorizzazione allo sbarco e dei provvedimenti su cui questa si basava, tra cui il Decreto interministeriale del 4 novembre 2022, con riferimento al diritto di alcuni naufraghi soccorsi dalla nave Humanity 1 e giunti nel porto di Catania di presentare domanda di asilo in Italia, mentre la Guardia di finanza, il 6 novembre dello scorso anno, notificava al comandante della nave, su ordine del ministro dell’interno Piantedosi, il divieto di sostare nelle acque territoriali, intimando l’immediata partenza, con il “carico residuo” a bordo.
Il comandante della nave si rifiutava allora di lasciare il porto con le 35 persone ancora rimaste a bordo della nave, fino a quando non fosse stato consentito a tutti i naufraghi, che nel frattempo avevano iniziato uno sciopero della fame, di scendere a terra. Dopo due giorni, l’8 novembre 2022 tutti i migranti sbarcavano dalla nave, a seguito della valutazione psichiatrica da parte dell’equipe medica del Servizio di salute mentale (USMAF). Anche se dopo lo sbarco di tutti i naufraghi veniva meno l’oggetto del ricorso cautelare, il Tribunale di Catania in composizione monocratica si pronuncia adesso sulla legittimità del divieto di sbarco imposto dal Ministro dell’interno, di concerto con i ministri delle Infrastrutture, e della Difesa, affermando la “soccombenza virtuale” dei ministri convenuti, condannati al risarcimento delle spese legali, alla luce delle violazioni accertate in materia di diritto internazionale dei soccorsi in mare e della normativa internazionale ed interna in materia di diritto alla protezione.
Le motivazioni che adotta il Tribunale di Catania appaiono in linea con quella giurisprudenza di merito, e di legittimità, in particolare con la sentenza della Corte di Cassazione n.6626 del 16/20 febbraio 2020 (caso Rackete) che ha stabilito la infondatezza delle accuse rivolte alla comandante della nave appartenente alla ONG Sea Watch per avere adempiuto ai doveri di soccorso in acque internazionali senza ricevere assistenza e coordinamento dalle autorità italiane, ed anche per questo motivo trovandosi costretta ad infrangere divieti di ingresso nelle acque territoriali.
Il Tribunale di Catania boccia quindi la prassi dei cd. “sbarchi selettivi”, imposta dal Viminale a novembre dello scorso anno, ed oggi apparentemente abbandonata, affermando che la Convenzione di Amburgo del 1979 (SAR) vieta qualunque possibilità di distinguere al fine dello sbarco a terra, tra i diversi naufraghi in base alle condizioni di salute.
Si ricorda quindi la nota affermazione della Corte di Cassazione secondo cui non si può ritenere “che l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “Place of safety ”).
Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile».
Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Per l’Italia, il Place of safety (POS) è determinato dall’Autorità SAR in coordinamento con il Ministero dell’Interno. Secondo le citate Linee guida, «un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale» (par. 6.12). «Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative». (par. 6.13).
Il Tribunale di Catania conclude dunque per la illegittimità del decreto interministeriale del 4 novembre del 2022 perché consentendo il salvataggio (comprensivo dell’approdo e sbarco in luogo sicuro) “solo a chi sia in precarie condizioni di salute”, contravviene il contenuto degli obblighi internazionali in materia di soccorso in mare.
b.
L’importanza della decisione del Tribunale di Catania va oltre la rilevanza del caso affrontato, per gli importanti principi di diritto, evidentemente ricavati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, e dunque di portata che può andare oltre il caso concreto, principi di diritto che andrebbero tenuti presenti tanto dal legislatore, che sta affrontando la conversione in legge del Decreto legge n.1 del 2023, impropriamente titolato “sulla gestione dei flussi migratori” ma in realtà rivolto esclusivamente contro le ONG che operano attività di soccorso in acque internazionali, quanto in procedimenti penali nei quali si discute di analoghi divieti di ingresso nelle acque territoriali o di sbarco in porto.
Per quanto riguarda il Decreto legge n.1 del 2023 in corso di conversione, che segna tra l’altro l’abbandono della prassi dei cd. “sbarchi selettivi”, il richiamo al diritto internazionale ed alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo dovrebbe impedire l’approvazione di norme che rimettono alla discrezionalità dei ministri la valutazione della legittimità dei soccorsi, e sembrerebbero quasi imporre di rivolgersi per il coordinamento ad “autorità competenti” in base alla suddivisione delle zone SAR del Mediterraneo, anche nel caso di paesi che non garantiscono alcun rispetto dei diritti umani, che non prevedono procedure eque e soggiorno legale per i rchiedenti asilo, e sono ancora caratterizzati da ampie aree di convergenza tra autorità statali ed organizzazioni criminali (come nel caso della Libia, ed in diversa misura della Tunisia).
Ma è sul processo Open Arms nei confronti dell’ex ministro dell’interno Salvini (adesso ministro delle infrastrutture) che i criteri interpretativi del sistema gerarchico delle fonti normative internazionali ed eurounitarie che disciplinano il soccorso in mare, lo sbarco dei naufraghi e la proposizione delle domande di asilo, potrebbero avere l’impatto maggiore. I principi di diritto affermati dal Tribunale di Catania, peraltro già ribaditi dalla Corte di Cassazione nella sentenza-Rackete, contraddicono punto per punto la difesa dell’imputato Salvini nel processo a Palermo.
La difesa di Salvini, sostenuta dai media più vicini, ha cercato di giustificare il rifiuto arbitrario nella indicazione del porto di sbarco e il prolungato trattenimento a bordo di Open Arms in acque nazionali, di fronte a Lampedusa, contestando le attività di ricerca e soccorso svolte al tempo dei fatti, nell’agosto del 2019, dalla nave umanitaria in acque internazionali. Da ultimo la difesa ha chiesto di utilizzare addirittura un filmato dei primi soccorsi in acque internazionali girato da un misterioso sommergibile italiano, spuntato fuori durante l’audizione del Capo dipartimento del ministero dell’interno Mancini, su circostanze del tutto ininfluenti sull’accertamento delle responsabilità dell’imputato, che aveva negato la indicazione di un porto di sbarco sicuro, in contrasto con quanto previsto dal Diritto internazionale. Ma sull’omissione degli obblighi di coordinamento che spettavano in quella circostanza a qualunque unità navale militare in acque internazionali è stata recentemente presentata, da parte del team legale di Open Arms, una denuncia alla Procura del Tribunale di Roma. Le norme europee impongono del resto precisi obblighi di intervento, per la salvaguardia della vita umana in mare, alle unità militari presenti anche in acque internazionali, pure se impegnate in attività di “law enforcement” (contrasto delle attività criminali).
In realtà l’attacco che si cerca di portare contro la ONG Open Arms che aveva denunciato l’operato dell’ex ministro dell’interno è del tutto strumentale e cerca di spostare l’attenzione del collegio giudicante su quanto avvenuto nell’immediata serie di soccorsi dei primi gioni nei quali i naufraghi venivano salvati in acque internazionali. Ma i capi di imputazione riguardano invece il comportamento di Salvini nei giorni nei quali la nave Open Arms era ormai alla fonda di fronte Lampedusa, pienamente all’interno, con i naufraghi che venivano trattenuti a bordo, della giurisdizione italiana. Una situazione di fatto e di diritto molto simile a quella dei naufraghi soccorsi dalla Humanity 1, ormeggiata nel porto di Catania, che il Viminale voleva respingere come “carico residuale”. L’ex ministro dell’interno, infatti, è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e sequestro di persona per il trattenimento ingiustificato dei naufraghi a bordo ella nave, interrotto soltanto dal sequestro disposto dalla Procura di Agrigento che ordinava lo sbarco immediato che il Viminale continuava a rifiutare. Un reato che, nella prospettazione dell’accusa, si sarebbe perfezionato quando la nave si trovava in acque territoriali italiane, e qui si coglie bene il tentativo elusivo della difesa di Salvini che da mesi cerca di spostare il focus del processo su quanto avvenuto nei giorni dei primi soccorsi in acque internazionali. Si deve ricordare al riguardo che il reato di sequestro di persona non richiede un dolo specifico, essendo invero sufficiente il dolo generico “consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua ibertà fisica, intesa come libertà di locomozione”(Cass.Pen.,sez.V,n.19548/2013). Quali erano i reali intenti del ministro Salvini quando occupava la poltrona del Viminale e vietava l’ingresso della Open Arms nel porto di Lampedusa ? Voleva davvero costringere altri paesi europei ad accogliere quote di naufraghi, o prevaleva la finalità politica mentre il governo si incagliava su una crisi irreversibile e le elezioni anticipate sembravano una prospettiva sempre più vicina?