In questi giorni ho partecipato a qualche dibattito in alcune trasmissioni televisive sul tema dello sciopero della fame di Alfredo Cospito, contro il regime di tortura democratico del 41 bis e l’ergastolo ostativo. E mi sono accorto quanto sia difficile comunicare in televisione, soprattutto su argomenti di cui avresti bisogno di tempo per fare un ragionamento senza che altri interlocutori ti parlino sopra o ti interrompano.
Però, io sento lo stesso il dovere di provarci, anche se non è facile raccontare il peggio della propria vita a degli estranei, che spesso sono prevenuti per il tuo passato deviante e criminale e non guardano certo il tuo presente. Per questo mi sono convinto che sia molto più semplice ingannare l’ascoltatore usando slogan sintetici, orecchiabili e suggestivi, destinati a rimanere impressi nella mente, e a persuaderlo senza farlo ragionare, con frasi del tipo: “Prima gli italiani”, “Sono una Donna, sono una Madre, sono una Cristiana”, “Devono marcire in carcere”, “Il 41 bis non si tocca perché serve a sconfiggere la mafia”, “Ergastolo ostativo? Il miglior modo di combattere la mafia”.
Capisco anche, purtroppo, che sia difficile continuare a essere umani con persone che hanno commesso gravi reati, ma a mio parere alcune di queste frasi fanno male anche alla Costituzione. Molti di coloro che hanno scritto la nostra Carta il carcere lo conoscevano bene, perché sotto il regime fascista c’erano stati, e si sono ispirati a un’idea di carcere come possibilità di cambiamento. Non hanno specificato che questo principio non valesse per i mafiosi. Inoltre, penso che queste semplici frasi non aiutino a capire o a cercare soluzioni sociali per affrontare o tentare di risolvere certi problemi che affliggono il nostro paese.
Io, poi, quando racconto la mia storia ed esperienza non ho mai la pretesa di convincere, ma solo di mettere dei dubbi nei ragionamenti altrui. Si afferma che il 41bis non è afflittivo, ma necessario perché ha solo lo scopo di interrompere i legami dei detenuti con il mondo esterno e interno al carcere. I colloqui però si tengono attraverso un divisorio di vetro, sotto il controllo di un agente di polizia penitenziaria e sono videoregistrati, quindi le eventuali gesta, pizzini o altro, verrebbero, in tempo reale, ripresi della polizia penitenziaria e portati a conoscenza all’autorità giudiziaria. A questo punto mi viene spontanea la domanda: perché al detenuto non viene data la possibilità di abbracciare gli anziani genitori che lo hanno messo al mondo? E questa tortura affettiva è necessaria per sconfiggere la mafia o serve per creare collaboratori di giustizia? “Ti torturo un po’ tutti i giorni e tutte le notti ma se parli esci, altrimenti stai dentro”, insomma come nel medioevo.
Riguardo all’ergastolo ostativo, a me sembra che la conseguenza della “non collaborazione” sia una pena troppo alta e sproporzionata. Cioè, togliere i benefici ai non collaboratori mi sembra una pena enorme perché la “non collaborazione” non è un reato. Al limite si potrebbe dire: “se non collabori dovrai fare qualche anno in più” ma è inumano dire: “se non collabori non uscirai mai”. Penso che se fosse solo una questione di sicurezza, e non di vendetta sociale, sarebbe più sicura per la collettività la pena di morte, piuttosto che il regime di tortura del 41-bis.
Forse a breve termine questo mezzo di tortura ha portato allo Stato qualche vantaggio, ma questo a che prezzo? A lungo andare, credo che il regime di tortura del 41-bis abbia rafforzato la cultura mafiosa, perché ha creato odio, rancore e devianza anche nei familiari dei detenuti. Penso che sia difficile smettere di essere mafiosi quando sei murato vivo in una cella e non puoi più toccare le persone che ami, neppure per quell’unica ora al mese di colloquio che ti spetta. Con il passare degli anni, i tuoi stessi familiari cominciano a vedere lo Stato e le Istituzioni come nemici da odiare e c’è il rischio che i tuoi stessi figli diventino mafiosi in futuro.
La lotta alla criminalità organizzata, a mio parere, va portata avanti con cultura, intelligenza, razionalità e soprattutto rispettando la nostra Carta Costituzionale.